Mario Calabresi con alcuni degli ospiti di RepIdee

Passeggiata tra le idee di Repubblica

Michele Masneri
Roma. Una festa dell’Unità light. Un Festivaletteratura senza bisogno di andare a Mantova. Un Cortina InConTra senza funivia (prima che arrivi la Raggi). Bisogna arrivare fino al Flaminio, sotto le architetture brutaliste-romantiche della defunta Zaha Hadid per vedere cos’è questa RepIdee2056.

Roma. Una festa dell’Unità light. Un Festivaletteratura senza bisogno di andare a Mantova. Un Cortina InConTra senza funivia (prima che arrivi la Raggi). Bisogna arrivare fino al Flaminio, sotto le architetture brutaliste-romantiche della defunta Zaha Hadid per vedere cos’è questa RepIdee2056, festival di Repubblica che per la prima volta arriva nella Capitale, e 56 indica “i prossimi 40 anni” (quelli già passati sono celebrati dalle prime pagine del quotidiano, qui esposte con la celebre “prima” del ’76 e il titolo “E’ vuoto il palazzo del potere”). “E’ tutto vuoto, vedrai, non c’è nessuno”, segnalava qualche antipatizzante, invece alle 19 di un mercoledì di prima estate non ci saranno folle oceaniche però gli appuntamenti più succosi fanno il (quasi) sold out. Certo, al corner D, quello dedicato a RadioCapital, con Vittorio Zucconi e l’archistar all’amatriciana Massimiliano Fuksas, ci sono 26 presenti, e un pubblico un po’ da dopolavoro (un signore chiede: “Qual è la responsabilità dell’architetto se un ladro entra in casa e si fa male?”; si sprofonda nella surrealtà). Però di sopra, nella sala-loft, tutto esaurito per il panel sulla legalità, con Raffaele Cantone e Ilvo Diamanti. Cantone racconta di quant’è difficile il rapporto tra fisco e cittadino in Italia, di aver ricevuto una cartella esattoriale e di non averci capito nulla, e dunque l’ha pagata e basta.

 

Diamanti sostiene che sono passati 20 anni da Mani pulite ma oggi non c’è più nessuna fiducia nei magistrati. “La Seconda Repubblica fondata sul muro di Arcore” (lievi risate in sala) non ha più i suoi eroi popolari. Il 20 per cento ha perso fiducia nei magistrati” (“oohh” di sconcerto). La folla è composta in maggioranza da signore sui 50-60 anni, molte in colori chiari, con pochi mariti brizzolati-canuti, e maglioncino sulle spalle; tutti molto dritti. Verrebbe da fare un sondaggio, chi proviene da quale municipio, parrebbero tutti delle due roccaforti giachettiche, centro storico e Parioli. Poi sale sul palco Carlo De Benedetti, insieme al direttore di Rep., Mario Calabresi. l’Ingegnere, doppiopetto scuro a piccoli quadri, abbronzato al limite dell’ustione, racconta degli inizi di Rep., quando  si decise di fare “un giornale liberale in economia e fortemente riformista in politica”. Proprio in quell’istante si aprono le porte ed entra un’onda anomala, un’altra infornata di sessanta-settantenni, che non trovano posto. Incredibile le folle che attira l’Ingegnere. Ma poi ecco il misunderstanding. Calabresi sul palco annuncia che “il prossimo dibattito, condotto da Massimo Recalcati, avrà luogo di sotto, nella piazza”. Come è entrata, la folla riflessiva allora prende la porta d’uscita e si fionda di sotto. Il tema è: “La perversione come segno del nostro tempo”. Dunque le folle oceaniche sono qui per sentire lo psichiatra comme il faut, aria stropicciata, occhiale da tycoon greco o esistenzialista parigino, chissà quante pazienti avrà fatto innamorare. La prima fila rimane però deserta (le folle riflessive di Rep. forse non vogliono sembrare troppo interessate a tematiche così porcellone). “E’ la perversione che definisce l’umano”, scandisce Recalcati. Dichiara infatti che “non si è mai visto un toro che contempla con desiderio lo zoccolo di una mucca”, poi chiosa con uno strategico “oggi non è più il tempo di Kant ma è il tempo di Sade”, che non si sa cosa voglia dire, ma suona indubbiamente bene. 

 

Le signore dai capelli candidi sono soddisfatte. A proposito di perversione, c’è un angolo ristorante riservato per i vip di Rep., che indossano uno speciale pass. C’è Massimo Bottura, masterchef della Osteria Francescana di Modena, che prima di salire sul palco per il prossimo incontro pilucca il buffet, mentre maestranze scontente del catering dicono “oddio, chissà cosa dirà!”. Bottura sopravvive all’assaggio. Intanto la folla si prepara per seguire l’incontro tra Nicola Lagioia premio Strega e l’omologo anglo-pachistano Hanif Kureishi, si parla di periferie urbane (sala piena). Lagioia dice che da ragazzino Bari vecchia, pericolosa e altera, era la sua Macondo (cioè la città immaginaria di García Márquez). Brividi di piacere in platea. Due signore dietro: “Ah, Macondo”. Sospiri di intesa, lettrici forti. Domani non potranno esserci però perché “Patrizia fa la cena elettorale per Sabrina Alfonsi” (presidente Pd al primo municipio). E dopo il dibattito sulle periferie, l’imbarazzo della scelta: film-verità di Carlo Bonini oppure dibattito con Edoardo D’Erme alias Calcutta, rivelazione cantautoristica della Pontina (bellissimo il suo disco “Mainstream”). Qui arrivano perfino i giovani, con braghe corte e cappellino come lo stesso ventiseienne Calcutta. Oggi giornatona, con Eugenio Scalfari che incontra Matteo Renzi, o viceversa, alle 20.

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