Aleksandr Dugin (immagine di Youtube)

Il Foglio internazionale

Dugin che sussurra a Vladimir Putin

Redazione
E’ a pieno titolo un filosofo politico del ventunesimo secolo, dal pensiero profondo seppure in parte venato di populismo. I suoi lavori sono impregnati di intelligenza almeno quanto di risentimento nei confronti dell’ineludibile potenza americana.

L’impero americano deve essere distrutto” è una delle frasi di Aleksandr Dugin più citate dalla pubblicistica anglosassone che si occupa del pensatore russo (classe 1962) spesso accostato a Rasputin per via della sua supposta influenza sul presidente russo Vladimir Putin e della sua lunga barba. Salvatore Babones, professore dell’Università di Sydney, in un suo lungo saggio sulla rivista australiana Quadrant, ha provato ad andare oltre le citazioni ad effetto. “Dugin condivide con Rasputin l’interesse nelle religioni trascendenti. Ma non è un mero mistico. E’ a pieno titolo un filosofo politico del ventunesimo secolo, dal pensiero profondo seppure in parte venato di populismo. I suoi lavori sono impregnati di intelligenza almeno quanto di risentimento nei confronti dell’ineludibile potenza americana.

 

A Dugin potranno non piacere gli Stati Uniti e il loro crasso materialismo che viene spacciato come il cuore della loro identità, ma le ragioni di questa sua avversione sono comunque frutto di una profonda riflessione. ‘La Quarta Teoria Politica’ è il principale lavoro teorico di Dugin disponibile in inglese. Il suo punto di partenza è un’analisi delle principali ideologie politiche che si sono confrontate nel ventesimo secolo: liberalismo, comunismo e fascismo. Dugin sul punto segue le orme degli influenti intellettuali austro-ungarici Friedrich Hayek e Karl Polanyi, identificando il liberalismo come l’ideologia centrale della modernità, sfidata senza successo prima dal comunismo e poi dal fascismo”.

 

Con la fine del comunismo e del fascismo, sostiene Dugin, “il liberalismo smette di essere semplicemente la prima teoria politica dell’èra moderna e diventa l’unica prassi post-politica. Quando il liberalismo si trasforma da costruzione ideologica a unico contenuto per la nostra esistenza sociale e tecnologica, allora non è più una ‘ideologia’ ma un fatto esistenziale, un ordine oggettivo delle cose. A quel punto qualsiasi tentativo di sfidare la sua supremazia non è soltanto difficile, ma sciocco”. “Dugin non è né un fascista né un comunista – osserva Babones – E’ un consapevole folle post moderno”.

 

Riconoscendo l’impossibilità di sconfiggere il liberalismo, Dugin, “un tradizionale spartano in un modo di ateniesi postmoderni”, teorizza comunque il ruolo creativo di una Russia che scelga di rivitalizzarsi e ringiovanirsi: “Essere o non essere, per dirla in termini amletici – scrive il filosofo – Se la Russia sceglierà di ‘essere’, allora faciliterà la creazione di una Quarta Teoria Politica. Altrimenti per la Russia rimane solo il ‘non essere’, cioè abbandonare in silenzio il palcoscenico mondiale, dissolvendosi in un ordine globale che non è creato né governato da noi”. Anche su ciò si fonda il suo progetto euroasiatico che affascina sempre più Putin. D’altronde, “se Dugin ha ragione quando individua nell’Eurasia il Dasein russo, allora è difficile che questo filosofo sia l’unico cittadino russo a essere attratto da tale idea”.

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