Monnezza di malavita
Roma, la Campania, la Sicilia. Dove i rifiuti sono un mostro che nessuno sa aggredire. Nemmeno i giudici
Arieccoci, con le immagini di Roma capitale dell’immondizia il tema torna di attualità. “Servono misure strutturali” è il mantra di una certa politica che si affretta ad apparire efficiente, ma che nell’emergenza ci sguazza. Altrimenti perché mai non dovrebbe avere risolto il problema già da tempo? Delle due l’una, la politica è incapace o connivente. Tertium non datur.
Ci manca solo una bella unità di crisi in Campidoglio e nella prefettura di una qualsiasi città italiana – mica i problemi sono solo dei romani – e l’emergenza avrà tutti i crismi dell’ufficialità. Con il governo Gentiloni ai titoli di coda (forse) stavolta si dovrà fare a meno delle sedute della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti. Sul tavolo lascerà una pregevole relazione che farà da stimolo al governo che verrà.
Nel frattempo, 52 comuni della provincia di Palermo, solo per fare un esempio, a breve non sapranno dove conferire la spazzatura visto che la discarica cittadina di Bellolampo è satura o quasi. E allora la mondezza palermitana avrà la sua Emilia Romagna dove, così dicono, sarà smaltita quella romana. Si griderà allo scandalo per i costi che ricadranno sulle tasche dei cittadini, si denunceranno i comitati di affari e i rischi per la salute pubblica. Che esistono davvero, non sono un’invenzione.
"Servono misure strutturali" è il mantra di una certa politica che si affretta ad apparire efficiente, ma sembra sguazzare nell'emergenza
La “terra del fuochi” campana, da quando è emersa in tutta la sua drammaticità, è un mostro che fa paura. In principio furono gli ambientalisti, poi i libri – “Gomorra” di Roberto Saviano è ormai un must – e le dichiarazioni dei pentiti di camorra. Quelle di Gaetano Vassallo, il Masino Buscetta dei rifiuti, e quelle di Carmine Schiavone che ammise di avere ammorbato la sua terra. Capitolo controverso quello della “terra dei fuochi”. Ci sono voluti tre anni di studi prima che un’autorevole voce scientifica, l’Istituto zooprofilattico sperimentale del Mediterraneo, stabilisse di recente che il cibo coltivato nelle campagne contaminate non uccide. I tumori che colpiscono la popolazione molto più che altrove, però, non sono una leggenda.
La scienza agli scienziati (troppo rischioso avventurarsi nei commenti) e la politica ai politici. E qui sta il problema. Perché mentre il mostro dei rifiuti fa sempre più paura, la politica discute, litiga e non risolve i problemi. No agli inceneritori, no ai termovalorizzatori, raccolta differenziata che resta al palo. L’unica soluzione prospettata è spostare i rifiuti altrove, in Italia o all’estero, tamponando un’emergenza che presto ritornerà. E qualcuno gongola.
E’ di qualche giorno fa, ad esempio, la notizia del sequestro preventivo di beni per due milioni di euro da parte della Direzione distrettuale antimafia di Palermo a un’impresa di Camastra, nell’Agrigentino. La A&G srl, che gestisce la discarica del paese, così sostiene l’accusa, accoglieva ben volentieri la spazzatura proveniente da mezza Italia. I rifiuti partivano come speciali e pericolosi e diventavano “normali” una volta giunti Sicilia, pronti per essere smaltiti in discarica grazie alla compiacenza di un laboratorio di analisi con sede a Catania. Ci guadagnavano sia in casa A&G, sia gli imprenditori che abbattevano i costi per lo smaltimento.
Dalle carte giudiziarie emerge anche la figura di Marco Venturi, ex assessore del governo regionale di Raffaele Lombardo, ed ex presidente di Confindustria Centro Sicilia. Un paio di anni fa Venturi è diventato il grande accusatore di Antonello Montante, un tempo alla guida degli industriali siciliani e vice presidente nazionale con delega alla legalità, al quale è subentrato Giuseppe Catanzaro, imprenditore tra i più importanti nel settore dei rifiuti e che gestisce una discarica a Siculiana. Venturi si è presentato come una voce “dal di dentro” per smascherare, a suo dire, l’ingannevole svolta antimafia degli industriali promossa assieme a Montante, Catanzaro e Ivan Lo Bello. La Procura di Caltanissetta indaga da tempo su Montante per concorso esterno in associazione mafiosa. Si deve difendere dalle dichiarazioni di alcuni pentiti e dalle bordate di Venturi, che ha denunciato il “grande inganno della rivoluzione” etica di Confindustria che metteva alla porta gli imprenditori che non rispettavano le regole. L’indagine su Montante va avanti da più di due anni. Dopo l’avviso di garanzia e le perquisizioni, non si conosce l’esito.
