Bret Easton Ellis nella sua casa di Los Angeles. Lo scrittore è da tempo impegnato a demolire i miti delle classi ciarliere da cui proviene. Trump? “Ha il sostegno di chi si sente messo a tacere dai b

Liberal Psycho

Giulio Meotti
Il grande scrittore americano Bret Easton Ellis ha dichiarato guerra ai narcisi del mainstream e del glamorama, “la gente bianchissima, ricchissima, felicissima”.

Bret Easton Ellis ha sempre disturbato. Accadde con “Meno di Zero” (1985), il romanzo che scrisse a vent’anni, disincantato ritratto della cosiddetta Mtv-Generation, cinica e viziata. Accadde con “American Psycho” (1981), la più feroce satira dell’America contemporanea, la storia di Patrick Bateman, “firmato” dal dopobarba ai calzini e che dietro l’eleganza delle forme nasconde una vocazione a torturare e uccidere, il serial shopper che diventa serial killer, metafora della mania accumulativa degli yuppies. Accadde con “Le regole dell’attrazione”, romanzo sulla gioventù bruciata portata di peso in un campus universitario, superficiale, mercenaria, cinica e senza senso, un mondo che quanto più si banalizza tanto più diventa attraente.

 

Accadde con “Glamorama”, i cui protagonisti annaspano nelle sabbie mobili di quel glamour che tanto spazio occupa oggi nelle cronache dei giornali e dell’odierna società dello spettacolo, la sua nemesi. Perfino quando parla di sfilate, cene e pettegolezzi, questo sublime contrarian non ha niente di rassicurante da dirci. Sarà perché Ellis, considerato uno degli eredi di Truman Capote, indulge nel sesso e negli eccessi, incapace di distinguere la realtà dall’illusione, e i suoi antieroi strafatti di eroina, afflitti da alienazione acuta e da disagio esistenziale, annegano nell’apatia. Scrittore cult uscito dalla nidiata dei minimalisti, da qualche tempo, fra un romanzo e l’altro, ma sempre col suo aplomb scettico-satirico, Ellis è impegnato in una personale guerra contro la cultura dell’intrattenimento, quello che sul New York Times ha definito “il pensiero di gruppo che accresce la paranoia”, le truppe cammellate di appartenenti alle “chattering classes”, le classi ciarliere da cui Ellis è emerso. Lo scrittore, infatti, è stato un nichilista trendy figlio dell’estremismo della mondanità: feste, cocktail, interviste, droga e sesso ambiguo.

 

In un saggio su Vanity Fair, Ellis prima ha preso di mira la “Generazione X”, quella dei giovanissimi “millennials”, definendola senza mezzi termini “Generation Wuss”. Generazione di pappamolle, generazione di inetti. Una generazione di persone narcisiste e dipendenti dall’approvazione, dal “like”. Assolutamente incapaci di convivere o di accettare una critica. Di qui il dilagare del cyberbullismo, secondo lui, in una America in cui “eroi e vittime spesso coincidono”. Ellis si incazzò di brutto quando “quando, partecipando a una festa a Los Angeles, poco prima delle ultime presidenziali, mi toccò ascoltare i discorsi allarmati per il probabile successo di Bush da parte di gente bianchissima, ricchissima, felicissima: che cosa avrebbe mai dovuto temere quella gente da Bush?”.

 

A febbraio, il romanziere ha così scritto che, sotto sotto, a Hollywood tifano per Donald Trump e che i media non hanno capito niente del magnate sceso in politica: “Ieri sera ho cenato a West Hollywood con alcuni amici e una coppia che non avevo mai incontrato prima, sono rimasto molto stupito dal fatto che alla fine della cena la maggioranza di chi stava a tavola, soprattutto gente che lavora a Hollywood, ha ammesso di sostenere Donald Trump come presidente. E’ stato uno choc che è arrivato per me al culmine di una settimana in cui avevo incontrato molte persone a Los Angeles che si dicevano sostenitori di Trump, mostrando che, ancora una volta, i mass media nazionali hanno dato un racconto totalmente sbagliato della questione: la loro speranza, a quanto pare, non è la realtà”.

