Sophia Loren, ospite alla sfilata di Giorgio Armani alla Settimana della Moda di Milano, collezione Primavera/Estate 2016 (foto LaPresse)

Un ultimo sguardo a quel carrozzone spavaldo della Fashion Week milanese che già ci manca

Stefano Sgambati
Cala il tramonto sulla kermesse e ci si rende conto che da alieni, come ci si sentiva nei primi giorni, si è diventati piuttosto affascinati da questo mondo alla rovescia dell'ostentazione. Alla faccia di chi prova a deriderlo

Come nelle migliori narrazioni “circolari”, la Fashion Week milanese finisce com’era cominciata, col cielo grigio più che azzurro e qualche sciarpa (si dice “pashmina”) che ricompare intorno al collo - degli uomini secondo la modalità del “nodo francese”, o del “falso nodo”, o ancora “dell’incrocio informale”; “a cascata” o “a effetto stola”, oppure “a orecchie di coniglio”, per quanto riguarda le donne - e gli ombrelli, rigorosamente a pois, quasi mai a tinta unita: devono essere tornati di moda quelli classici a manico curvo di legno che mi sono sempre piaciuti avessi mai trovato il modo di tenerli davvero appesi all’avambraccio senza doverli recuperare da terra ogni due passi. Non piove, né minaccia di farlo, ma negli ultimi giorni ho scoperto l’importanza dell’accessorio: perciò nel dubbio meglio con che senza, in barba a Coco Chanel per cui togliere sempre qualcosa prima di uscire era un atto fondamentale. E sì che forse anche questo, in fin dei conti, è un istinto di conservazione innocente: una specie di  “horror vacui”, l’eccesso come arma di difesa contro la propria contingenza. Per paradosso, più si va avanti, più aumentano le risorse tecnologiche e la conoscenza scientifica, quindi la “consapevolezza” su chi siamo, da dove veniamo e dove andremo, più mi sembra di percepire il rifiuto ostinato della mortalità. C’è qualcosa che ha che fare col dolore anche nella spavalderia ostensiva estrema, perciò non riesco a essere critico fino in fondo. Sto cominciando a sviluppare, anzi, una specie di stranissimo affetto e comprensione verso Tutto Questo.

 


Street style alla sfilata Vivetta (foto LaPresse)


 

Come a conferma, non vengo colto dalla solita angoscia senza nome avvicinandomi a Piazza Gae Aulenti direttamente dal Quadrilatero della Moda (Via Montenapoleone, Via Manzoni, Via della Spiga, Corso Venezia); anzi, direi che il nostro rapporto è ormai simile a quello che si instaura con certi vu-cumprà in spiaggia dopo tanti giorni di vacanza, che al fastidio naturale per il disturbo inferto inevitabilmente si accompagna all’improvviso un certo grado di affetto dovuto al piacere di riconoscerli e di essere riconosciuti. Durante il percorso di circa due chilometri e mezzo non (mi) succede assolutamente nulla o forse sono io che non riesco più a coglierlo. Credo di aver letto troppi articoli negli ultimi giorni, quasi tutti critici, ironici e di essermi clamorosamente schierato. Gli speciali “frizzanti” à la “Vice”  in cui si va in giro per la “Milano da bere” a fare domande fondanti sull’attualità, la cultura e la politica ai soggetti vestiti in modo più curioso mi sembrano disonesti e violenti, un po’ pornografici, se vogliamo, e poi a che pro? Chiedere della situazione ucraina o dello Stato islamico a qualcuno perché è “strano” non è probante di nulla e anzi spiega un sacco di cose solo a proposito di chi pone la questione in tali termini e nulla dice del bersaglio. Certo, non ci crede nessuno quando dico che no, non sono stato alla sfilata di Philip Plein - anche quest’anno, a quanto ho capito, il momento più cool del carrozzone (un evento a metà tra il sordido, il kitsch, l’irrinunciabile, l’epocale, il punk, il cyber punk, il grottesco e l’ipermoderno, a proposito del quale chiunque sciorina un’aneddotica leggendaria con occhi lucidi, tranne me, appunto) - e quasi si strappano i capelli impomatati se oso confessare che fino a una settimana fa non avevo idea nemmeno di chi fosse Philip Plein; però non mi sento migliore di loro, anzi. Che cosa sta facendo quella ragazza che è uscita di casa indossando una tunica cucita e rattoppata coi colori della bandiera americana se non urlare un gigantesco “vaffanculo” al mondo? Lei se ne sa fregare di me e di noi molto di più di chi la va a intervistare provocatoriamente cercando di farla cadere in errore per metterla così davanti alla sua presunta  marginalità culturale. Piuttosto mi godo il sole che è di nuovo spuntato.

 

So un sacco di cose che prima ignoravo: per esempio che la prossima moda donna 2016 avrà a che fare con le linee morbide, con le asimmetrie inaspettate, gli accostamenti audaci e l’aggressività. Che le tonalità saranno quelle dell’oro, della sabbia e dell’“ottone”, ma che il bianco e nero non morirà mai; preparatevi a tacchi quadrati, tornerà il plateau. Comprerete borse a bauletto, con un clamoroso riproporsi di zaini. Poi i gioielli: l’andazzo, anche qui, sarà la dimensione esagerata. E i pendenti: saremo seppelliti dai gioielli pendenti.

 

[**Video_box_2**]Così riecco, infine, la punta dello sterminato grattacielo “Unicredit” stagliarsi all’orizzonte, la quale approfittando di una parvenza di ritrovato sereno si illumina, se non d’immenso poco ci manca. Da domani non avrò più motivo di tornare a farmi vedere da queste parti: sto per essere espulso per sempre e già mi manca il ventre di questo gigantesco cetaceo che è la Fashion Week.

 

Un ultimo sorso distratto al mio cappuccino verde “Matcha” e chi s’è visto s’è visto.