appunti

Guida alle erbe selvatiche in cucina per non confondere il tarassaco con piante velenose

Facili da riconoscere l'ortica, il papavero e la malva. Più difficili da distinguere altre. Per evitare intossicazioni a volte letali, come quella dell'uomo morto pochi giorni fa in provincia di Lecco, torna utile anche la funzione di ricerca Google per immagini. Consigli e ricette di un appassionato

Maurizio Stefanini

Dopo l’orso il tarassaco, potremmo dire. È purtroppo morto in provincia di Lecco il 56enne Stefano Bonacina: allenatore di una squadra di calcio locale, che aveva l’hobby della raccolta di erbe selvatiche commestibili. Ne aveva fatto una minestra, in cui pero per sbaglio doveva avere messo anche qualcosa di velenoso, che lo ha ucciso in 48 ore: è stato lui stesso a dirlo al medico. Il punto è che però lui stesso non aveva in realtà individuato esattamente cosa gli aveva fatto male, e si è limitato a dire che doveva averlo confuso per tarassaco. E così una quantità di giornali hanno pubblicato foto de Taraxacum officinale: questo il suo nome scientifico, italianizzato in tarassaco, ma accompagnato da una quantità di nomi popolari. Da dente di leone, per la forma caratteristica delle sue foglie; a pisciacane, per le sue qualità depurative e diuretiche. Effettivamente esistono alcune piante velenose che gli assomigliano e che sono confuse nel nome come tarassaco di montagna o tarassaco selvatico, anche se in realtà sono un genere diverso: Senecio vulgaris, Senecio jacobaea, Senecio inaequidens. Ma in effetti hanno tutte foglie più grandi, più allungate e più scure e la radice di odore sgradevole.

La cosa mi ha toccato, perché in effetti ho anche io lo stesso hobby. Non solo io, peraltro. Lo aveva anche Henry David Thoreau: il filosofo, poeta e scrittore statunitense vissuto tra 1817 e 1862, che fu precursore dell’ecologismo e inventore della disobbedienza civile, e di cui Piano B ha appena pubblicato in traduzione italiana una ampia selezione dei suoi scritti più belli ispirati agli alberi, alle piante e ai fiori incontrati durante le lunghe escursioni botaniche che impegnarono gli ultimi dieci anni della sua vita. In ogni stagione dell’anno Thoreau si metteva in cammino tra campi, boschi e paludi, esplorando e registrando tutto sui suoi diari. Più modestamente, io ci faccio insalate e minestre: da queste ultime il soprannome di “Panoramix” datomi dai miei figli, per la loro pretesa somiglianza alle pozioni del druido di Asterix.

In realtà, il tarassaco lo preferisco crudo in insalata, come il crespigno. Cotti ci faccio soprattutto ortica e borragine: ci ho fatto anche il risotto che ho ammannito a Fabrizio Rondolino, quando lo ho avuto ospite due settimane fa. Ma ultimamente ho fatto anche patate saltate in padella con ortica e guanciale, e una minestra di fagioli, farro e borragine. Ma le preparazioni tradizionali sono in quantità. Da quel “preboggion” ligure che secondo una tradizione inventarono alcuni crociati “per Buglione” il comandante Goffredo voglioso di verdure; a quell’acquacotta che i butteri toscani facevano con pane secco usato anche come tagliere per lardo o pancetta da aggiungere: alcune prevedono di buttarci proprio tutte le erbe che si trovano. Un ritorno alle radici, nel senso più letterale del termine.

In realtà l’ortica perché pizzica, il papavero per il fiore, la borragine e la malva pure per i loro fiori di colore rispettivamente blu elettrico e appunto malva, il crespigno e il tarassaco per la forma delle foglie, menta e melissa per l’odore di menta e limone, sono abbastanza facili da distinguere, e si trovano veramente dappertutto. Altre erbe sono più complicate, ed effettivamente un po’ di più si rischia. Ma i cellulari intelligenti e la funzione di ricerca Google per immagini permettono ormai una identificazione rapidissima. E l’ultima volta che la ho usata, la settimana scorsa, mi è saltata fuori una gigantesca cicuta. Sì: ho evitato di fare la fine di Socrate.

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