 


Donald Trump (foto LaPresse)


 

In una intervista al Figaro, in occasione della pubblicazione della sua opera omnia in Francia, Ellis ha appena detto: “Trump ha distrutto la capacità di comprensione dei nostri media. Non dicono le cose come stanno, sono di parte. Lui ha il sostegno di persone che si sono sentite escluse dal dibattito pubblico, messe a tacere, tra sinistra, progressisti e benpensanti del politicamente corretto”. E ancora: “Per me, la popolarità di Trump ha a che fare con il Primo Emendamento e la libertà di espressione: questo è uno che dice quello che pensa, quando sempre più persone non ne hanno il diritto”. Infine: “Se qualcuno mi avesse detto dieci anni fa che la sinistra sarebbe stata più autoritaria rispetto alla destra… Ma è vero, hanno installato una sorta di polizia del pensiero, un’ideologia del ‘si deve pensare come noi’. L’ho sperimentato io stesso con la pubblicazione di ‘American Psycho’: non sono i conservatori a essersi espressi contro il romanzo, ma i liberal, le femministe, la sinistra, i media”. I lettori lo amano o lo odiano con una violenza rara nel mondo letterario. “Ellis è un misogino? Un mostro? O un maestro satirico?”, si è chiesto il Guardian. Un “mostro minimalista”.

 

Come quando Ellis ha attaccato “le classi americane ben istruite che confondono morale e arte, la cui morale significa consapevolezza sociale, il che significa pessima arte”. O come quando ha difeso l’attore porno accusato di stupro, James Deen. Ellis l’ha chiamata “caccia alle streghe” in una intervista a Hollywood Reporter, una caccia “figlia della cultura dell’oltraggio”. Ellis è sbottato: “Stiamo parlando di porno e di feste bondage. Ma vi rendere conto? Siete tutti impazziti? E’ così che va. Lei si sente una vittima, ma anche io sono una vittima. Lei ha detto di essere una vittima? Lo sono anche io. E’ un effetto domino. E non so quando finirà con James. Alla fine forse ad accusarlo saranno in ottanta. Forse ottanta attrici porno stanno pensando: ‘A pensarci bene quella scena di sesso è stata troppo rude e lui è si è spinto troppo oltre in quella sequenza di Brazzers.com’. A me sembra tutto una specie di scherzo”.

 

Ellis si è preso l’accusa di misoginia quando ha criticato la regista Kathryn Bigelow: “Kathryn sarebbe considerata una regista mediamente interessante se fosse un uomo, ma dal momento che è una donna molto bella è sopravvalutata”. Un’altra accusa di misoginia gli è caduta in testa quando Ellis ha attaccato il premio Nobel Alice Munro. Mentre Julian Barnes, A.S. Byatt, Margaret Arwood, Jeffrey Eugenides e tanti altri scrittori applaudivano la scelta dell’Accademia svedese, Ellis si è sfogato così: “Alice Munro è totalmente sopravvalutata. E’ sempre stata sopravvalutata e ora che ha vinto il Nobel sarà sopravvalutata per sempre”. Oltre a prendersela con il premio più prestigioso per la letteratura: “E’ una farsa”. Nei giorni scorsi, Ellis ha attaccato la “cultura vittimistica del politicamente corretto”.

 

“Se siete una persona intelligente, così traumatizzata da fare riferimento a voi stessi come a un sopravvissuto o alla vittima di qualcosa, allora avete bisogno di aiuto, e probabilmente è necessario che contattiate il centro nazionale per le vittime”, ha detto Ellis durante il suo ultimo podcast. “Vittimizzarsi è come una droga. Ci si sente così deliziosi. Sto mostrando le mie ferite in modo da poterle leccare. Non hanno un sapore così buono? Non mi rendono così importante? Se non riesci a leggere Shakespeare, o Melville, o Toni Morrison perché innesca in te qualcosa di traumatico, allora hai bisogno di vedere un medico”.

