Santa Maria della Misericordia, a Venezia

La Biennale converte una chiesa in moschea. E' “arte” islamofila a Venezia, ma una drammatica realtà in Europa

Giulio Meotti
“Vedrà cosa succederà alle chiese di Venezia – diceva don Gino Bortolan, parroco di Santa Maria Formosa – Altro che Napoleone!”.

Roma. “Vedrà cosa succederà alle chiese di Venezia – diceva don Gino Bortolan, parroco di Santa Maria Formosa – Altro che Napoleone!”. Il parroco pensava alle chiese in disuso, paragonandole all’armata giacobina che ne soppresse 104 su 187 in città, di cui ben settanta rase al suolo. Non immaginava, don Gino, che un giorno l’islam avrebbe soppiantato quelle chiese, specie che a farlo sarebbe stata la Biennale e un artista svizzero, Christian Büchel, una sorta di Cattelan nordeuropeo. La vicenda riguarda l’antica chiesa cattolica di Santa Maria della Misericordia, trasformata in moschea per la durata della Biennale.  L’opera di Büchel, intitolata “The Mosque”, è una iniziativa del padiglione islandese per la Biennale e sarà in mostra da domani al 22 novembre.  
La chiesa di Santa Maria serve oggi ai piccioni per nidificare e non è più utilizzata per funzioni di culto da quarant’anni. Büchel ha ricostruito gli interni per farne una moschea. Con la sua installazione, Büchel intende mettere al centro dell’attenzione la dilagante “islamofobia”, mentre il ministro dell’Istruzione islandese, Illugi Gunnarsson, ha detto che l’opera aprirà un “dialogo interreligioso”.

 

Venerdì il New York Times dedicava grande spazio alla vicenda, spiegando che Venezia “resta una delle poche città europee senza moschea”. Adesso la chiesa avrà “le mura barocche ornate di scritte in arabo, il pavimento ricoperto da un tappeto di preghiera rivolto verso la Mecca e il crocifisso nascosto dietro un mihrab torreggiante”. Il mihrab è la nicchia che indica la direzione della città santa dell’islam. Si felicita Mohamed Amin Al Ahdab, presidente della comunità islamica veneziana, e lieto lo sarebbe stato ancora di più se avesse prevalso il progetto originario, in cui la chiesa avrebbe dovuto fare sfoggio anche della scritta “Allah Akbar”. Poi Büchel e la curatrice, Nina Magnúsdóttir, hanno ceduto alla richiesta di non mutare l’aspetto esteriore dell’edificio cristiano. Lieta anche la comunità accademica veneziana, con Bruce Leimsidor, docente di Diritto dell’immigrazione alla Ca’ Foscari, che dice: “Venezia è la città più tollerante d’Italia”. Peccato che quello che a Venezia si prefigura come “arte” multiculti e islamofila, nel resto d’Europa sia già realtà. Basta chiedere all’Olanda: dal 1970 al 2008, 205 chiese cattoliche sono state demolite e 148 convertite in librerie, ristoranti, palestre, appartamenti e moschee. O la Germania, dove nei prossimi anni 15 mila delle 45 mila chiese esistenti, un terzo del totale, saranno demolite o vendute.

 

[**Video_box_2**]Chissà che ne penserebbe della Biennale il governatore veneziano Marcantonio Bragadin che nel sedicesimo secolo, per difendere la cristianità a Cipro, si vide mozzare le orecchie dai turchi e poi fu lasciato in cella sanguinante. Poi lo fecero camminare nudo con pesanti carichi, sotto le mazze ferrate. Poi l’ultima mutilazione in pubblico, davanti a centomila ottomani, e Bragadin venne scuoiato vivo. La sua pelle venne conciata, riempita di bambagia e inviata a Costantinopoli. Oggi la pelle si trova nella chiesa veneziana dei Santi Giovanni e Paolo. La prossima volta la Biennale, che un tempo si fregiava di battersi per il dissenso in Urss, potrebbe organizzarla lì la sua festa del conformismo irenista.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.