Manifesto del n. 1 di Oxford contro il “porridge pol. corr.”

Antonio Gurrado
Lord Patten, cancelliere ossia supremo vertice di Oxford, ha sottolineato il dovere di “essere più generosi nel promuovere la diversità di censo, di genere e di razza” senza però “intraprendere azioni sconsiderate che minerebbero la qualità di ciò che insegniamo, e che potrebbero mettere in dubbio la capacità di essere selezionati per studiare qui esclusivamente sulla base del merito”.

Lord Patten, cancelliere ossia supremo vertice dell’Università di Oxford, ex presidente del Bbc Trust nonché ultimo governatore britannico di Hong Kong, ha trasformato una pittoresca cerimonia togata in formidabile rivendicazione del mandato sociale dell’accademia contro la correttezza politica più ovina. Nello Sheldonian Theatre, alla cerimonia d’insediamento del nuovo vicecancelliere, quando la stampa era già pronta a ricamare sul fatto che dopo duecentosettantuno maschi Louise Richardson fosse la prima donna chiamata a dirigere la politica accademica di Oxford, Patten le ha rubato la scena dandole il benvenuto con un discorso che era anche una spiegazione, anzi, la descrizione di Oxford così come viene consegnata alla neoeletta che proviene dall’università scozzese di St Andrews. In una cerimonia contrappuntata da sorrisini paralizzati da distacco ironico e rassegnazione alle tradizioni, Patten ha sintetizzato le caratteristiche fondamentali di Oxford in “autonomia” e “libertà”, rifacendosi a Edmund Burke per il quale una società può essere ordinata e giusta solo se alberga grandi istituzioni indipendenti. Ha riconosciuto il dovere di “essere più generosi nel promuovere la diversità di censo, di genere e di razza” senza però “intraprendere azioni sconsiderate che minerebbero la qualità di ciò che insegniamo, e che potrebbero mettere in dubbio la capacità di essere selezionati per studiare qui esclusivamente sulla base del merito” – questo alla faccia di chi vorrebbe favorire l’integrazione riservando quote di ammissione a specifiche minoranze.

 

Non ha espressamente menzionato la campagna di alcuni studenti per l’abbattimento della statua di Cecil Rhodes – vissuto tra 1853 e 1902, colonizzatore in Africa ergo razzista – esposta all’Oriel College (poco male: l’ha citata poco dopo in un’intervista a Radio 4) ma ha detto chiaro e tondo che casi come questi “minacciano la libertà accademica dall’interno della stessa comunità universitaria”, oltre ad attrarre l’attenzione dei media in maniera “proprio deprimente, benché non sorprendente”. Al nuovo vicecancelliere Patten ha raccomandato di tornare ai fondamentali, all’idea che “le università sono istituzioni il cui principio incrollabile dovrebbe essere la libertà di argomentare e dibattere” e in cui “bisogna valorizzare la tolleranza” anche se ciò implica ascoltare studenti che strillano contro la libertà di parola e per il “no platforming”, ossia la revoca del diritto di tribuna con cui i sindacati studenteschi hanno fulminato chi, dai nazionalisti agli omofobi, non rientra “nei confini della loro nozione di ciò che è politicamente, culturalmente e moralmente corretto”.

 

[**Video_box_2**]Parlando a nome di tutta la comunità oxoniana, ha spiegato che “l’istruzione non è indottrinamento. La nostra storia non è una pagina bianca su cui possiamo scrivere la nostra versione di ciò che sarebbe dovuto accadere secondo le nostre prospettive o pregiudizi attuali”. Altrimenti Oxford stessa non funzionerebbe, poiché parte dell’università è stata costruita e finanziata “per mezzo di attività che oggi verrebbero condannate”. A titolo personale ha aggiunto che va bene ascoltare, però “sarebbe pusillanime non dire ciò che pensiamo”: e lui pensa che, se si finisse per tollerare l’intolleranza dei politicamente corretti, si trasformerebbe Oxford in “una blanda e smorta periferia psicologica in cui si mangia del porridge intellettuale”. Invece, in un momento in cui l’ordine del mondo libero è minacciato, “le università sono fra le principali istituzioni che possono resistere alla marea hobbesiana”. Perdere senza combattere sarebbe un tradimento, ha concluso, “non solo dei princìpi che hanno forgiato la nostra storia e il nostro presente” ma soprattutto “di ciò che un’università dovrebbe essere”. Quando la processione in toga s’è avviata verso l’uscita dello Sheldonian Theatre, meno gente sorrideva.

 

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