Il business delle discariche vale circa 250 milioni di euro all'anno. Il tabù della politica siciliana si chiama termovalorizzatore
Tra i rifiuti smaltiti a Camastra c’erano anche scarti di lavorazione provenienti dalla zona industriale di Termini Imerese, dove ha sbaraccato la Fiat. I responsabili di un laboratorio non volevano prestarsi al gioco sporco delle certificazioni farlocche sullo stato dei rifiuti. “Il problema è stato risolo dalla A&G – si legge negli atti giudiziari – incaricando il laboratorio Sidercem”, di Caltanissetta, amministrato da Venturi. I rifiuti classificati come pericolosi sono divenuti “conformi al conferimento in discarica”. Una certificazione “eseguita da Sidercem – scrivono i pm di Palermo – per lubrificare quel sistema di reciproco scambio di favori che permette ai due imprenditori di ottenere notevoli vantaggi anche in termini di riduzione dei tempi per il rilascio di autorizzazioni”. Il riferimento è all’aiuto che Venturi avrebbe chiesto a Donato D’Angelo, uno degli indagati dell’impresa agrigentina, per accelerare il via libera della regione Abruzzo. Sidercem, infatti, si era aggiudicata un appalto per alcune indagini geognostiche a Civitaluparella. “Se conoscessimo qualcuno, magari si accelera un po’”, chiedeva Venturi. “Girami questa nota così io vado a Chieti – rispondeva D’Angelo – gli dico che sono un collaboratore esterno della Sidercem e devo risolvere questo problema… e vediamo come fare”. Venturi ha replicato parlando di notizie destituite di ogni fondamento e infamanti” ed è pronto a tutto pur di difendere la trasparenza e il buon nome di Sidercem.
Il caso Camastra è la spia di un sistema da rivedere. Mentre si indaga, il mostro cresce. Il clima si fa pesante, con tutti i fantasmi che la paura di ammalarsi si porta dietro. Non a caso Maria Grazia Brandara, già commissario di alcuni enti regionali e del Comune di Licata, ex deputato del parlamento siciliano, chiede controlli sui rifiuti di Camastra e informazioni chiare per i cittadini. Insomma, vuole le risposte che la politica non è in grado di dare.
Una politica che non dissipa dubbi, ma in compenso aggiunge interrogativi. Come quello sollevato da Vincenzo Figuccia, assessore all’Energia e rifiuti che si è dimesso ad appena quattro settimane dall’insediamento della giunta regionale di Nello Musumeci: “Mi chiedo e vi chiedo: meglio Brescia o Vienna pulite attraverso impianti e nuove tecnologie o Catania e Palermo ’ngrasciate (sporche) con le discariche e la differenziata con numeri da prefisso telefonico?”.
Di sicuro non conosceremo la risposta di Figuccia. Formalmente ha lasciato l’incarico per tutt’altra ragione, in polemica con il presidente dell’Assemblea regionale siciliana Gianfranco Micciché, favorevole allo sforamento del tetto di 240 mila euro per gli stipendi dei burocrati. Figuccia ha parlato alla pancia della gente che mal sopporta i costi della politica. Ha lasciato l’incarico, forse neppure troppo a malincuore se è vero come è vero che non aveva fatto mistero che avrebbe preferito occuparsi di politiche sociali. Un impegno al fianco degli ultimi che, a onore del vero, lo vede da sempre impegnato. Nelle lettere per gli auguri di Natale Figuccia ha detto di provare una grande solitudine mentre tentava di porre rimedio al caos rifiuti. Il deputato non darà più il suo contributo da assessore per scardinare il sistema di potere che gestirebbe il ciclo dei rifiuti.
Quasi satura la discarica di Bellolampo: 52 comuni in provincia di Palermo a breve non sapranno dove conferire la spazzatura
Ogniqualvolta gli investigatori hanno messo gli occhi sui rifiuti siciliani hanno trovato soldi e malaffare. Poche settimane fa si è scoperto che i clan mafiosi Cappello e Laudani di Catania facevano soldi a palate con la spazzatura di alcuni comuni della provincia etnea. Il business delle discariche vale circa 250 milioni di euro all’anno. Poco meno dell’85 per cento di 2 milioni di tonnellate di mondezza prodotta in un anno finisce in discariche gestite da privati o da società partecipate comunali, come nel caso di Bellolampo. In Sicilia non esiste alternativa alla discarica e così restano attive anche quelle travolte dalle inchieste giudiziarie: da quella della famiglia Proto a Misterbianco, in provincia di Catania – Domenico Proto è sotto processo per corruzione – al sito della Tirreno ambiente, società in liquidazione, a Mazzarrà Sant’Andrea, nel Messinese.
