Il sindaco di Londra, Boris Johnson, al tiro alla fune durante il London Poppy Day dello scorso anno (foto LaPresse)

Nuovi paladini della parola libera

Antonio Gurrado
Non solo Lord Patten e la sua difesa di Cecil Rhodes. Spettacolo, informazione, politica. Chi sono i nuovi campioni inglesi che lottano gagliardi contro le follie del pensiero unico. L’ideatore della prima campagna anti pol.corr., John Midgley, contro la morsa europea stretta attorno alla Gran Bretagna.

Non disturbatevi a visitare il sito della campagna contro il politicamente corretto che coraggiose mani inglesi avevano imbastito una decina di anni fa: la homepage del Capc, acronimo di Campaign Against Political Correctness, è mestamente disattivata e reca soltanto la notizia che il dominio è in disuso oppure in vendita. Del progetto originario restano sparse vestigia sulle pagine virtuali di Wikipedia, l’unica a riportarne il logo, e soprattutto del Bruges Group, think tank apartitico impegnato ad allentare la morsa europea stretta attorno alla Gran Bretagna. Qui è ancora possibile reperire un intervento altrettanto antico dell’ideatore della campagna, John Midgley, orgoglioso nel rivendicare fra gli obiettivi quello di “porre fine all’accettazione delle direttive comunitarie che minano lo stile di vita britannico”, a cominciare da quelle che intendono limitare la libertà di parola e di pensiero: la creazione dell’European Institute for Gender Equality e del Monitoring Centre for Racism and Xenophobia (che dal 2007 è diventato la più vaga Fundamental Rights Agency), la pubblicazione di un manuale di storia europea per bambini che evitava di citare le due guerre mondiali e i tentacolari finanziamenti mirati a implementare progetti per l’integrazione e la parità. Ironia della sorte, buona parte dei siti europei politicamente corretti citati da Midgley dieci anni fa funzionano ancora.

 

Per questo motivo le parole pronunciate la scorsa settimana dal cancelliere dell’università di Oxford (il Foglio del 14 gennaio) contro il politicamente corretto hanno avuto un’eco spropositata: cadevano in un campo di battaglia rimasto deserto. Lord Patten si è rivolto agli studenti che protestano contro la statua di Cecil Rhodes all’Oriel College, di cui il colonialista ottocentesco era stato alunno e benefattore; costoro ne pretendono l’abbattimento sulla scorta dell’idea che Rhodes, pur essendo morto da cent’anni, non ottempera alle idee antirazziste comunemente accettate oggi. Mentre il college s’è persuaso a prendere più che seriamente in considerazione l’eventualità di mutilarsi per paura di offendere una minoranza, Patten ha tuonato che “la storia non è una pagina bianca su cui possiamo scrivere la nostra versione di ciò che sarebbe dovuto accadere secondo le nostre prospettive o pregiudizi attuali”, parole pronunziate in modo efficace ma che a ben vedere altro non veicolano che dell’accettabile buon senso su cui la storiografia si basa da tempo immemorabile. Identico buon senso animava le intenzioni di Midgley quando, scrivendo per il Bruges Group, proponeva a ridosso dell’approvazione della Costituzione europea un referendum specifico per bloccare le direttive ritenute lesive della libertà di espressione.

 

Perché le sue idee sono finite su un binario morto? Un po’ per insipienza dello stesso Midgley, che le ha avanzate in modo ingenuo, senza saper opporre allo spiegamento di forze dell’Unione europea una retorica limpida come quella dimostrata da Patten. Un po’ perché in Inghilterra, a parità di assurdità fra due posizioni contrapposte, per malintesa buona educazione tende a perdere terreno quella che si ritiene possa offendere chicchessia. Infine perché la battaglia contro la correttezza politica Oltremanica si è rifugiata sovente nello sberleffo, anche barocco e divertente ma fine a sé stesso, come per esempio il libro che lo stesso Midgley aveva scritto con la moglie Laura: “The Politically Correct Scrapbook”, volume illustrato in cui tradizionali canzoncine per l’infanzia tipo “Beeee beee pecora nera” diventavano robe tipo “Beee beee pecora multicolore” e così via. In Inghilterra la scorrettezza politica, come le minoranze che intende criticare e provocare, s’è rinchiusa in un recinto autoreferenziale privo di un progetto politico e incatenato al miraggio di puntigliose ma discontinue vittorie in risse verbali.

