Michel-Gérard-Joseph Colucci, in arte Coluche. All’Hôtel de Ville di Parigi 350 cimeli del suo universo personale: foto, video, oggetti e costumi di scena, con la celebre salopette e i guanti da boxeu

L'attor comico

Mauro Zanon

Coluche, l’enfant terrible della scena francese che sfotteva i potenti e arrivò a candidarsi all’Eliseo. Parigi lo ricorda con una mostra

Si divertiva a deridere i potenti e ad abbattere i tabù della società contemporanea, detestava i protocolli, l’ipocrisia, i perbenisti, il politicamente corretto, ma durante la sua vita, lui che durante l’infanzia aveva conosciuto da vicino la povertà, si adoperò anche per aiutare i più bisognosi, gli esclusi della società, i dimenticati dalla storia, i petits français disprezzati dalle élite di Parigi. La figura di Michel-Gérard-Joseph Colucci, in arte Coluche, è una delle più appassionanti della fine del Novecento francese. E non solo perché grazie alla sua comicità caustica e scorrettissima, che ha rivoluzionato il linguaggio e il pensiero di un’epoca, si è guadagnato uno scranno d’onore fra i più grandi umoristi del secolo scorso, ma anche perché la sua storia di vita, da stella dei cabaret parigini a candidato alle presidenziali, brilla per la sua colorata singolarità. A raccontarla attraverso una grande esposizione a trent’anni dalla sua scomparsa, è l’Hôtel de Ville di Parigi, sede del comune, che ha raccolto 350 cimeli dell’universo personale di Coluche, le sue foto, i suoi video, i suoi oggetti e naturalmente i suoi costumi di scena, compresi la celebre salopette e i guanti da boxeur.

Coluche era un rital, come venivano chiamati les italiens nell’argot popolare francese, un figlio dell’immigrazione italiana sbocciato nella Parigi gioiosa e luccicante dei café-théâtre. Figlio di Honorio Colucci, imbianchino originario di Casalvieri (paesino in provincia di Frosinone), e di Simone Bouyer, fioraia a boulevard de Montparnasse, trascorre la sua infanzia a Montrouge, nella banlieue sud di Parigi, occupando la maggior parte del tempo con gli amici del quartiere, la “Bande Solo” dal nome della cité dove abitava, “la Solidarité”. E’ un’infanzia tormentata la sua, funestata, quando aveva solo tre anni, dalla morte brutale del padre e poi dalla sofferenza quotidiana della madre, costretta a crescere da sola il piccolo Michel e la sorella Danièle, moltiplicando i piccoli lavori per arrivare alla fine del mese. “Quando ero piccolo, a casa, il momento più duro era la fine del mese…soprattutto gli ultimi trenta giorni”, disse Coluche con l’abituale humor. A scuola Michel è irrequieto come l’Antoine Doinel di Truffaut ne “I quattrocento colpi”, ma allo stesso tempo è ammirato dai compagni di classe per la sua sfrontatezza nei confronti degli istitutori. “A scuola ne combinavo di tutti i colori, ma non era per far ridere, era per fare casino. Sono sempre stato più sovversivo che comico”, raccontò nel 1985 al mensile Rock and Folk. Dopo aver abbandonato gli studi e cambiato molti lavori, stanco della monotonia di Montrouge, Coluche comincia la sua erranza a Parigi alla ricerca del successo. Per tirare a campare canta Brassens e Trenet nelle terrazze dei caffè della rive gauche, ma nello stesso periodo, alla fine degli anni Sessanta, debutta anche come cabarettista.

La svolta della sua carriera arriva dopo aver incontrato l’autore teatrale Romain Bouteille, con il quale fonda la compagnia del Café de la Gare. E’ nel teatro omonimo che Michel Colucci si fa conoscere e apprezzare per il suo inimitabile talento, è su quel palcoscenico che nascono i suoi primi personaggi esilaranti, che esporterà subito dopo in televisione e alla radio. Ma i suoi sketch (il più famoso è “Le Schmilblick“, dove Coluche si faceva beffa di un celebre quiz televisivo degli anni Settanta, interpretando un ventaglio di personaggi surreali), amatissimi dal pubblico, vengono considerati blasfemi dai responsabili delle reti televisive e delle frequenze radiofoniche che lo fanno esibire. “Buongiorno, siamo in diretta dalla scogliera delle puttane!”, esordisce un giorno. E viene subito cacciato. Il suo umorismo spinto passava male nella Francia sussiegosa del cristiano-liberale Valéry Giscard d’Estaing. Ma Coluche se ne fregava. Decidevano di censurarlo da una parte? E lui raddoppiava la dose di trasgressione dall’altra. “Sempre grossolano, ma mai volgare”, come rivendicava di essere, Coluche era soprattutto un uomo libero.

