Foto Getty 

I casamonica d'India

Dalle nozze indiane degli Ambani il nuovo ordine mondiale cafonal

Michele Masneri

Il matrimonio dell’ultimo rampollo conferma il potere un po’ cafonal della più ricca famiglia d’Asia, gli Ambani. Rihanna, Bill Gates, Mark Zuckerberg tra i presenti. Tutto cominciò dieci anni fa in Puglia

Ma siamo a Mumbai o a Caserta? Sicuramente ne avrete sentito parlare. Con Rihanna dall’aria un po’ seccata che ha cantato come una neomelodica qualunque (seppur  a fronte di un  cachet di 6 milioni di dollari), con Mark Zuckerberg in camicia animalier, con Bill Gates con la nuova morosa, il matrimonio di Anant Ambani,  erede della dinastia più ricca d’Asia, è stato l’evento dell’anno. E’ stato anche, ci pare, un segnale di qualcosa che cambia, forse la fine  del quiet luxury e del mondo Loro Piana, di quell’età insomma del cachemire che ci illudevamo fosse globale e codificata, della condanna per le “ludicrously capacious bag” di Succession. Un mondo dove anche mostri alla Putin si vestivano no logo perché l’esibizione della ricchezza era brutta e amorale. No, tutto finito, adesso, forse: e in vista di scadenze elettorali e di un nuovo ordine, servirà anche un’estetica tutta nuova? Altro che “less is more”:    forse la cafoneria delle nozze Ambani corrisponde alla fine del privilegio occidentale, del dollaro, della Nato e  di tante altre cose belle ma superate. Come India Cina Russia e varie autocrazie si sono riorganizzate con le loro monete e le loro idee e le loro alleanze, adesso si riorganizzeranno anche con un new cafonal globale che ci raggiungerà quanto prima? Addio dunque al mondo Brunello Cucinelli, al dollaro come valuta di riserva, al minimalismo come  piattaforma  comune, e benvenuti ori e ottoni da satrapi 2.0?

 

Ma andiamo con ordine. Intanto non di nozze si è trattato ma di un “pre-wedding” perché il matrimonio vero e proprio si terrà a luglio (e giù tamarrate). Per ora, la tre giorni di festeggiamenti  che si è svolta da venerdì 1 a domenica 3 marzo in una tenuta  degli Ambani a  Jamnagar, nello stato del Gujarat, da dove è originata la dinastia,  vanta numeri da record: un nuovo tempio indù è stato costruito per l’occasione e poi sarà aperto al pubblico, come aperta al pubblico era la festa popolare per 50 mila persone di mercoledì sera.  Il cibo da solo è costato venti milioni di dollari più gli stipendi di 100 cuochi. Totale, oltre 150 milioni di dollari (ma  gli Ambani,  nona famiglia più ricca del mondo, contano su  un patrimonio di 117,8 miliardi). 


Presenti 1200 ospiti tra cui il capo indiano di Google Sundar Pichai e il boss di Samsung Jay Y. Lee, e poi Ivanka Trump col marito Jared Kushner e poi Bill Gates con la nuova fidanzata Paula Hurd (organizzatrice di eventi, e identica alla ex moglie di Gates)  avvolto in un cappottino di seta che lo faceva assomigliare al leggendario Mattia Boffi Valagussa de “Le Più affascinanti di Milano”. Oltre ai potenti occidentali, gruppi di attori e cantanti che sembravano Il Volo però indiani, e infiniti balli ed elefanti, tutto per festeggiare le nozze dell’ultimogenito degli Ambani, il corpulento, asmatico, diabetico, insomma pieno di guai, ventottenne Anant.  “Ho affrontato molti problemi di salute ma i miei genitori mi sono sempre stati vicini, e non me l’hanno mai fatto pesare” ha detto lui in una delle infinite cerimonie; infatti oltre che esser figlio della famiglia più in vista del Paese Ambani jr è diventato una celebrità in proprio, una specie di influencer alla più sani più belli, mostrando la sua guerra al lardo (cit.). e documentando come sia riuscito a scendere dai 108 chili del 2016 agli 88 attuali. In questo percorzo è stato assistito da Vinod Channa, esperto coach di celebrità di Bollywood che gli fa fare dalle cinque alle sei ore di esercizio al giorno tra pesi, yoga e ginnastica funzionale. Ma anche dalla mamma Nita Ambani, già ballerina professionista di Bharatanatyam, danza tipica indiana, e che in un’intervista  ha rivelato di aver amorevolmente accompagnato il figlio nel suo  snellimento, passando pure lei da 90 a 57 chili. “Se lui fa ginnastica, la faccio anch’io. Se lui corre, corro anch’io. Se lui sta a dieta, la faccio pure io”, ha dichiarato. 

