Da #metoo a #wetoogether. Ecco perché si sciopera l'8 marzo

Simonetta Sciandivasci

Che vogliate andare a lavorare o che vogliate prendere un autobus, un treno o un aereo, nulla di tutto questo sarà garantito per via dello sciopero generale internazionale femminista

Signore e signori, l'8 marzo sarà una brutta giornata. Che vogliate andare a lavorare (e in tal caso siete crumiri) o che vogliate prendere un autobus, un treno o un aereo (e in quest’altro caso siete irresponsabili) o che vogliate usufruire di un servizio qualsiasi per voi o per i vostri figli, cari, amati, amanti: nulla di tutto questo vi verrà garantito. Non arrabbiatevi: è per una buona causa. Domani, infatti, ci sarà lo sciopero generale internazionale femminista, l’hanno indetto le donne in tutto il mondo, aderiranno ben settanta paesi, Italia compresa, ove un comunicato dei sindacati unitari di base (altro che desaparecidos! Visto come sono presenti e attivi per le battaglie civili?), ci comunica che si tratterà di una giornata di mobilitazione “contro la violenza maschile sulle donne, contro la mancanza di finanziamenti e riconoscimento dei centri anti-violenza, contro la chiusura degli spazi delle donne, contro l’obiezione di coscienza nei servizi sanitari pubblici”.

   

  

Sul portale di Non un di meno è ospitato un video – bianco e nero e audio in modalità megafono – di Asia Argento che spiega le ragioni per cui, domani, in piazza, scenderà anche lei: Harvey Weinstein l’ha violentata quando era molto giovane, lei lo ha denunciato contribuendo significativamente alla crescita e affermazione del movimento #metoo, tutto il pianeta le ha mostrato solidarietà, tranne l’Italia, patria patriarcale, che invece l’ha insultata e vilipesa e offesa comunicandole che se l’era andata a cercare (conoscete il file). L’autobus domani non vi porterà a lavoro non per ridare giustizia ad Asia Argento, state tranquilli, bensì perché deve essere chiaro, e ribadito con una giornata di disagio per tutti, soprattutto per i precari e i poveracci non auto-muniti, che la lotta contro la violenza maschile non è un problema femminile, ma universale, che implica e invischia tutto, tutti, tutt*. Il me, l’io del #metoo deve ora necessariamente trasformarsi in un noi, in una inclusione: da #metoo a #wetoogether. Il battesimo di questa nuova fase non può che avvenire l’otto marzo, non anniversario ma giorno rivoluzionario. Tuttavia è parecchio meno evidente e logica la ragione per cui questa transizione e, in generale, la battaglia – che si vuole ritenere culturale, senza se e senza ma – alla violenza sulle donne, debba assumere la forma di una ostilità al diritto dei lavoratori semplici di andare a lavorare, dei ragazzi di andare a scuola, dei pensionati di andare a fare la spesa, dei precari a un giorno in più di stipendio.

  

Dice Asia Argento che tutte le donne hanno subìto una o più molestie (ha evidentemente a disposizione dati molto diversi dalle rilevazioni Istat, che, invece, poche settimane fa hanno evidenziato un calo importante sia delle aggressioni fisiche che delle altre forme di sopruso ai danni delle donne) dunque, ragionando alla carlona, potremo ragionevolmente guardare ogni maschio che incontreremo domani non solo come potenziale molestatore e/o violentatore, ma pure come accertato carnefice. Pertanto, la sottrazione di diritti che lo sciopero femminista di domani è orgoglioso di garantire ai cittadini di settanta paesi diversi, sarebbe, almeno per la metà di loro (i maschi), giustificata. Tuttavia, leggendo i proclami delle militanti, non a punire è finalizzato lo sciopero, bensì a coinvolgere gli uomini nella lotta, a sconfiggere un impianto culturale, a inaugurare un ripensamento collettivo (direte voi: ma non sono decenni che è principiato?). In quale modo, però, uno sciopero tanto malfatto, a cui sono chiamati ad aderire lavoratori e lavoratrici precari (direte voi: non sarà un controsenso?), può innescare un processo intellettuale e culturale diverso dal rigetto? In quale modo si spera che la battaglia contro la violenza sulle donne non finisca con il risultare intimamente invisa ai cittadini che, nel suo nome, domani si vedranno privati dei propri servizi? In quale modo tenere i bambini fuori dalla scuole li aiuterà a elaborare un pensiero fermo e complesso sugli abusi ai danni delle donne (esistono anche quelli ai danni dei maschi, e sono perfino in crescita, ma meglio far finta di niente)?

   

Sul sito di Non una di meno esiste un Vademecum dove si spiega molto bene che è garantito un diritto allo sciopero. Richieste (un po’ confuse): reddito di autodeterminazione (chissà se propedeutico a quello di cittadinanza); salario minimo europeo; welfare universale (è il prossimo Oscar?); autonomia e libertà sulle nostre scelte; libertà di movimento (quella cosa che non hanno neppure i cardellini); difesa degli spazi femministi e liberati della città (che, per chi non fosse avvezzo al linguaggio del volantino di lotta ma non di governo, sarebbero i luoghi occupati e, quindi, come tutti gli altri parimenti illegali, vengono sottoposti a normali procedure – meglio: minacce – di sgombero).

  

Tenetelo bene a mente, domani, quando non partirà il vostro treno: il vostro biglietto sarà stato immolato per garantire alle donne tutto questo, insieme all’alleanza con i maschi nella lotta alla violenza di genere e al diritto-dovere di fregarsene dei vostri diritti.

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