Georges Prêtre (foto via YouTube)

Addio a Georges Prêtre, il genio che dirigeva più con gli occhi che con il braccio

Mario Leone

Spesso impreciso e non chiaro nel gesto, spudoratamente vago nelle scelte dei tempi ma assolutamente dentro la musica. Prêtre, morto ieri a 92 anni, cercava la musica. Il suo messaggio profondo. Intimo. Viscerale

E’ morto Georges Prêtre. Novantadue anni. Molti già parlano di un 2017 nefasto che potrebbe ripercorrere le orme del 2016 nella musica pop. Ricordano la morte, giusto un anno fa, di un altro francese: Pierre Boulez.

 

Indelebile nella memoria un concerto di Prêtre a Roma con i Wiener Philarmoniker. Correva l’anno 2011 e i Wiener, invitati per il Festival Internazionale di Musica e Arte Sacra, eseguirono la Settima di Bruckner all’interno della Basilica di San Paolo fuori le mura. Suonare Bruckner in uno spazio meraviglioso ma dall’acustica rimbombante pareva folle anche per la Filarmonica di Vienna. Prêtre, giovincello di appena ottantasette anni, condusse quel concerto con una inebriante fisicità. Spesso impreciso, non chiaro nel gesto – cosa che molte orchestre lamentavano della sua direzione – spudoratamente vago nelle scelte dei tempi  ma assolutamente dentro la musica. E con lui tutta l’orchestra. Incurante del rimbombo che deturpava chiarezza e pulizia delle parti. Prêtre cercava la musica. Il suo messaggio profondo. Intimo. Viscerale.

 



 

Nella sua carriera ha diretto molto più con gli occhi che con il braccio. Ha diretto con il suo corpo massiccio e presente, a volte completamente fermo sul podio, convincendo tutte le orchestre che in settant’anni di attività se lo ritrovavano imperioso sul podio. La risposta francese a Leonard Bernstein, così in America veniva soprannominato. Leggi in giro e chiunque racconta che essere diretti da Prêtre significava entrare dentro la musica con tutto se stesso, perdendo la cognizione di tempo e spazio. Chiedetelo ai musicisti della Filarmonica della Scala. Solo un anno fa, l’omaggio scaligero al direttore francese. A novantuno anni ha diretto un Bolero vibrante, estatico, erotico. Dopo il concerto, alcuni orchestrali hanno dichiarato: “Sembra più giovane di noi”.

 



 

Cosa significhi dirigere, lo chiarì lui stesso in un’intervista rilasciata prima di un concerto, nel 2005,  sempre alla Scala: “Si può studiare direzione d'orchestra: uno, due, tre. Ma sapere come influenzare l'orchestra a suonare per creare l'atmosfera che sto cercando è qualcosa che non si può studiare”. Non si sentiva un direttore ma un interprete il cui strumento è l’orchestra. Lo strumento più complicato perché dotato di libertà. “Se metto le mani in un certo modo  sul pianoforte, lo strumento suonerà. L’orchestra invece devo conquistarla”. Questo corteggiamento musicale lo perpetuava costantemente perché contrario ad avere un’orchestra stabile. “Preferisco una storia d’amore e non un impegno stabile”.

 

Settant’anni di carriera, settant’anni d’amore profuso ovunque, indefessamente. Nel repertorio francese (in particolare Francis Poulenc) nel quale, ça va sans dire, eccelleva . Splendida anche una Quinta di Mahler con l’Orchestra della Rai di Torino. E se qualcuno dovesse ritenerlo un direttore “solo sinfonico”, si ascolti “Norma” con l’amata Maria Callas (1964), Turandot (produzione per la RAI), “La traviata” con Carlo Bergonzi e Montserrat Caballé. Solo per indicarne alcune.

 

Lo scorso ottobre, Prêtre diresse i Wiener Symphoniker che puntualmente, dal 1962, accoglievano il loro maestro e direttore onorario. Provato nel fisico, asciugato in viso e singhiozzante nel passo. Ha diretto seduto su una sedia. Ha diretto Beethoven, Offenbach, Strauss. Tutto a memoria. Come sempre. Ha ammiccato, sfregato le mani per ottenere suoni più morbidi. Ha estasiato con la sola forza della musica. All’interminabile montagna di applausi che accompagnava ogni brano elargiva baci e piccoli ringraziamenti con il capo. Era ben consapevole che sarebbe stata la sua ultima volta. Ma voleva godere come la prima.