La guerra del Giappone al politicamente corretto

Giulia Pompili
Sui media giapponesi si parla da giorni di un report dell’Autorità per l'informazione geospaziale di Tokyo. Un mese fa l’Istituto, che si occupa, tra le altre cose, delle mappe del paese, ha proposto al governo di sostituire diciotto simboli tradizionali delle cartine nipponiche per renderle più “comprensibili” ai turisti, soprattutto in vista delle Olimpiadi del 2020.
Sui media giapponesi si parla da giorni di un report dell’Autorità per l'informazione geospaziale di Tokyo. Un mese fa l’Istituto, che si occupa, tra le altre cose, delle mappe del paese, ha proposto al governo di sostituire diciotto simboli tradizionali delle cartine nipponiche per renderle più “comprensibili” ai turisti, soprattutto in vista delle Olimpiadi del 2020. Ed effettivamente per un  occidentale non è facile orientarsi nella simbologia giapponese, dove un H sta per hotel, e non per ospedale, la X sta per polizia e i cimiteri sono contrassegnati da una T rovesciata (guarda qui tutti i simboli).

 

Il fatto è che quando si tratta di modificare la tradizione storica di un paese per conformarsi alle necessità dei turisti, spesso si finisce per sbagliare qualcosa. Oltretutto, l’occidente del politicamente corretto è sempre in agguato. A scatenare l’opinione pubblica giapponese è stata soprattutto la proposta dell’Autorità di togliere dalle mappe il carattere che corrisponde ai templi buddisti, che si chiama manji (卍), ed è simile a una svastica nazista. Per la verità il carattere è di origine sanscrita, e in Asia è stato usato per secoli come simbolo di prosperità, ricchezza e felicità dalla tradizione buddista: la maggior parte dei templi, in Giappone, hanno il manji sulle loro facciate.  La croce uncinata nazista è un’altra cosa, ed è stata creata in tempi molto più recenti, ha detto Ryoka Nishino, portavoce della Federazione buddista giapponese al South China Morning Post.

 

[**Video_box_2**]I diciotto simboli più “fastidiosi” per i turisti sono stati scelti dopo un mese di consultazioni con un migliaio di visitatori stranieri provenienti da 92 paesi diversi (qui i risultati, in giapponese). L’Agenzia ha proposto dei simboli sostitutivi, che si chiamano chizukigou, e sono più intuitivi, comprensibili anche per il più pigro dei turisti.  A fine marzo il governo dovrà decidere, anche considerando le reazioni online alla faccenda. I giapponesi, consci della tradizione storica del simbolo, non sono d’accordo con la raccomandazione dell’Agenzia, e l’argomentazione è quasi sempre la stessa: il manji non è una svastica, chi si sente offeso non conosce dodicimila anni di storia del simbolo (Insegnate alle persone e lasciate il manji sulle mappe, dal Japan Times). Ma la legge del turista occidentale, purtroppo, ammette ignoranza. E le Olimpiadi del 2020 sono alle porte: il Giappone finirà per fare i conti con il nostro politicamente corretto, e coprire i propri templi per pudore.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.