 

Infatti oggi è bianca (“404. That’s an error”) anche la homepage del blog di Simon Darby, portavoce del British National Party assurto nel 2014 agli onori delle cronache per essersi scagliato contro l’ipocrisia della chiesa anglicana quando l’arcivescovo di Canterbury aveva ammonito il clero dall’aderire ai partiti nazionalisti perché, così facendo, sarebbe incorso nel “peccato di razzismo”. La notizia era stata letta dai giornali come una scomunica al Bnp ma Darby era saltato su a dire l’indicibile: “Alla chiesa d’Inghilterra interessa più emettere luoghi comuni politicamente corretti che seguire i versetti della Bibbia. E’ stata dirottata dai neomarxisti. Non sorprende che la gente non frequenti più le chiese”, aveva dichiarato, senza limitarsi a lamentare “la politicizzazione della chiesa” e “la caccia alle streghe” ma svelando al Daily Telegraph di conoscere sacerdoti anglicani che erano inconfessati membri del Bnp. Poi però non aveva resistito alla tentazione della spettacolarità autoreferenziale (“In quanto membro del Bnp potrò comunque essere sepolto in terra consacrata?”) finendo per incartarsi quando gli era stato chiesto se ritenesse “invasori africani” tutti i neri britannici, a cominciare dal vescovo di York John Sentamu: “Non direi che è un invasore, ma sicuramente è africano”.

 

Ancora più a destra si colloca la performance di Paul Weston, fondatore del microscopico partito Liberty GB che alle ultime elezioni politiche ha goduto di quattrocentodiciotto voti. Erano stati di più, circa duemila, alle europee del 2014, non molto dopo che Weston era stato arrestato dalla polizia di Winchester per avere pubblicamente pronunciato frasi anti-islamiche sui “costumi improvvidi”, i “sistemi agricoli sciatti”, i “metodi commerciali fiacchi” che vigono “fra i seguaci del Profeta”, ove “migliaia di persone diventano soldati della fede, coraggiosi e leali; tutti costoro sanno benissimo come morire mentre l’influsso della loro religione paralizza lo sviluppo sociale di chi la professa”. Portato via mentre dichiarava che “non esiste al mondo potenza più strenuamente retrograda”, Weston colpiva per l’aria mite e per la pervicacia con cui stringeva il libro da cui leggeva queste frasi: non un pamphlet stampato a proprie spese da un ossesso islamofobo bensì “The River War” di Winston Churchill, proprio lui. Weston ha avuto l’opportunità di diventare il simbolo della persecuzione contro la libertà d’espressione – venire arrestati per avere citato testualmente una gloria nazionale non è da tutti – ma il suo partito, per quanto molto attivo, non ha sfondato nonostante un notevole attivismo online, l’incontro coi patrioti tedeschi di Pegida e una capillare diffusione di video su YouTube fra cui spiccano i sette minuti in cui, con la cravatta d’ordinanza e il Millennium Dome alle spalle, lui esordisce dichiarando: “Ciao, mi chiamo Paul Weston e sono razzista”.

 

Ne risulta che i Tory (alla cui quota si può agevolmente ascrivere anche Patten) devono inseguire su un terreno così sdrucciolevole le formazioni minori della destra britannica. Ci tiene molto Philip Davies, rubizzo parlamentare da tre legislature, che ha ripreso la fraseologia di Midgley sulla “perniciosità della correttezza politica” e ha cercato di tradurla in attività parlamentare. Ad esempio nello scorso novembre, quando si è espresso apertamente riguardo al fatto che “qualsiasi cosa facciamo o discutiamo qui alla Camera dei Comuni sembra partire dal presupposto che tutto sia a priori ostile alle donne e che pertanto vi si debba rimediare”; ha puntato il dito contro le colpe dei “maschi politicamente corretti” e ha definito “la cosa più deprimente possibile” la recente istituzione di una commissione parlamentare per le Pari opportunità di genere. Maria Miller, che la presiede, non ha esitato a rimbrottarlo pur sedendo assieme a lui sui banchi dei Tory a Westminster.

