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Ma quante assurdità sull'algoritmo cattivo di Foodora & Co.

Maria Carla Sicilia

Foodora e Moovenda in anticipo sul tavolo di Di Maio presentano la Carta dei valori del food delivery. Una rivoluzione? Non proprio

Roma. Il fascicolo sui rider con cui Luigi Di Maio ha deciso di iniziare il suo mandato da ministro del Lavoro è sempre più schiacciato tra le richieste dei sindacati e ciò su cui sono disposte a cedere le piattaforme. Alla vigilia del secondo incontro del tavolo di contrattazione, che si terrà lunedì, Foodora, Moovenda e altre due piccole app hanno presentato la Carta dei valori del food delivery, svelando così la loro proposta per i sindacati. E’ ancora da scoprire, invece, cosa proporranno gli altri partecipanti al tavolo, Deliveroo, Glovo, Just Eat e UberEats, che al momento non hanno rivelato le loro posizioni.

  

La Carta garantisce contratti di collaborazione continuata e continuativa, e di conseguenza copertura assicurativa Inail e tutele Inps, oltre a una paga su base oraria con incentivi per ogni consegna. Sul contestato algoritmo – su cui tempo fa la Cgil si era espressa chiedendo che fosse inserito nella contrattazione sindacale – l’impegno dei firmatari è di non usare nessun sistema di rating che possa penalizzare i fattorini e il loro accesso ai turni. Previsti inoltre un’assicurazione integrativa per danni a terzi, rimborsi o convenzioni per la manutenzione dei mezzi di trasporto, controlli maggiori per la sicurezza dei rider. Una rivoluzione? Non proprio.

  

Per Foodora e Moovenda l’introduzione di questi impegni è quasi a costo zero. La stratup romana Moovenda ha da sempre adottato questi criteri mentre per la tedesca Foodora la novità è solo l’adozione di un compenso a base orario, di cui tra l’altro non è specificato il minimo. Anche la rinuncia a usare il criticato algoritmo reputazionale, oggetto tra le altre cose della contesa legale tra alcuni rider e Foodora, è una rinuncia fittizia. Come confermano al Foglio entrambe le aziende, non sono mai stati attivi meccanismi di rating che tenessero conto dei comportamenti dei fattorini per determinare classifiche o assegnare i turni. Nella Carta si specifica che le aziende non utilizzano “strumenti in grado di produrre classificazioni, penalizzazioni o favoritismi tra i collaboratori” e che i rider “possono decidere quando lavorare e ritirare fino all’ultimo la disponibilità data, senza che ne derivi alcun danno ‘reputazionale’”. Ma l’algoritmo resta l’elemento centrale per la competizione delle imprese, il nodo che differenzia i loro servizi. Perciò le piattaforme non possono svelarne il funzionamento e chiedono che – garantiti questi principi – ne venga tutelata la riservatezza.

  

Così formulata la Carta accoglie tutti i punti che Di Maio ha fissato dopo il primo incontro con le aziende. Richieste che però rispetto alla bozza del “decreto dignità” erano state di gran lunga ridimensionate. Assecondando la Cgil e alcuni gruppi di rider, la prima bozza del decreto prevedeva l’obbligo per le piattaforme della gig economy – tutte, non solo quelle che consegnano cibo a domicilio – di assumere con contratti di lavoro a tempo subordinato i lavoratori. Una condizione su cui Di Maio per il momento ha fatto un passo indietro e che di fatto avrebbe significato fare chiudere le attività di tutti, come aveva fatto notare a caldo il ceo di Foodora, Gianluca Cocco, ipotizzando di abbandonare l’Italia se la richiesta fosse diventata legge. Lunedì al tavolo si vedrà come reagiranno i sindacati al compromesso formalizzato da Foodora e Moovenda. Ma le promesse fatte da Di Maio all’inizio del confronto sembrano ben lontane dal concretizzarsi. Resta poi da capire se le altre piattaforme, che al momento applicano contratti di prestazione occasionale, usano partite Iva e pagano a cottimo, saranno disposte a sottoscrivere la Carta.

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