 

Qualche giorno fa, Ellis ha attaccato poi gli Mtv Music Awards, la serata di gala organizzata al Madison Square Garden di New York. “Cosa è successo lì?”, ha chiesto Ellis. “Niente di inquietante o scioccante, nessuna Miley Cyrus strafatta che insulta Nicki Minaj sul palco, nessun tipo di provocazione e dunque nessun attimo di divertimento. Tutti invece vanno d’amore e d’accordo nel celebrare quella falsa inclusività politicamente corretta che ormai è diventata terribilmente noiosa e che, probabilmente, è la causa del vertiginoso crollo nel numero di telespettatori che ha seguito lo show”.

 


Beyoncé al MTV Video Music Awards 2016 a New York


 

La serata di Mtv è diventata uno spot per Black Lives Matter, il movimento che accusa le forze di polizia statunitensi di essere razziste nei confronti della comunità afro-americana. “Il Black Lives Matter Sabbath che è stato rappresentato ai Video Music Awards 2016 rappresenta la fine della cultura per come la conosciamo. L’intero show è stato un’ode alla narrativa liberal secondo la quale, visto che i bianchi sono tutti cattivi, almeno una persona su due tra quelle inquadrate dalla telecamera deve essere una donna di colore, perché siamo costantemente angosciati dalla necessità di non terrorizzare una generazione di spettatori cresciuta con una dieta di spazi di sicurezza, auto-vittimizzazione e trigger warning”. L’oggetto del sarcasmo di Ellis è stato Beyoncé, che sul red carpet ha sfilato insieme alle madri di Mike Brown, Trayvon Martin ed Eric Garner, i tre uomini di colore che con la loro morte sono diventati il simbolo di Black Lives Matter.

 

Ad agosto, Bret Easton Ellis è intervenuto sul caso del settimanale LA Weekly, in cui il critico musicale Art Tavana ha scritto di Sky Ferreira in un articolo dal titolo “Sky Ferreira’s Sex Appeal Is What Pop Music Needs Right Now”. Nell’articolo, Tavana elogia le sue “tette irresistibili”, accostando Sky a Madonna, in una frase che recita “due paia di tette che hanno cambiato il corso della storia umana”. L’articolo di LA Weekly è stato attaccato da numerosi media. “Quando sento le autoproclamate femministe lamentarsi dello sguardo maschile, penso, ‘queste donne sono così illuse da sconfinare nella pazzia o nessuno le ha stese negli ultimi quattro anni?’”, ha detto Ellis, prendendo di mira “i guerrieri della giustizia sociale che preferiscono le donne come vittime”, il movimento dei diritti per l’uguaglianza di genere definito “una sala degli specchi in cui si ritrovano quando sono in cerca di qualcosa con cui arrabbiarsi”. Secondo Ellis, “le ben intenzionate giovani liberal della sedicente sinistra femminista sono diventate così ipersensibili che siamo entrati in un momento culturale autoritario”.

 

Ellis era già incorso nelle ire delle femministe quando pubblicò “American Psycho” e il romanzo boicottato da “Now”, l’associazione storica delle donne americane, che lo definì “un manuale di tortura che trascende la pornografia”. Per scoraggiare le vendite, le femministe misero in piedi anche una “hot line” attraverso la quale era possibile ascoltare alcuni dei brani più scandalosi. Come quello in cui Bateman, il protagonista, assalta una ragazza, la inchioda al pavimento e la squarta. “Nessuno ti aiuterà, non importa a nessuno”, le dice. La stampa liberal fece pressioni su Leonardo Di Caprio perché  non interpretasse il film tratto dal romanzo. Riuscendo così a dissuaderlo (il protagonista venne poi interpretato da Christian Bale).