 
La fortuna di famiglia viene dal nonno, Dhirubhai Ambani, che partendo da una pompa di benzina in Yemen  fondò Reliance Industries negli anni Sessanta cominciando con la produzione di poliestere e poi allargandosi alla raffinazione del petrolio, ai commerci, alle telecomunicazioni, a qualunque campo, fino a creare il più grande conglomerato asiatico. Morto nel 2002, ha lasciato l’impero ai fratelli Mukesh (padre dello sposo) e al più giovane Anil che ovviamente si sono immediatamente scannati nella loro Succession, terminata grazie ai buoni uffici della madre e allo spacchettamento dell’azienda: al primogenito il petrolio e il gas, al secondo le costruzioni, l’energia e l’intrattenimento. Mukesh ha sposato la suddetta Nita che oggi si occupa della Reliance Foundation, il braccio di beneficenza del gruppo, e delle squadre sportive. Hanno due gemelli, Isha e Akash, e poi il nostro Anant. 


Gli Ambani sono specializzati in matrimoni non sobri: già nel 2018 fecero scalpore le nozze di Isha che inclusero un concerto privato di Beyoncé e ospiti come Priyanka Chopra e Nick Jonas, Hillary Clinton e Arianna Huffington. E l’anno successivo si sposò il gemello Akash con superospite Tony Blair. A questi matrimoni gli invitati stranieri sono   attrazioni a sé molto coccolate, e però  hanno sempre l’aria un po’ disorientata, da “che ci faccio qui”, come appunto questa volta Rihanna, che fa peraltro pochissimi concerti, ma sei milioni sono sei milioni, e poi però si ritrova in mezzo alla famigliona indiana con gli elefanti. O come Hillary Clinton immortalata in sari a quelle nozze del 2018 tra la folla  e i cavalli e i canti, con l’aria sperduta  in mezzo a una strada. 
Quel matrimonio si svolse attorno alla casa degli Ambani a Mumbai, che è parte dell’iconografia di famiglia. Vale 1 miliardo, ed è la residenza privata più costosa del globo,  un grattacielone di 27 piani tutto loro, con un unico appartamento che occupa gli ultimi sei. E poi garage da 168 macchine, tre eliporti, 600 persone di servizio, altro che City Life: è disegnato in forma un po’ di accrocco tipo spontaneismo del Pigneto da due studi americani, Perkins & Will di  Chicago, e Hirsch Bedner Associates di Los Angeles. Assoldati dopo che Nita Ambani aveva apprezzato il Mandarin Oriental, da loro fatto a New York. La magione ha attirato le critiche di Ratan Tata, altro magnate indiano, che forse geloso ha accusato gli Ambani di essere dei cafoni spendaccioni in una nazione  che in gran parte muore di fame. 


Ma gli Ambani non si sono turbati più di tanto: la loro ricchezza, un po’ scesa col Covid, adesso è risalita vertiginosamente. Possiedono tra le altre cose Jio, il più grande operatore di telefonia mobile dell’India, con 388 milioni di clienti, e un socio d’eccezione, Mark Zuckerberg, che ha investito 5 miliardi nell’azienda. Ed ecco che Zuck in versione “Vacanze intelligenti” con sari di seta a tigri stampate, è stato uno degli ospiti delle recenti celebrazioni, e  in uno dei siparietti filtrati dai social dal matrimonio fa i complimenti allo sposino. “Caspita che bell’orologio”, fa la moglie di Zuckerberg all’indiano. “Glie l’ho già detto io”, dice il marito. “Sapete, non ho mai pensato di comprarmi un orologio, ma dopo aver visto questo…”, ribadisce Zuckerberg. Sull’Internet fanno sapere trattarsi di un Richard Mille  RMS-10 Tourbillon Koi Fish in oro e diamanti (e con degli strani pesci nel quadrante) dal valore di un milione di euro. Ma il giovane Ambani ne possiede anche di più cari ed elaborati. Forse le bande ruba-orologi di Milano si sono già imbarcate su un volo Air India in vista della prossima preda e del prossimo matrimonio. Non è dato sapere invece se gli Zuckerberg fossero sinceri nei complimenti o cercassero solo di tutelare il loro investimento nelle tlc asiatiche.