Libero al punto da invitare tutta la stampa parigina al Théâtre du Gymnase per quello che doveva essere lo sketch più spassoso della sua carriera, e che poi invece si rivelò essere l’affaire più seria della sua vita: la candidatura alle presidenziali francesi del 1981. “Mi rivolgo a quelli che hanno votato trent’anni a sinistra per niente. Perché, purtroppo, la sinistra non ha fatto nulla. Sono uno di quelli che avevano riposto molte speranze nella sinistra…Parlo anche a coloro che hanno votato la destra trent’anni per niente. Mi sapete citare una promessa mantenuta? Per trent’anni hanno votato per persone competenti e intelligenti che li prendevano per imbecilli. Oggi io propongo loro di votare per un imbecille. Per me. Di solito, votavano per niente. Scegliendo Coluche voteranno per uno che non è niente, se non un astensionista di professione”, disse agli astanti. Il Gymnase, che era uno dei teatri più popolari di Parigi, debordava di giornalisti quando Coluche presentò la sua candidatura alle “elezione pestilenziali”, come le chiamava. Alcuni, nei giorni successivi, non seppero cosa scrivere di questo personaggio in salopette e la faccia rotonda da bouffon di professione che voleva ribaltare il sistema e rompere i protocolli di una République in piena crisi. Altri si rifiutarono.

Il manifesto elettorale del candidato più surreale che la Francia avesse avuto dai tempi di Pierre Dac (come Coluche era un umorista dinamitardo e come il comico italien si lanciò nella corsa alle presidenziali, contro De Gaulle, con il Mouvement ondulatoire unifié e un programma che prevedeva tra le surreali misure il pagamento delle tasse del vicino di casa), recitava così: “Mi appello agli sfaccendati, agli zozzoni, ai drogati, agli alcolizzati, ai froci, alle donne, ai parassiti, ai giovani, ai vecchi, agli artisti, agli avanzi di galera, alle lesbiche, ai garzoni, ai neri, ai pedoni, agli arabi, ai francesi, ai capelluti, ai buffoni, ai travestiti, ai vecchi comunisti, agli astensionisti convinti, a tutti quelli che non credono più nei politici, affinché votino per me, si iscrivano presso il loro municipio e propagandino la novità. Tutti insieme per fotterli in culo con Coluche, il solo candidato che non ha motivo di mentire”. Pubblicato dal settimanale satirico Charlie Hebdo, il manifesto venne accompagnato dall’irriverente slogan di campagna: “Fino a oggi la Francia era piegata in due, con me sarà piegata in quattro”. La Parigi di Saint-Germain-des-Prés arricciò il naso e l’allora candidato alle presidenziali del Partito socialista, François Mitterrand, cominciò a perdere la pazienza e ad attivare le sue reti per intralciare l’irruzione sacrilega di Coluche nell’universo della politica che conta. Il celebre sociologo Pierre Bourdieu, invece, definì queste parole come le più importanti mai pronunciate in Francia dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789.

Lo stesso Bourdieu alzò la voce pubblicamente contro i politici francesi che disprezzavano chiunque provasse a scalfire il loro mondo autoreferenziale: “Mal sopportando l’intrusione dei profani nel cerchio sacro dei politici, alcuni li richiamano all’ordine come i chierici richiamavano i laici alla loro legittimità”. Con lui, altri nomi altisonanti dell’intellighenzia parigina, tra cui il filosofo Gilles Deleuze, lo psicanalista Félix Guattari e il sociologo Alain Touraine, accolsero con sorprendente entusiasmo l’iniziativa del comico parigino. Al punto da firmare una petizione a favore della sua candidatura nella prestigiosa rivista Les Nouvelles littéraires. “Sono dei malati”, commentò Coluche. Ma quella candidatura che era nata come un “canular”, uno scherzo, uno sberleffo, l’ennesimo contro l’establishment, cominciò col passare delle settimane a essere presa sul serio. Si crearono comitati di sostegno in tutta la Francia, sindacati potenti come il Cidunati (organizzazione sindacale di riferimento dei piccoli commercianti e degli artigiani) si dissero pronti a seguirlo, l’ecologista Brice Lalonde dichiarò che Michel Colucci era “uno dei migliori candidati della gauche”, e il Nouvel Observateur, insieme curioso e impaurito, dedicò un dossier intero al “fenomeno Coluche”, nella stessa settimana dell’annuncio della candidatura di Mitterrand.

