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L'inchiesta

Scendere a patti con gli orsi e con i lupi

Giorgio Tonini

Come uscire dalla contrapposizione fra gli ambientalisti estremisti e la Lega che promette un Trentino senza belve. La regione non vuole privarsi della fauna (sopratutto per il progetto di grande successo "Life Ursus") ma non può convivere con gli attacchi ai danni di pascoli e persone

Scaturita da un tragico episodio di cronaca nera – l’orribile uccisione, il 5 aprile scorso, di un uomo di 26 anni, Andrea Papi, da parte di un’orsa, incontrata fortuitamente dal giovane mentre correva lungo una strada forestale nei pressi del suo paese: Caldes, nella trentinissima Val di Sole – la discussione sul rapporto tra orso e uomo sta assumendo la dignità di una complessa e intrigante questione bioetica e biopolitica. Se appena si prova a liberarla dal frastuono della consueta, tanto inevitabile quanto mediocre spettacolarizzazione politico-mediatica, la tematica della convivenza tra i grandi carnivori e gli abitanti delle “terre alte” alpine si rivela per quello che è: una delle molteplici versioni di una delle questioni radicali del nostro tempo, quella del rapporto con la natura, da parte dell’etica, del diritto e della politica, in breve della ragione e della responsabilità umane. Un rapporto tra dimensioni che si compenetrano e condizionano tra loro, al punto che non ha più senso neppure pensarle a prescindere l’una dalle altre. In particolare, ciò che appare sempre più evidente è la radicale impossibilità di pensare la natura a prescindere dall’uomo che la abita, e la custodisce e la trasforma al tempo stesso: la trasforma anche quando si propone di custodirla. Allo stesso modo, le decisioni umane a proposito della natura comportano conseguenze per gli stessi esseri umani, per la qualità della loro vita individuale e collettiva. L’equilibrio che ne consegue è strutturalmente e inevitabilmente sempre provvisorio, se non precario, comunque bisognoso di essere continuamente rivisto e aggiornato. Come per altre questioni bioetiche e biopolitiche, a cominciare da quelle che riguardano l’inizio e la fine della vita umana, o la sessualità e le sue implicazioni culturali e sociali, la tendenza a polarizzare lo scontro tra posizioni estreme è tanto forte quanto sterile se non dannosa, mentre l’unico approccio costruttivo risulta quello dialogico, orientato alla costruzione di sintesi ragionevoli, di mediazioni alte, tra i diversi punti di vista e i diversi valori in gioco.

 

La vicenda degli orsi trentini è al riguardo esemplare. Pressoché estinti nel corso del Novecento, gli orsi vengono reimmessi nell’habitat delle Alpi centro-orientali sulla base di una decisione umana, uguale e contraria a quella che nel corso dei secoli aveva portato al loro quasi completo sterminio. La radice di questa decisione è ormai relativamente lontana. Bisogna risalire al 19 settembre 1979, quando a Berna fu adottata dal Consiglio d’Europa la “Convenzione relativa alla conservazione della vita selvatica e dell’ambiente naturale in Europa”.

 

La convenzione impegna i paesi aderenti “alla particolare salvaguardia delle specie di flora selvatica” enumerate in un lunghissimo elenco (allegato I) e “alla particolare salvaguardia delle specie di fauna selvatica” enumerate in un non meno nutrito allegato II. “Sarà segnatamente vietata per queste specie – recita l’articolo 6 – qualsiasi forma di cattura intenzionale, di detenzione e di uccisione intenzionale”. Seguono numerose altre prescrizioni a tutela delle specie in pericolo. Le severe misure protezionistiche sono derogabili, prevede la convenzione, “nel caso che non vi siano alternative, e a condizione che la deroga non sia dannosa per la sopravvivenza della popolazione in oggetto” e sia motivata, ad esempio “per prevenire importanti danni a colture, bestiame, zone boschive, riserve di pesca, acque ed altre forme di proprietà” o “nell'interesse della salute e della sicurezza pubblica, della sicurezza aerea o di altri interessi pubblici prioritari”.

 

La convenzione impegna i paesi aderenti anche “a favorire la reintroduzione di specie indigene di flora e di fauna selvatiche ove ciò contribuisca alla conservazione di una specie minacciata di estinzione, purché precedentemente, e sulla base delle esperienze attuate da altre parti contraenti, sia effettuato uno studio per accertare che tale reintroduzione è efficace e accettabile.”

 

Le coordinate fondamentali della convenzione di Berna sono state assunte dalla Direttiva comunitaria “Habitat” del 1992 e fatte proprie dalla legislazione italiana. Esse hanno poi ispirato il progetto Life Ursus, che a partire dal 1999 ha reintrodotto l’orso in Trentino, mediante prelievi effettuati in Slovenia, sotto la responsabilità della speciale autonomia della Provincia di Trento.

