Le donne inglesi hanno le manie di persecuzione, nonostante Thatcher

Antonio Gurrado
Quando Yvette Cooper ripete che ormai il Labour deve dotarsi di un leader donna non tiene presente che, se la discriminante è il genere, allora perché scegliere lei anziché la candidata rivale Liz Kendall?

Quando Yvette Cooper ripete che ormai il Labour deve dotarsi di un leader donna non tiene presente che, se la discriminante è il genere, allora perché scegliere lei anziché la candidata rivale Liz Kendall? E che senso ha urgere dei progressisti a fare con trent’anni di ritardo ciò che già è stato fatto da conservatori presumibilmente più retrivi? Ma la Cooper colloca il proprio appello entro un contesto britannico che presuppone catastrofico, in cui essere donna è un’emergenza sociale. Non è sola nel vittimismo. Subito dopo l’articolo dell’Observer che istigava al revisionismo femminista nella storia della letteratura inglese, Kate MacDonald dell’università di Reading ha diramato sul Guardian la lista dei romanzieri conservatori che si possono leggere. Vanno bene Buchan, Waugh e Fleming ma bisogna fermarsi agli anni Sessanta: “Non riesco a godermi la narrativa figlia del conservatorismo thatcheriano, o ambientata nella società individualista e avida che ha prodotto”. Il giorno dopo una liceale ha lanciato una petizione per cambiare il programma ministeriale di musica poiché contempla solo compositori maschi. Alla risposta che le donne non sono state prominenti nella musica classica, ha ribattuto: “Come possiamo aspettarci che le ragazze aspirino a comporre se non hanno modelli da seguire?”.

 

Yvette Cooper sa di parlare in un mese che, complice l’estiva carenza di notizie, ha turbinato attorno ai dibattiti di genere. Si è accesa una polemica sui manichini di Topshop, troppo esangui quindi di cattivo esempio per le adolescenti (ma di quanti esempi hanno bisogno le ragazzine inglesi prima di assumersi qualche responsabilità?); a nulla è valso spiegare che per definizione un manichino serve a tenere su gli abiti, non a fornire imperativi categorici. Ancor più furibonda l’insurrezione pubblica in favore del medico del Chelsea contro il quale Mourinho aveva inveito poiché, intervenendo a sproposito, aveva lasciato la squadra in nove in una partita delicata: la ragionevole pretesa di Mourinho – chi sta in panchina, medico compreso, deve capire il calcio – è più che accettabile per gli standard vigorosi con cui si danno pedate a queste latitudini ma è diventata affare di stato perché il medico si chiama Eva. Un’esigenza professionale è stata fatta grondare di implicazioni discriminatorie e all’altare della donna una società dal fatturato esorbitante stava per sacrificare il miglior allenatore su piazza. L’ultimissima è la campagna lanciata dal sito Everyday Sexism per difendere il diritto delle donne a fare jogging senza ricevere molestie dai passanti che a quanto pare immancabilmente fischiano e ululano e le imitano e, se atletici, le rincorrono. Sarà. Quanto alle molestie bisogna sintonizzarsi sul concetto inglese, un po’ lasco: a Cambridge l’università ha appena rivisto le linee guida sull’harassment perché il 30 per cento della popolazione studentesca sostiene di essere stata violentata e il 77 per cento molestata. Le ha riviste in senso restrittivo per i molestatori, quindi da settembre ci sarà da avere il terrore di chiedere a una ragazza come si chiama.

 

[**Video_box_2**]Questa smania femminile di imporre liste di proscrizione e decidere cosa si possa e non si possa fare si specchia in una tendenza editoriale che nel giro di un anno ha visto le librerie inglesi invase da almeno sei bestseller rivendicatori se non minacciosi, che vanno da “#Girlboss” di Sophia Amoruso a “Hot feminist” di Polly Vernon e “Bad feminist” di Roxane Gay, passando per “Fallo come una donna” di Caroline Criado-Perez, “Zitella: farsi una vita da sola” di Kate Bolick e “Cose indicibili” di Laurie Penny.

 

In una nazione benedetta da tre regine longeve e immortali, che è stata rivoltata come un calzino da una combattiva signora con borsetta e che ha un ministro dell’interno dalla spiccata propensione per le scarpe leopardate, pare che oggi le donne britanniche si percepiscano come minoranza perseguitata perché nella storia non c’è mai stato momento migliore per esserlo.

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