La redazione di Hara-Kiri, rivista satirica parigina dalla comicità corrosiva, guardava divertita l’ascesa di uno dei suoi compagni di strada (Coluche aveva lavorato come collaboratore), e un giorno pensò di metterlo in copertina: il comico-candidato campeggia alla “une” seduto sul water, con i pantaloni abbassati, la Legion d’onore a coprirgli l’organo genitale e la carta igienica con il tricolore francese sotto il titolo “Coluche: un président bleu-blanc-merde”. I benpensanti gridarono allo scandalo e Valéry Giscard d’Estating, capo di stato in carica nonché bersaglio privilegiato degli sketch di Coluche, decise di passare a metodi radicali per arrestare il comico che stava destabilizzando la République. Chiamò Place Beauveau, sede del ministero dell’Interno, e disse al ministro di allora, Christian Bonnet, di mettergli i servizi segreti alle calcagna, di spiarlo e di scavare nel suo passato per screditarlo. Sui giornali cominciarono a proliferare articoli infamanti, il clima nel mondo politico si fece sempre più ostile nei suoi confronti, e iniziò la censura di stato. Mentre al Gymnase il pubblico invocava “Coluche Président”, alle tre reti televisive e a Radio France arrivarono consegne dall’Eliseo: di Michel Colucci non si parla. Mitterrand, dal canto suo, temendo che il comico potesse sfilargli i voti necessari per diventare presidente, mandò due dei suoi fedelissimi, Gérard Colé e Jean Glavany, a convincerlo a raggiungere il Ps. Coluche rifiutò e poco dopo il Journal du Dimanche pubblicò un sondaggio che tutti a Parigi si ricordano ancora: il 16 per cento dei francesi è pronto a votare per lui al primo turno delle presidenziali del 1981.

Fu l’inizio della fine. La candidatura anti sistema per puro divertimento non faceva più ridere la classe dirigente: Coluche fu oggetto di pressioni e continue minacce, la morte misteriosa dell’amico René Gorlin, regista dei suoi spettacoli, lo scosse profondamente, e a pochi giorni dal primo turno, nell’aprile del 1981, ritirò la sua candidatura, invitando a votare per il candidato socialista Mitterrand. Da quel momento in poi, la vita del comico più popolare di Francia negli anni Settanta e Ottanta continuò tra televisione e cinema, con un passaggio in Italia in “Scemo di guerra” (1985) di Dino Risi, accanto a Beppe Grillo e Bernard Blier.

Nel suo memoir, “I miei mostri”, se lo ricorda così il maestro della commedia all’italiana: “Era figlio della banlieue parigina, parlava argot, sfotteva i potenti con una comicità grassa, da enfant terrible, quei bambini che dicono oscenità con la loro aria innocente, perché non conoscono il significato. Lui il significato lo conosceva benissimo, e ci giocava, e il pubblico si beava (…) Possedeva una ventina di motociclette parcheggiate in cortile e dentro casa, era adorato dai flics che non gli diedero mai una multa. Il capo della polizia era spesso ospite suo (…) Il cuoco era italiano, i camerieri erano tre, un senegalese, un cinese, uno svizzero. Sparsi per la casa sette, otto televisori sempre accesi con l’audio spento. Una sera vidi un gruppo di bambini (figli suoi? No, probabilmente figli di amici o di vicini di casa) che leccavano il gelato davanti a uno schermo sul quale passava un campionario di esecuzioni capitali. ‘Gli fa bene’, diceva, ‘gli passa la voglia di fare del male’”. Prima di morire travolto da un camion mentre guidava una delle sue amate motociclette lungo le strade sinuose della Costa Azzurra, Coluche riuscì a vincere il Premio César come miglior attore per la sua interpretazione in “Ciao Amico” (1983) di Claude Berri, e a fondare i Restos du Coeur, il suo lascito più importante, associazione, tuttora esistente, che raccoglie cibo, soldi e vestiti per i poveri e i senzatetto. Scrisse Dino Risi: “Andò incontro alla morte come quelli che chiedono troppo alla vita, la sfidano ogni giorno, sicuri che tocchi agli altri, come cosa che non li riguarda”.

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