La guerra tra americane privilegiate e latine sottomesse per il diritto a fare figli

Simonetta Sciandivasci
Mentre negli anni Settanta le femministe bianche lottavano per il diritto all'aborto, le donne immigrate venivano sterilizzate a loro insaputa. Un documentario svela il razzismo classista di chi sosteneva di combattere per i diritti di tutte e intanto difendeva solo i propri capricci.
Nei primi anni Settanta, le femministe americane lottavano per l'aborto libero. Non avevano tempo per il resto, nemmeno per le loro ‘sorelle’ con la pelle più scura e la cittadinanza a metà: le immigrate latine, che negli stessi anni venivano sterilizzate indiscriminatamente negli ospedali federali, spesso a loro insaputa. Un documentario del 2015, in onda sulla televisione americana, ripercorre quel periodo e lo scontro tra due universi femminili, quello delle bianche medio-borghesi e quello delle ispaniche della working class. Si chiama "No mas bebes" e l’ha girato Renee Tajima-Peña. Secondo la regista, è grazie alle "dieci di Madrigal" che denunciarono quanto avevano subito negli ospedali della contea di Los Angeles, se oggi in America la libertà riproduttiva ha assunto un significato più ampio. Oggi negli Stati Uniti, dice Tajima-Peña, non ci si limita a ragionare sul mettere al mondo o meno un bambino, ma pure sui rischi di derive eugenetiche e sulla tutela della salute psicofisica della donna prima e dopo il parto.

 

Era il 1973 quando la sentenza Roe vs Wade segnò la storia: la Corte suprema degli Stati Uniti riconobbe alle donne il diritto ad abortire per scelta e non più solo per necessità (ovvero, per tutelare la salute del feto o quella della madre). Alle messicane, intanto, veniva tolto il diritto a scegliere di avere altri figli: ogni stato era obbligato a tenere sotto controllo le nascite per scongiurare un boom demografico e le conseguenti carestie e disordini sociali che gli esperti vaticinavano. La cosa più facile da fare era potenziare il sistema di controllo demografico, badando bene a includervi solo le puerpere immigrate. Così accadeva che donne spesso del tutto a digiuno di lingua inglese arrivavano in ospedale per partorire e firmavano consensi per farsi chiudere le tube, credendo che si trattasse di manovre per facilitare il parto. Alcune pensavano che sterilizzare significasse lavare per rimuovere il sangue. Durante e dopo il processo (che si concluse con l'assoluzione di tutti gli imputati), le donne del movimento Chicano si batterono per ottenere misure drastiche contro questi abusi. Le femministe bianche controbatterono che bastava la sentenza Roe vs Wade e che, anzi, quelle donne latine, con la loro protesta superflua, rischiavano di rimettere in discussione anche il diritto all'aborto e alla libera contraccezione. Ritenevano che allargare lo spettro dei diritti da sussumere nell'ambito della tutela della riproduzione fosse troppo rischioso – dopotutto, non erano loro a correre il rischio di essere scippate della propria fecondità.

 

[**Video_box_2**]Si trattava di uno scontro di pensiero? Più banalmente, a farsi la guerra erano privilegiati e sottomessi, bianche contro nere, emancipazione contro sopravvivenza. Le femministe nere americane, ancora oggi, denunciano il razzismo classista delle colleghe bianche, la loro incapacità di scorgere l'intima connessione tra struttura e sovrastruttura, l’insensibilità al bisogno di abbattere le barriere socio-economiche. La tenacia delle donne latine è stata sufficiente ad abbandonare il controllo demografico (non era facile, visto che in California vigeva un ordinamento eugenetico cui s’ispirano i nazisti il cui refolo culturale soffia ancora: nelle prigioni federali, tra il 2005 e il 2011, ben 144 detenute sono state sterilizzate) e a perseverare, nonostante l'isolamento in cui le americane cercarono di relegarle. Le lotte delle “10 di Madrigal” aprirono la strada per ottenere una legge sul consenso informato, documenti medici scritti nella lingua del paziente, l'obbligo di far trascorrere 72 ore tra la scelta di una donna che vuole farsi chiudere le tube e l'effettiva operazione, insomma un paese dove decidere se diventare madre due o dieci volte diventasse un diritto umano universale da difendere. L’aver ostacolato questa transizione, tuttavia, non sembra crucciare le femministe bianche americane, che continuano a restare sempre e solo dalla parte delle proprie simili. Accade, forse, quando s’indugia nel trascurare quanto profonde siano le radici dei diritti e che quelle radici si chiamano doveri verso la vita altrui.   

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