 

Davies è un backbencher ma non è nuovo a simili exploit. Otto anni fa, in pieno governo laburista, aveva iniziato a inviare piuttosto compulsivamente lettere a Trevor Phillips, presidente della commissione parlamentare per le Pari opportunità e i diritti umani, ponendogli formalmente questioni paradossali che portavano alle estreme conseguenze la logica del politicamente corretto, mirabilmente antologizzate dal Guardian. Il fatto che il premio letterario Orange per la narrativa femminile vada sempre a un’autrice non discrimina gli scrittori? Il fatto che la Metropolitan Black Police Association ammetta solo membri neri non è tanto discriminatorio quanto la scelta di avere solo iscritti bianchi da parte del British National Party? Perché le liste delle donne o dei neri più potenti del Regno Unito vengono ritenute un incentivo all’integrazione mentre liste simili limitate agli uomini o ai bianchi verrebbero viste come discriminatorie? Idem per il concorso della nera più bella della Gran Bretagna e per i corsi di bicicletta per donne asiatiche. E come la mettiamo col fatto che il governo non fa assolutamente nulla per impedire la discriminazione degli obesi, dei tappi, dei calvi? Un concorso di bellezza riservato a sole donne bianche sarebbe legale? E un premio letterario riservato agli uomini?

 

[**Video_box_2**]Davies non solo ha ragione – lo dimostra il fatto che Phillips prima ha iniziato a rispondergli formalmente in maniera circostanziata e poi, man mano che il limite dell’assurdità veniva spostato sempre oltre dalla logica del politicamente corretto, è passato ai monosillabi – ma ha anche la sfrontatezza di porsi in attrito con gli altri Tory, dichiarando apertamente che non sa se David Cameron concordi con le sue idee ma che, in caso contrario, non sarebbe la prima volta quindi pazienza. Si è fatto carico del ruolo di portavoce parlamentare della Capc e le è sopravvissuto. Dopo il famoso discorso dello scorso novembre ha avuto gioco facile nel rintuzzare le risatine isteriche delle femministe labour facendo notare, numeri alla mano, che nel Regno Unito sono in aumento i suicidi dei maschi quarantenni e come il Parlamento che si era confrontato per due secoli sulla questione sociale degli uomini proletari adesso accantonava le loro istanze per concentrarsi su quelle di minoranze alla moda. Davies però ha commesso il solito errore in quanto ha scelto di intervenire sul tema proprio il 19 novembre che, a quanto pare, è la giornata mondiale dell’uomo, inteso come maschio, inteso insomma come membro di una minoranza recintata; così che la sua battaglia contro la correttezza politica s’è automaticamente rivoltata in battaglia politicamente corretta per mutare le forze in campo.

 

E dire che il leader politicamente scorretto i Tory ce l’hanno in casa e non passa affatto inosservato: è Boris Johnson, ancora per poco sindaco di Londra, terrore dei benpensanti sinistrorsi che sul New Statesman gli dedicano previsioni distopiche su quanto sarebbe orribile se davvero un giorno diventasse primo ministro. Eppure, capigliatura a parte, Johnson non può essere paragonato a un Donald Trump, cui lo accomuna la capacità di dire ad alta voce ciò che molti si vergognano di pensare ma da cui lo separa una sottigliezza intellettiva e retorica più che ammirevole. Il Daily Telegraph lo adora e oltre a ospitarlo in una rubrica fissa ha selezionato le sue cinquanta frasi più succulente: è uno che, quando gli chiedono se arriverà mai a Downing Street, risponde che è più probabile trovare Elvis su Marte o reincarnarsi in un’oliva; dice che “votare per i Tory ingrandirà le tette di vostra moglie e aumenterà la probabilità che compriate una BMW”; definisce i Liberal Democratici, ex alleati al governo nazionale, “un vuoto in una vacuità circondata da una carenza” e dichiara di “sostenere la campagna di David Cameron in favore del proprio puro e cinico interesse privato”. Per lui i pacifisti appartengono alla “religione più settaria e più spietata nei confronti degli infedeli”. Sembra l’unico politico capace di trascinare il politicamente scorretto fuori dal confine del pittoresco trasformandolo in stile di vita privato e programma pubblico di approccio alla politica ma, visto che i Tory lo reputano oramai per lo più un ingombro, c’è da credere che la strada verso il governo gli sarà sbarrata dalla sua stessa arguzia.

