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La grande monnezza

Claudio Cerasa

Cosa succede quando una città è vittima della sua ideologia populista? La scazzottata Raggi-Pizzarotti ci dice molto sull’irresponsabilità e la demagogia del governo grillino. Storia di un modello travolto dai rifiuti, assieme a 200 milioni di euro

Puzza un po’, ma forse questa è una delle storie dell’anno. Sentite qui. Un sindaco populista, non competente e irresponsabile, diventato il simbolo di un’Italia che si candida a guidare il paese il prossimo quattro marzo, improvvisamente scopre con i suoi occhi che il suo modello di governo, il modello a cinque stelle, il modello Virginia Raggi, semplicemente non funziona. E per tentare di risolvere problemi che si potrebbero risolvere senza essere accecati dalla propria ideologia, quel sindaco decide di chiedere una mano a un altro sindaco, il sindaco di Parma Federico Pizzarotti, per usare un particolare impianto per smaltire i rifiuti, il termovalorizzatore, che il sindaco di Roma non vuole e che il sindaco di Parma invece ha voluto a tutti i costi, anche a costo di dover dare uno schiaffo al partito di cui Pizzarotti faceva parte e di cui Raggi continua a essere un simbolo. La storia forse la conoscete, ed è quella, incredibile e indecente, dei rifiuti a Roma. Le cose stanno più o meno così. Nel corso dell’anno, Roma produce una quantità di rifiuti che non riesce a gestire. Con l’arrivo del periodo natalizio la quantità di rifiuti da governare è sempre maggiore. Quest’anno, complice anche la crisi economica alle spalle che ha fatto aumentare i consumi, i rifiuti sono stati circa l’1,4 per cento in più. E se i rifiuti aumentano negli stessi giorni in cui i camion che dovrebbero portarli fuori dalla città non possono circolare per questioni legate alle feste natalizie, il risultato è quello che ogni romano e ogni turista passato da Roma negli ultimi giorni ha visto con i suoi occhi: cassonetti lasciati pieni per giorni, materiale organico e inorganico lasciato marcire sulle strade, cartoni e scatoloni sparpagliati ovunque e gabbiani che banchettano in ogni marciapiede lasciato a se stesso.

 

Tutto questo perché? Per molti motivi ma soprattutto per uno: il grillismo prevede che i rifiuti debbano essere portati gradualmente verso quota zero attraverso un’indecifrabile attività di “riduzione, di riutilizzo e di riciclo” (con Ignazio Marino la quota di rifiuti differenziati, a Roma, pesava per il 43 per cento, dopo due anni di Raggi pesa ancora il 43 per cento) e in vista di questo obiettivo del tutto irrealistico (in Germania e in Austria, i paesi europei più efficienti nella gestione dei rifiuti, la quantità di rifiuti riciclabili è il 50 per cento, il resto va tutto in inceneritori e in recupero energia) la linea è dire di no a ogni progetto che potrebbe risolvere in modo definitivo il dramma della monnezza. Uno su tutti: la costruzione di un termovalorizzatore. Raggi, come Pizzarotti, è stata eletta con un programma che prevedeva il no a ogni impianto capace di attivare un processo di combustione controllata dei rifiuti. Ma mentre Pizzarotti una volta arrivato a governare la sua città ha capito che l’impianto che già c’era a Parma funzionava bene (è stato cacciato dal Movimento anche per questo), Raggi ha scelto di dire di no a qualsiasi progetto che potesse andare in questa direzione (e che gli ex sindaci Veltroni, Rutelli e Alemanno avevano sostenuto, e in parte anche Marino, il quale aveva detto sì a un impianto di compostaggio da 50 mila tonnellate in una frazione di Roma, Rocca Cencia). Il risultato è quello che vediamo oggi: una città sommersa dall’immondizia che per smaltire i suoi rifiuti deve chiedere una mano a quelle città che hanno la stessa tecnologia che la furia benecomunsta rifiuta in modo ideologico.

 