Gli ospiti si sono comunque cambiati molto frequentemente. Il video-invito delle feste prevedeva per il primo giorno il tema  “An Evening in Everland,” con abbigliamento “elegant cocktail.” Giorno due, “Walk on the Wild Side,” con tenuta animalier (da cui le tigri). Scarpe comode erano consigliate per il giorno 3, quando gli ospiti si sono sottoposti  a un tour di salvataggio  e supporto animali, secondo i desiderata dello sposo molto attivo nelle cause ecologiche. Gran finale in costume tradizionale indiano. Chissà come sarà il matrimonio vero tra quattro mesi. 

Ma le nozze indiane sono ormai un genere a sé stante, c’è ovviamente l’immancabile docuserie Netflix dedicata (“The Big Day”), e l’Italia gioca un ruolo centrale come fondale d’elezione. Il fidanzamento di Isha Ambani fu celebrato sul lago di Como, e sono passati già dieci anni da quando nella solita turbomasseria Borgo Egnazia (dove Giorgia Meloni si appresta a celebrare il prossimo G7) si tenne il primo grosso grasso matrimonio indiano in Italia: si sposava la figlia del più grande magnate indiano del ferro, Ritika Agarwal, e per l’occasione arrivarono nelle Puglie 800 invitati, 1700 adetti, 10 milioni di budget, e poi gli immancabili elefanti, e l’imprescindibile cantante (in quel caso Shakira). In mezzo alle mille decorazioni il sindaco di Savelletri, Lello Di Bari, si presentò con un fiocco giallo a ricordare la questione dei marò, i due fucilieri all’epoca tenuti proprio in India, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, che sono di Brindisi. Dunque aspre polemiche ai tempi: sulla Gazzetta del Mezzogiorno il deputato Pd Dario Ginefra pregò i magnati indiani di “provare a svolgere, una volta tornati in India, una funzione attiva per aprire una breccia proprio dove, sino ad oggi, hanno fallito le nostre democrazie” (già dieci anni fa risuonava alto, è chiaro,  il richiamo degli autocrati). Qualcuno chiese al sindaco di impedire il matrimonio. Ma quegli alla fine si risolse a partecipare ma con fiocco giallo, appunto, convinto che l’evento fosse comunque  “solo pubblicità positiva per la nostra terra”.


Però non ci sono solo gli indiani e non c’è solo la Puglia. Certo le nozze Ambani fanno   impallidire qualunque altro  matrimonio cafonal che ci si ricordi, compreso quello dei  Ferragnez a Noto (era il 2018 e  il Vescovo di Noto  aveva composto pure un rap in loro onore: sembra un’èra lontanissima). Ma ora   si potrebbe  pensare a rilanciare il settore del wedding coatto  in tutta la penisola. La villa appena sequestrata al clan Casamonica a Roma potrebbe fungere da location (non bisogna toccare niente, va bene com’è), e si spera invece venga dissequestrato presto il castello delle Cerimonie della omonima trasmissione, dove operava il compianto boss don Antonio. Ma non ci sono solo i matrimoni. C’è tutta un’estetica e un indotto. Sul set della serie Gomorra gli scenografi  raccontarono che per creare i compound dei Savastano, con tappezzerie damascate,  consolle Luigi XV, nicchie con leoni in librerie tipo Roche-Bobois però più estreme, e tigri dagli occhi di smeraldo, si erano ispirati a un mix tra “Scarface” e i sequestri di mafia. Gli scenografi temevano di aver esagerato: ma i locali che passavano dal set chiedevano insistentemente invece dove si potessero acquistare quei pezzi (poi scoprendo che non erano in commercio ci rimanevano malissimo). Ma allora, in vista del nuovo ordine e del prossimo Salone del Mobile, e data anche la continua fuga di marchi del made in Italy più classico verso l’estero,  non sarebbe il caso di lanciare una grande filiera del gusto coatto-sovranista che valorizzi finalmente il Bel Paese? Senza inseguire la piatta sobrietà omologata delle decadenti democrazie occidentali? Il minimalismo, se lo vogliamo,  ha i giorni contati.       

Di più su questi argomenti:
  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).