Vincino, quella passata di luce

Giuliano Ferrara

Averlo avuto qui dall’inizio, senza soste, a disposizione del beffardo e del serioso, a complemento essenziale e avanguardia di quello che abbiamo immaginato e raccontato e scritto, è stata una gioia scintillante

Vincino era un gigante leggero come una piuma, e questo lo sanno tutti. I suoi disegni avevano la straordinaria bellezza del vago, erano nuvole di intelligenza colorata. Ma negli ultimi giorni della sua vita, fino a ieri, erano chiaroscuri appesantiti dal male di morire così estraneo a un tipo umano, per quanto un palermitano, così inquieto e pacificato, noncurante e impegnato allo spasimo nel trovare mille soluzioni al fantastico. Tutti i giorni, e negli ultimi ventitré anni soprattutto per noi, Vincino si intrometteva nell’esistenza pubblica di un giornale, del mondo e del suo mondo, del suo paese, dei suoi campioni belli, brutti, osceni, variopinti, che nel suo racconto erano a uno a uno riscattati dalla rara combinazione di sentimento, humour e intelligenza che era la sua bandiera nascosta. Dico nascosta perché Vincino, come tutti i grandi della satira, aveva un fondo di tristezza e di preoccupazione per le cose, oltre che per sé e per Giovanna sua moglie e le sue meravigliose figlie, un fondo di angoscia e di paura che ha proiettato in un abbozzo autobiografico a malattia già avanzata. Era un re del deadpan, non rideva alle sue battute, sorrideva piuttosto, e fumava, beveva, consumava l’esistenza con avidità e dismisura.

 

Alto, dinoccolato, barcollante, con un volto da dio greco minore ma sapiente e veloce, mai geloso, mai enfatico, mai grossolano, sempre intimamente libero e sempre disposto solo a quei compromessi vitali che sono capaci di ingrandire una vita e una funzione civile. Era un colossale dissimulatore di rabbia, furore, esperienza militante, barricadera, e sapeva fingersi conformista, penetrare in tutti gli ambienti, stabilire una relazione aristocratica, di connivenza sottile, camaleontica, con i suoi molti lettori di molte testate diverse, con i suoi molti ritrovati di stile, lo stile, la sua condanna. Non riusciva a essere peggiore, non ce la faceva proprio, della materia che rappresentava, e che ha narrato in tanti anni di operosità fervorosa e ingenua, di lavoro sempre incollato al principio sacro dei grandi, il dilettantismo, dunque la freschezza del tratto, l’aria di non tirarsela mai, l’adesione non già al tempo e men che meno allo Zeitgeist ma alle ventiquattr’ore, massimo alla settimana in corso.

 

 

Politica, cultura, ideologia, antropologia, ritrattistica e favolistica, niente di umano gli era estraneo a patto che fosse ricomponibile nello scherzo puro, in quella passata di luce che i suoi disegni e disegnini e affreschi offrivano all’emozione e alla distratta passione del consumatore di satira, del suo occhio critico, del suo riflesso mentale immediato. Che Vincino lavorasse per gli altri, che si sbattesse un po’ dovunque con matite e taccuini e aggeggi elettronici, che fosse uno che si dedica, questo è quasi miracoloso, tanto era in fondo timido e impegolato con sé stesso, con la sua ribalderia e il suo coraggio e la sua ilarità costumata e mirabolante, la sua irriverente spiritualità. Averlo avuto qui dall’inizio, senza soste, a disposizione del beffardo e del serioso, a complemento essenziale e avanguardia di quello che abbiamo immaginato e raccontato e scritto, è stata una gioia scintillante che fa da riserva di amore e quasi impedisce ora di piangerlo.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.