 

Non solo Patten, dunque: ci sono ancora in Inghilterra alcuni paladini del politicamente scorretto ma le loro voci, distanti e inconciliabili, gridano nel deserto. Nel vuoto della politica è inevitabile che il loro vessillo venga raccolto dallo spettacolo e dalle più spettacolari frange della cultura, anche di sinistra, come Charlie Brooker, sulfureo autore della serie “Black Mirror” e inarrivabile columnist del Guardian. Ora però che Christopher Hitchens è morto e Martin Amis non sembra in grande spolvero, le più significative battaglie vengono connotate politicamente da destra e riprese dal tabloid Daily Mail nel tentativo di scrivere pagine nuove di conservatorismo popolare aggressivo. Lì è uscita l’intemerata di Amanda Platell (ex collaboratrice dell’ex ministro degli Esteri conservatore Lord Hague) contro “The Great British Bake Off”, il talent televisivo che aveva visto la vittoria di Nadiya Hussain, pasticcera dilettante musulmana in hijab, sul medico indiano omosessuale Tamal Ray. La Platell ha definito la trama della competizione “un trionfo della correttezza politica” a danno di concorrenti privi di appeal minoritari: “La povera Flora Shedden non aveva speranze. Era troppo piccoloborghese ed è stata eliminata dopo che la sua giostra di cioccolato è stata reputata insufficiente. Avrebbe avuto più chance se col cioccolato avesse costruito una moschea”.

 

Sempre sul Mail è apparsa la denuncia da parte di un commissario del Surrey, Kevin Hurley, che ha rinfacciato alla polizia metropolitana di avere favorito l’ingresso ad alto livello dirigenziale del funzionario Ali Dizaei, nonostante ci fossero più che sospetti riguardo alla sua corruzione, “entro un clima di isteriche accuse di razzismo istituzionale” che hanno portato alla “disperata ricerca di dirigenti appartenenti a minoranze etniche”. Mentre i quotidiani broadsheet traccheggiavano, il Mail ha guidato la campagna in favore di David Starkey: un professore al quale gli studenti di Cambridge vogliono far fare la fine della statua di Cecil Rhodes per avere pronunciato frasi razziste a commento delle rivolte di strada dell’estate 2011 (“I bianchi stanno diventando neri: va di moda una cultura nichilista da gangster, violenta e distruttiva”), ottenendo per ora la soppressione dei video promozionali dell’università in cui il professore si permetteva addirittura di parlare.

 

L’ultima parola spetta a Ed West, giornalista cattolico, autore del saggio “The Diversity Illusion” e attualmente collaboratore dello storico settimanale conservatore The Spectator, dove si scatena contro correttezza politica e multiculti: la scorsa settimana ha demolito l’idea che “l’immigrazione sia sacra e il multiculturalismo un bene morale in sé, indipendentemente da cosa ne risulti”, argomentando che la correttezza politica si autoalimenta perché i suoi propugnatori sono istintivamente portati a proteggere a priori chi presumono possa essere vittima di discriminazione. In precedenza aveva spiegato che l’attecchimento di idee politicamente corrette non ha a che fare con apertura e accoglienza bensì con l’imposizione e la dimostrazione del potere da parte di una classe sociale che si caratterizza come “ben istruita, ricca, giovane, probabilmente attraente e in pieno possesso di capacità sociali”, ossia una élite tutt’altro che minoritaria o perseguitata. Ed West però è un’altra voce che grida nel deserto. Nel 2009 era stato completamente inutile il suo sforzo di bollare, sul Telegraph, il Regno Unito come primo stato totalitario politicamente corretto, “un’ateocrazia” i cui sudditi più riottosi si concentrano sulle implicazioni ridicole della correttezza politica ma non notano la sua “fondamentale caratteristica di occludere il dibattito e rendere le idee contrarie completamente verboten”, senza accorgersi che “è solo questione di tempo perché diventino non solo indicibili ma anche illegali”.

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