 

“Il suo personaggio pubblico, collegato alla natura estremamente violenta della parte, potrebbe avere un effetto devastante sulla psiche di milioni di teenager”, protestò Elizabeth Toledo, vicepresidente dell’organizzazione femminista. Il successivo romanzo di Ellis, “Glamorama” (che avrebbe dato il nome a numerosi gay bar nel mondo), era ambientato in una società di belli e dannati che però, sotto la superficie scintillante, rivelavano un abisso di orrore. Un mondo fatto di pettegolezzi, notiziole di prima mano sul “chi-va-a-letto-con-chi”, droga, malattie veneree, divi decadenti, bellissime anoressiche, coverboy e covergirl da urlo, registi e stilisti omo e bi, ruffiani strafatti di Nembutal, arredatrici isteriche, giornaliste di riviste femminili, fitness e cocaina, pompini e succhi di frutta Snapple. “Non un romanzo sul jet set, ma su quello che ci sta sotto, sulla forza distruttiva che scaturisce da questo modo di vivere”, disse lo scrittore nel presentarlo.

 

A differenza del suo collega e amico Jay McInerney, Bret Easton Ellis disse di non sentirsi affatto parte di quel rutilante mondo dei vip. “La mia vita è del tutto normale. Nessuno scrittore o editore può aspirare in America a far parte del jet-set. La mia vita a New York è soprattutto fatta di lavoro. Non vado alle sfilate, non frequento il bel mondo, anche se ovviamente partecipo ai party e sto fuori fino alle quattro di notte”. Il romanzo scatenò anche in Italia un coro di proteste degli stilisti. Lavinia Biagiotti, giovane rampolla della griffe romana, commentò il romanzo dicendo che “chi scrive cose del genere non ha esperienza diretta del mondo della moda. Di conseguenza non può parlarne”. “Negativo e superficiale”, il commento al libro di Stefano Dominella, presidente della Gattinoni. “Odio i neologismi come ‘glamorama’, che storpiano la lingua italiana”, disse Renato Balestra. “Gettare fango su tutto per il gusto di far parlare di sé è assurdo e ingiusto”.

 

A Bret Easton Ellis, che ha praticato tanta omosessualità, è stato impedito pure di partecipare alla serata di gala della Glaad (Gays and lesbian association anti defamation) a causa di una serie di suoi commenti giudicati sopra le righe. Come per esempio aver paragonato l’esperienza di guardare lo show televisivo Glee a “entrare in una pozza di HIV” e per aver sostenuto che l’attore gay Matt Bomer non doveva interpretare il ruolo di Christian Grey nella pellicola “Cinquanta sfumature di grigio” esclusivamente sulla base della sua sessualità.

 

Ellis ha poi criticato l’establishment gay con un saggio sul magazine Out. “Se non sei un omosessuale felice, completamente a posto con te stesso, che promuove i sani valori del mainstream rispecchiando l’Elite gay culturalmente corretta, allora vieni considerato come un omosessuale che odia se stesso. Questo è il cuore della menzogna gay”. Ellis in quell’occasione attaccò Jason Collins, il primo giocatore dell’Nba a essersi dichiarato gay con un articolo su Sports Illustrated ed elogiato pubblicamente dal presidente Barack Obama (“il Presidente ha chiamato Jason Collins per esprimergli il proprio sostegno e per dirgli di essere rimasto colpito dal suo coraggio”, ha detto un portavoce della Casa Bianca).

 

“Sono l’unico gay ad aver provato un tantino di fastidio per il modo in cui i media hanno trattato Jason Collins come se fosse un cucciolo di panda bisognoso di essere onorato, festeggiato, consolato e trattato come un minorato?”, ha scritto Ellis, parlando di “Regno dell’Uomo Gay come se fosse un Elfo magico, che ogni volta che esce fuori ci appare come un Extraterrestre santo, il cui solo scopo è di ricordarci la Tolleranza, i nostri Pregiudizi e di Sentirci bene con noi stessi”. “Fascismo gay”, concluse.
E’ lo stesso Bret Easton Ellis che ha spiegato, nella sua intuizione più vera, che “la sentimentalità è sorella della brutalità” in quel dorato mondo di ventenni debosciati, padri senza identità e madri sull’orlo di un abisso emotivo che adesso danno lezioni all’umanità. Al glamorama moralistico è preferibile quello delle orge e che pippa coca.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.