Il tabù della politica siciliana si chiama termovalorizzatore. In principio l’idea venne a Totò Cuffaro, il governatore che ha pagato con il carcere i suoi favori ai mafiosi. Si è indagato a lungo, senza esito, su un presunto giro di tangenti. Il suo successore Raffaele Lombardo stoppò tutto, accendendo una stagione di ricorsi amministrativi. Rosario Crocetta rivalutò la possibilità del “nemico” Cuffaro. Ora Crocetta non è più presidente della Regione, tocca a Musumeci affrontare la grana rifiuti. E si torna a sussurrare la parola termovalorizzatore. Gli anni, però, passano, la mondezza resta e la Sicilia non fa passi in avanti in un settore che si è cercato di commissariare. Sui rifiuti la politica ha abdicato dal suo primato. Ha creduto di potere risolvere i problemi affidandosi ai magistrati, nella speranza che lo spauracchio di uno sceriffo mettesse a posto le cose.
A Rosario Crocetta si devono le nomine prima di Niccolò Marino, ex pm a Caltanissetta, e per ultima di Vania Contrafatto, ex sostituto procuratore a Palermo. Sul campo restano montagne di problemi, rifiuti e di chiacchiere. Di accuse, querele e controquerele. Marino è incappato in una condanna, penale e civile, per avere accostato, nella sua battaglia moralizzatrice nella gestione dei rifiuti, il nome di Catanzaro a quello di Bernardo Provenzano, il capo di Cosa nostra.
Inchiesta nell'Agrigentino: i rifiuti partivano come speciali e pericolosi e diventavano "normali" una volta giunti Sicilia
L’immunità da parlamentare europeo salvò Crocetta dall’accusa di diffamazione nei confronti di Musumeci che aveva querelato il politico gelese. Non gli erano piaciute le sue parole pronunciate durante un comizio della campagna elettorale per le regionali nel 2012. Crocetta parlò di un accordo sottobanco fra lo stesso Musumeci e Gianfranco Micciché sui termovalorizzatori. Allora i due erano sfidanti, qualche mese fa hanno remato sulla stessa barca che li ha portati alla guida della regione e dell’Ars. La verità è che sui rifiuti si parla molto e si agisce poco. Si litiga, anche aspramente, e si offre l’immagine di una politica incapace di risolvere i problemi, di allontanare la paura e scacciare i fantasmi.
La Corte dei conti per la regione siciliana in un documento trasmesso al ministero dell’Ambiente pochi giorni fa ha dato sei mesi di tempo per evitare il disastro. I magistrati contabili hanno bocciato la normativa regionale, evidenziato l’assenza di un piano e condannato lo sperpero dei fondi europei. La politica non c’è. Oppure non c’è stata, volendo riconoscere un’apertura di credito al neo governatore Musumeci. Giusto il tempo di insediarsi ed ecco che i rifiuti sono diventati la prima emergenza da risolvere. Perché la Sicilia fa sempre scuola. In principio c’erano gli Ato, Ambiti territoriali ottimali, la fallimentare esperienza che raggruppava più Comuni nella gestione dei rifiuti. Le squattrinate amministrazioni municipali si dovevano sobbarcare il peso dei servizi mentre faticavano a incassare la tassa per lo smaltimento. Gli Ato sulla carta sono in liquidazione da anni, ma sopravvivono con tremila dipendenti al seguito. Dovevano essere sostituiti con le Srr, Società di regolamentazione dei rifiuti. Peccato, però che delle diciotto previste solo tre sono state attivate.
“Siamo a un punto di non ritorno”, ha detto Musumeci qualche giorno fa. “Qui servono esperti, tecnici, geologi e avvocati", ha aggiunto, per evitare il collasso prossimo venturo. La Sicilia presenterà un cronoprogramma al governo nazionale in cui inserirà la costruzione di dieci piattaforme per la raccolta differenziata, il compostaggio e il conferimento dei rifiuti post trattamento. Bisogna smettere, sono sempre parole di Musumeci, “di fare finta di niente come negli ultimi venti anni” nel corso dei quali si è “messa la polvere sotto il tappeto, senza mai risolvere quella che è diventata una vera e propria emergenza strutturata”.
E siamo al punto di partenza, alle misure strutturali, annunciate sempre e realizzate mai. Nel frattempo non resta che pubblicare in fretta un bando, caricare i rifiuti sulle navi – è la soluzione tampone di Musumeci – e spedirli “nella civilissima Germania e nella civilissima Francia”. Qualcuno farà soldi con la monnezza made in Sicily, metafora di una terra che non sa risolvere i problemi da sé.