“Madama Butterfly” di Giacomo Puccini, nella versione originale del 1904, aprirà questa sera la stagione scaligera (foto Brescia/Amisano - Teatro alla Scala)

Sciagurata Butterfly

Mario Leone

Torna alla Scala l’opera più travagliata di Giacomo Puccini in versione originale. Melomani divisi, ma la bellezza travolgente dell’opera è assicurata

Tragedia in due atti. Da ieri sera e fino all’8 gennaio 2017, presso il Teatro alla Scala di Milano, va in scena la Madama Butterfly, tragedia giapponese di Giacomo Puccini su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, nella prima versione del 1904 in due atti. Coro e Orchestra della Scala saranno diretti da Riccardo Chailly, regia Alvis Hermanis, scene Alvis Hermanis e Leila Fteita, costumi Kristine Jurjane. Tra i principali interpreti, Maria José Siri nel ruolo di Madama Butterfly, Annalisa Stroppa nel ruolo di Suzuki, Nicola Brandolino è Kate Pinkerton, Bryan Hymel è F. B. Pinkerton, Carlos Alvarez è Sharpless, Carlo Bosi è il Goro.

Povera Madama Butterfly, non trova pace. Dall’esordio, centododici anni fa alla Scala, le polemiche non sono mai mancate. Anche questa prima scaligera, come tutte le prime, ha i suoi turbamenti. Madama Butterfly andrà in scena nella versione originale, con soli due atti. La scelta ha diviso non poco i melomani. In quel lontano febbraio 1904, la città di Milano non accoglie bene la piccola giapponesina: una violenta protesta viene inscenata, probabilmente dai detrattori del Maestro lucchese. Alla Scala qualcuno trova che alcune citazioni di vecchie opere pucciniane (il finale di Tosca) rivelino una mancanza di inventiva dell’Autore, senza capire che si tratta semplicemente dello stile di Puccini. La lunghezza del secondo atto e il linguaggio a tratti “espressionista” fanno il resto. Ramelde, sorella di Puccini, commenta incredula la serata: “Alle due siamo andati a letto e non posso chiudere occhio; e dire che tutti eravamo tanto sicuri! Giacomo, poverino, non l’abbiamo mai veduto perché non si poteva andare sul palcoscenico. Siamo arrivati in fondo non so come. Il secondo atto non l’ho sentito affatto e, prima che l’opera finisse, siamo scappati dal teatro”. Puccini non replicherà l’opera alla Scala e, rivisitato strutturalmente il manoscritto, ripropone la partitura al Teatro Grande di Brescia. Un successo clamoroso, soltanto tre mesi dopo. Il melodramma italiano aggiunge così un’altra perla al suo tesoro. Lo stesso Puccini parla della Butterfly come l’opera “più sentita e suggestiva che io abbia mai concepito”. Eppure aveva già scritto Manon Lescaut, La Bohème e Tosca, consegnando all’eternità figure di eroine plasticamente immortalate con la musica. Il genio pre-sente e scava: se Mimì o Manon avevano il destino segnato, Cho Cho San diventa l’eroina che si consuma nell’intimo e nell’attesa spasmodica di una realtà che non si realizzerà mai. Questo modello di donna lo ritroveremo nella serva Liù della Turandot. Per questo, Puccini incentra il dramma sulla protagonista, costruendole una parte vocale crudele e spietata come la fine che farà. Gli altri personaggi diventano dei comprimari: Pinkerton che compra una bambina per soddisfare le sue brame, la fedele Suzuki, il Console pieno di pietà per la malcapitata.

Il libretto di Illica e Giacosa si fonde in una partitura che unisce alla grande vena melodica l’utilizzo della tecnica delle reminiscenze, basata sulla facoltà associativa dei ricordi musicali. Possiamo parlare in tal senso di una rivisitazione del leitmotiv wagneriano, leitmotiv che in Puccini non è solo un modo per caratterizzare i personaggi o i sentimenti ma per tenere vivo il colore dell’ambientazione. Che il compositore sia molto ispirato lo si percepisce dalla scelta di iniziare l’opera con una Fuga che almeno nelle prime battute, trentadue per l’esattezza, ricalca il modello scolastico e presenta ben due controsoggetti. Una scelta che da un lato sottolinea l’intima complessità del dramma, dall’altro descrive il tentativo di fondere due culture lontane: l’ispirazione musicale orientale con una forma tipicamente occidentale. Madama Butterfly, come detto, è anche l’opera delle citazioni. L’inno americano (che all’epoca era l’inno della Marina) utilizzato per presentare lo spavaldo Pinkerton; l’inno giapponese al momento delle fasulle nozze tra Cho Cho San e Pinkerton; le vecchie e nuove melodie popolari giapponesi.

Anche l’apertura dell’opera con il tenente di Marina che osserva e modifica compiaciuto “la casa a soffietto” che ospiterà il matrimonio fasullo con Cho Cho San ricorda, per contrasto, l’inizio delle Nozze di Figaro mozartiane dove invece il protagonista si adopera, desideroso che arrivi l’ora delle nozze. Tutto ciò si trova inserito in un’ orchestrazione ampia e dilatata nella struttura armonica e originalissima per invenzione musicale. Una bellezza travolgente, testimoniata da un gustoso aneddoto che Nino Rota riportava quando, tra alunni e colleghi, si parlava della Butterfly. A un’esecuzione americana dell’opera, era presente in sala un gruppo di cowboy i quali, commossi per la bellezza della musica e tristi per l’infelice sorte della giovane Cho Cho San, al termine della rappresentazione tentarono di assalire il tenore per vendicarla. Il malcapitato Pinkerton di turno dovette abbandonare il teatro scortato e da un’uscita secondaria. E Rota aggiungeva: “I cowboy hanno compreso la grandezza di Puccini e non i musicisti dell’epoca”.

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