Di Maio incontra i rappresentanti delle azienda Deliveroo, JustEat, Foodora, Domino's pizza e Glovo (foto LaPresse)

Cosa ci possiamo aspettare dal tavolo di Di Maio sui rider

Maria Carla Sicilia

Richieste ridimensionate dopo il primo incontro con le piattaforme digitali. Niente più decreto dignità se le parti troveranno un accordo. Ecco cosa può succedere

Niente più nuove leggi, per il momento, a tutela dei rider. E, soprattutto, sfuma la richiesta di trasformare i contratti di lavoro delle piattaforme online da autonomi a subordinati. Dopo l'incontro di ieri tra il ministro del Lavoro Luigi Di Maio e le aziende di food delivery, lo scenario che si apre per i lavoratori della gig economy impegnati nella consegna di cibo a domicilio sembra abbastanza diverso da quello che si prospettava nei giorni scorsi, sulla base dei sette articoli della bozza del decreto dignità che avrebbero riguardato tutti i lavoratori delle piattaforme online, da Uber ai più svariati siti che offrono servizi attraverso forme di contratti autonomi.

  

Dopo un primo confronto con i rappresentanti di Deliveroo, Domino's Pizza, Foodora, Glovo, Moovenda e JustEat, il ministro ha deciso di abbandonare la strada del decreto e aprire un tavolo di lavoro tra le parti per seguire la trattativa con i rider, che servirà a definire standard comuni e tutele minime. Come ha spiegato in serata Di Maio con un post sul blog delle stelle, “i punti che devono rimanere fermi” sono il riconoscimento di obblighi e responsabilità precise tra le parti; requisiti di forma nel contratto per garantire la certezza del diritto; previsione di un compenso minimo inderogabile; rimborso spese forfettario per manutenzione del supporto tecnologico e meccanico (es. 50 euro al mese); iscrizione obbligatoria Inps e Inail a carico del datore di lavoro; ferie, riposo e diritto alla disconnessione. Richieste già in parte soddisfatte da alcune delle piattaforme coinvolte e ben meno complicate da ottenere, tanto che al termine dell'incontro i rappresentanti convocati si sono detti tutti “disponibili”, compreso il ceo di Foodora, Gianluca Cocco, che nel fine settimana aveva ipotizzato di abbandonare l'Italia se fossero state confermate le indiscrezioni sul decreto dignità. Di Maio ha comunque precisato che “se il tavolo non dovesse andar bene” si interverrà con “la norma che avevamo progettato”.

   

Più realisticamente, visto il clima di collaborazione che tutti i partecipanti al tavolo hanno sottolineato, si andrà verso l'abolizione delle prestazioni occasionali e delle partite Iva, mantenendo i contratti per i lavoratori parasubordinati (i co.co.co.) che alcune delle piattaforme coinvolte, come Moovenda e la stessa Foodora, utilizzano già. A questo andrà aggiunto un compenso minimo orario – Moovenda per esempio ha già un accordo con i suoi moovers che prevede non il pagamento a cottimo, ma un compenso di poco più di sei euro netti all'ora – l'iscrizione all'assicurazione Inail e i contributi all'Inps (entrambi aspetti che alcune piattaforme già applicano e che sarebbero previsti nei contratti co.co.co.).

   

Il “primo contratto nazionale della gig economy”, come l'ha chiamato ieri il ministro, andrebbe così a uniformare per quanto possibile le diverse condizioni di lavoro che oggi i fattorini si vedono offrire in base alla piattaforma cui si rivolgono. Ma a meno che non salti la trattativa appena aperta e Di Maio non riproponga quanto contenuto nel decreto dignità, sarà difficile finalizzare l'assunzione dei rider che alcune parti auspicano. Un esempio di “carta dei diritti” che fissa tutele minime esiste già ed è stata firmata a Bologna lo scorso aprile, anticipando quanto prevede la direttiva sui lavori digitali a cui sta lavorando il Parlamento europeo: paga minima, stop al cottimo, copertura assicurativa, contributi, indennità e trasparenza nei contratti. Andrebbe persino oltre queste previsioni l'articolo 2 del Jobs Act (che nella bozza del decreto dignità Di Maio vorrebbe abrogare), che estende le tutele del lavoro subordinato anche a quello autonomo nei casi in cui le cui modalità di esecuzione delle attività siano “organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”. E qui sta il nodo della contesa tra chi chiede il riconoscimento di dipendente e chi lo disconosce: dimostrare che, attraverso il monitoraggio via app, la gestione dei turni, l'obbligo di vestire con abiti forniti dall'azienda, le piattaforme organizzino il lavoro dei rider superando il confine del lavoro autonomo. Molto probabilmente dalla trattativa aperta al ministero del Lavoro si definiranno meglio proprio questi confini, circoscrivendo però nell'ambito delle collaborazioni – con paghe minime, assicurazioni e contributi – il lavoro dei rider.

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