 

A distanza di quasi un quarto di secolo dal varo del progetto, è possibile effettuare una prima valutazione dei suoi risultati. Che risultano largamente (anche se non compiutamente) positivi sul piano della conservazione e dell’espansione della specie orso bruno sulle Alpi: ridotti a poche unità alla fine del secolo scorso, oggi parrebbero (mancano dati completi e certi) aver largamente superato la soglia del centinaio di esemplari. L’unico vero limite è rappresentato dall’elevato grado di consanguineità degli orsi “trentini”, che secondo gli esperti costituisce una seria preoccupazione per lo sviluppo della popolazione. Una conseguenza questa, anche della scarsa espansione territoriale, al di fuori del Trentino occidentale, del ripopolamento degli orsi, probabilmente dovuta anche alla mancanza, o almeno carenza di corridoi faunistici che consentano loro di attraversare ostacoli altrimenti invalicabili come l’autostrada del Brennero, oltre alla diffidenza se non ostilità delle province e regioni confinanti, che pure avevano originariamente espresso la loro adesione al progetto.

 

Proprio il successo del ripopolamento degli orsi, al quale va aggiunto quello dei lupi, che non sono stati reimmessi “artificialmente”, ma hanno comunque potuto avvalersi, per tornare a moltiplicarsi, della speciale protezione della convenzione di Berna, ha creato nuovi problemi, che potranno ragionevolmente essere affrontati e risolti solo se si affermerà la consapevolezza di essere entrati in una fase del tutto nuova. Per dirla in modo sintetico, stando ai numeri (beninteso, da confermare in modo documentato) gli orsi (e i lupi) oggi non sono più specie in pericolo di estinzione. Mentre a sentirsi minacciata nella sua stessa sopravvivenza è una particolare specie umana, quella degli abitatori delle “terre alte”, da secoli protagonisti di quella specifica forma di coltivazione della montagna che è l’alpeggio: a lungo economia di difficile sussistenza, da qualche decennio, grazie all’integrazione tra agricoltura-allevamento, artigianato insieme a piccola industria di qualità, e forte espansione del turismo, ha consentito di frenare lo spopolamento della montagna e di trasformare destini di povertà ed emigrazione in concrete e vissute esperienze di straordinario sviluppo umano.
 

La tragedia di Caldes, preceduta da uno stillicidio di episodi “minori” di contatto violento tra orsi (o lupi) e comunità umane, allargate agli animali di allevamento, ha colpito in modo duro il sistema nervoso di queste popolazioni, che stanno reagendo con una inedita determinazione. Così non si può andare avanti, dicono. Ed è difficile dar loro torto. Il Trentino si trova così di fronte ad una vera e propria sfida esistenziale. Per un verso, non può rassegnarsi a considerare fallito un programma di successo come Life Ursus. Equivarrebbe a rinunciare a un motivo di orgoglio che è anche uno dei biglietti da visita più prestigiosi della sua autonomia speciale: ci governiamo da soli anche perché siamo i più bravi, pure sulla difficile frontiera della qualità ambientale dello sviluppo. In pochi posti al mondo si riesce a far convivere, come in Trentino, crescita economica da primato italiano e gestione sapiente di un ambiente naturale di così alto pregio. Il ritorno dell’orso è la certificazione di questo modello di successo. E tuttavia, per altro verso, il Trentino non può neppure rassegnarsi a veder tornare difficili, a livelli da tempo sconosciuti, la vita e il lavoro in montagna, a causa di una espansione incontrollata della presenza dei grandi carnivori. Ne va di uno dei pilastri portanti del suo modello: la montagna abitata, vissuta, modellata dalla presenza umana. Una montagna fatta non solo di boschi e foreste, ma anche di pascoli, campi coltivati, itinerari e infrastrutture turistici.

 

In ottobre in Trentino si vota. La Lega, che negli ultimi cinque anni ha governato la Provincia autonoma, dopo vent’anni di centrosinistra, è fortemente tentata di puntare le sue carte su ciò che sa fare meglio: drammatizzare i problemi, per alimentare le paure e cavalcarle a fini di consenso. Pensa per questa via di far dimenticare la sostanziale inerzia nella gestione di Life Ursus, come del resto di quasi tutti i dossier sul tavolo del governo dell’autonomia: dopo tutto, la migliore difesa è sempre l’attacco. E quindi la linea comunicativa è semplice: evocare il ritorno a un Trentino senza orsi e senza lupi. Pur sapendo che si tratta di una promessa impossibile da mantenere, proprio come l’Italia senza sbarchi, fermati dai blocchi navali. Almeno finché resta in vigore l’attuale quadro normativo, europeo e italiano, e una costellazione di corti giudiziarie a presidiarlo. Il centrosinistra, dal canto suo, ha saputo isolare l’ambientalismo estremistico che scambia il Trentino con l’Alaska e la doverosa tutela delle specie animali con una insostenibile sacralizzazione della vita di ogni singolo esemplare. Ora deve riuscire nella difficile ma indispensabile impresa di far prevalere nella comunità trentina la cultura della sintesi, della mediazione, dell’equilibrio. Dar vita a una fase nuova di Life Ursus e più in generale delle politiche di tutela delle specie protette. Una fase che prenda atto del superamento del rischio estinzione e si concentri sulla sostenibilità, sul piano quantitativo e qualitativo, della presenza dei grandi carnivori, che va resa compatibile con la vita e il lavoro umani in montagna. Una fase nuova che ha bisogno, non di più conflittualità e contrapposizioni, ma di più conoscenza e di più collaborazione. In Trentino e tra il Trentino e la comunità nazionale ed europea.

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