Con tutti i casini che ha, Putin aveva proprio bisogno di Fred Durst?

Giulia Pompili
Fred Durst prende schiaffi a destra e manca. Ma sembra essere arrivato il momento del riscatto, in Crimea

Negli anni Novanta c’erano quelli che ascoltavano i Limp Bizkit e quelli che ascoltavano i Rage Against The Machine (i primi, di solito, avevano i capelli impomatati, ed erano un po’ scemi. I secondi si lavavano poco e facevano le occupazioni a scuola). Però le due band non sono mai state rivali come i Blur e gli Oasis, tantomeno come i Beatles o i Rolling Stones – e parlo delle rivalità musicali che si trasmettono tra i fan, un po’ quello che succede oggi tra i “directioners” e i “biebers”. E questo perché il cantante dei Limp Bizkit, Fred Durst, è un caso curioso nel mondo delle rockstar. Americano fino alla caricatura di se stesso (su Twitter si definisce skateboarder, ballerino di breakdance, un tatuatissimo ragazzo del sud che si infila in pantaloni col cavallo molto basso e indossa solo, esclusivamente felpe col cappuccio e cappellini con la visiera piatta). Fred si è sempre dichiarato un grande fan dei Rage Against The Machine. Non ricambiato, ovviamente. Il bassista dei Rage, Tim Commerford, lo bullizza dal Duemila, cioè da quando agli Mtv Music Awards i Limp Bizkit vinsero il premio come miglior video e Commerford fece “invasione di campo”, sul palco. A fine settembre Commerford ha pure detto che era dispiaciuto per aver “ispirato una merda del genere”, riferendosi alla cover del brano dei RATM “Killing in my Name”, quella che i Limp Bizkit suonano a ogni concerto piuttosto orgogliosi.

Insomma, Fred Durst prende schiaffi a destra e manca. Ma davvero. Forse più dei Nickelback. La sua è stata votata la band più odiata d’America, per varie ragioni antropologiche e stilistiche. Ma a ben guardare le notizie degli ultimi giorni, sembra essere arrivato il momento del riscatto di Fred. Qualche tempo fa il cantante, che è nato a Jacksonville, in Florida, nel 1970, ha espresso il desiderio di cambiare cittadinanza. Vorrebbe il passaporto russo. E una casa in Crimea.

Ecco i fatti. All’inizio di febbraio Durst era ospite di una trasmissione del canale russo Rock FM. Così, preso dal momento, ha speso parole meravigliose per il paese di Vladimir Putin, che lo ospiterà insieme con la sua band per un tour che durerà quasi un mese, dal 31 ottobre fino al 27 novembre. A chi lo intervistava ha detto: “Se avete qualche contatto con le autorità, che possono aiutarmi a ottenere il passaporto, fate passaparola!”. Ha detto pure che la realtà russa è molto diversa da come la raccontano i media, che la sua missione è quella di mostrare al mondo che la Russia in realtà è un posto “davvero molto fico!”. L’agenzia russa Sputnik ha subito rilanciato le intenzioni della rockstar, dicendo che oltretutto non era mica il primo vip internazionale a decidere di passare al blocco ex sovietico: “Nel 2013 anche il leggendario attore francese Gérard Depardieu ha ricevuto la cittadinanza dal presidente Putin”. Durst va spesso a Mosca da almeno un paio di anni, e lì i Limp Bizkit hanno addirittura un discreto successo. Ha dovuto rinnegare pure sua moglie, l'ucraina Kseniya Beryazina, dicendo in un video che se si dovesse sposare di nuovo sarebbe "al cento per cento" con una russa. Il mese scorso ha messo su Instagram il video di lui in compagnia di Steven Seagal, un’altra cariatide che si è reinventata immagine della Russia nel mondo. La notizia però è tornata sui social network ieri, quando l’ambasciata russa in Inghilterra (particolarmente disinvolta nei cinguettii), ha tuittato a @FredDurst: Dice che vuole vivere in Crimea – benvenuto!

Il nostro Al Bano, almeno, tiene dei concerti che fanno tutto esaurito in Russia, e il 30 per cento di share qui da noi. Con tutti i casini che ha Vladimir Putin in questo momento, davvero si meritava pure Fred Durst?

 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.