Un po’ di numeri

Ma per capire bene di cosa stiamo parlando, e mettere a fuoco le dimensioni del problema, dobbiamo prenderci qualche minuto di pazienza, mettere insieme un po’ di dati e osservare lo stato dell’arte della grande monnezza romana senza pregiudizi ideologici. Ogni anno Roma, solo la città di Roma, produce circa un milione e 700 mila tonnellate di rifiuti. Si tratta di una cifra enorme (il sei per cento di tutti i rifiuti italiani) se si considera che ogni anno tutto il nostro paese produce una spazzatura pari a circa 29 milioni di tonnellate. Siamo a 4.657 tonnellate al giorno di immondizia. Per darvi una misura orientativa considerate che il ferro utilizzato per costruire il pirellone a Milano pesa più o meno così: circa 4.000 tonnellate. Bene, ma dove finiscono queste tonnellate di rifiuti? Circa 700 mila vengono messe da parte per essere trattate in modo differenziato (carta, cartone, vetro, metalli, plastica, rifiuti organici). Il restante milione viene destinato ai quattro impianti di trattamento meccanico biologico che esistono a Roma. Due sono pubblici (Rocca Cencia e Salario), due sono privati (i due impianti di Malagrotta). E qui iniziano i problemi. Il primo è questo: i quattro impianti hanno una capienza di 700 mila tonnellate e ci sono 300 mila tonnellate che ogni anno non possono essere portate in quei quattro impianti. Dove finiscono? Fuori Roma. 200 mila nelle province del Lazio (Latina, Frosinone, Viterbo) e 100 mila fuori dalla regione. Una volta capito in che modo la spazzatura va smaltita occorre capire dove smaltirla e qui iniziano altri problemi. Quant’è la spazzatura che deve smaltire Roma? 1,2 milioni di tonnellate. Come si arriva a 1,2 milioni? Una parte arriva dalla spazzatura che poteva essere differenziata e che poi durante la lavorazione si scopre che non è possibile differenziare (su 700 mila tonnellate all’anno di spazzatura potenzialmente differenziata, quella non differenziata pesa circa 200 mila tonnellate). Il restante milione deriva dalle 700 mila tonnellate lavorate a Roma (sono quelle che finiscono nei quattro impianti già citati) e dalle 300 mila lavorate da discariche fuori Roma (sono quelle che non entrano nei quattro impianti). Tutto quello che non è riciclabile deve essere portato via. Già, ma per fare cosa? Per essere incenerito. E come si inceneriscono i rifiuti? Con un inceneritore. E dove si trovano gli inceneritori? Non a Roma. E come si fa a incenerire i rifiuti se questi non sono a Roma? Circa 57 mila tonnellate all’anno vengono inviate in inceneritori all’estero (in Austria). Circa 495 mila tonnellate vengono inviate in Italia in altre città. Circa 370 mila tonnellate vengono inviate in discariche private. Solo una minima quantità (circa 60 mila tonnellate) viene portata nell’unico piccolo inceneritore che si trova nel Lazio (a San Vittore, di proprietà dell’Acea, società controllata al 51 per cento dal comune di Roma, dunque da Virginia Raggi, ops). Significa che il 52 per cento del totale dei rifiuti generati a Roma viene smaltito in inceneritori e discariche di terzi. Significa che ogni anno Roma porta fuori dalla città circa 884 mila tonnellate di rifiuti urbani che devono essere inceneriti (più 146 mila di rifiuti organici inviati in Friuli Venezia Giulia). E per portare fuori dalla città questi rifiuti bisogna pagare. Quanto? 140 euro per ogni tonnellata. Costo complessivo di tutto questo giochino? Circa 200 milioni di euro all’anno. E su questi 200 milioni di euro quanto pesano i costi di trasporto? Circa 63 milioni di euro. Se le cifre non fossero sufficientemente chiare, e clamorose, ve la mettiamo così.

 

Come il traffico romano

I romani pagano circa 670 milioni di euro all’anno di Tari (tassa sui rifiuti). Di questi, 350 milioni di euro se ne vanno in personale e 200 milioni se ne vanno per allontanare i rifiuti e portarli in impianti che esistono in quasi tutta Italia (sono 47) e che Roma ha scelto di non avere. Ci si chiederà: e quanto costerebbe fare un termovalorizzatore? Un termovalorizzatore capace di smaltire 300 mila tonnellate costa circa 300 milioni di euro. E cosa succede alle città che hanno termovalorizzatori? Chiedete ai cittadini di Brescia dove la trasformazione di immondizia in energia attraverso i termovalorizzatori ha portato la bolletta energetica e la Tari a essere il 35 per cento più basse della media nazionale. E per quanto riguarda l’inquinamento, che il tema sul quale i grillini fanno leva per dire di no a ogni termovalorizzatore? Ovviamente i termovalorizzatori producono inquinamento ma il totale delle scorie immesse nell’atmosfera ogni anno da tutti i termovalorizzatori funzionanti in Italia è pari alla quantità di inquinamento prodotto in un’ora di punta dal traffico di Roma (5 milioni di tonnellate di C02 i termovalorizzatori, 7 milioni di tonnellate un’ora in cui si affollano un milione di macchine). Sarebbe bello dire che Roma è solo un caso isolato di una città governata male in cui l’ideologia benecomunista miscelata all’inefficienza moralista produce disastri sia per le casse comunali sia per la salute dei cittadini. Sarebbe bello dire così, ma dato che la gestione di Roma è il simbolo di un metodo di governo con cui un partito sogna di governare l’Italia, prima di far finta di nulla di fronte all’immondizia culturale grillina forse conviene pensarci un po’.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.