il reportage

Venezia come un romanzo russo

Francesco Gottardi

Un barista proveniente dalla Russia viene accusato di fare propaganda al soldo del Cremlino in un locale veneziano, che si ritrova nel bel mezzo di un intrigo internazionale che gli costa paure e recensioni negative. Ecco come sono andate le cose

Venezia. “E se l’intelligence russa aprisse dei negozi in Italia con personale addestrato a scopo di propaganda?”, si domanda su Twitter Gints Knoks. “Sentite la mia storia: io e miei amici ci trovavamo a Venezia, ogni sera allo stesso bar”, sbandierato con tanto di screen da Google maps, “perché è il più economico della città. Pieno di studenti e locali. Serghei, il barista, è molto socievole. Insieme a un cliente abituale, russo pure lui, intrattiene gli avventori enfatizzando la ricchezza culturale di Mosca, le responsabilità degli Stati Uniti e il pericolo nazista in Ucraina. Chiacchiere da bar, no? Quello che non sanno è che noi capiamo il russo. E alla terza sera sentiamo Serghei e il suo socio parlare del loro vero lavoro: fare campagna per il regime di Putin. A quel punto li smascheriamo. Si innervosiscono e tagliano corto. L’amico se ne va, Sergei torna torvo dietro il bancone. Queste sono le loro foto”.  Nel giro di poche ore l’aneddoto diventa virale, condivisioni a migliaia. Tra i like di sdegno, spicca quello di Christo Grozev, giornalista di Bellingcat, un autorevole sito investigativo specializzato in inchieste sul Cremlino: era stato l’autore del tweet a invitarli a indagare.

 

Ce n’è abbastanza per fare un giro a Venezia. Il locale sotto accusa è il Bar Barbari, si trova in Calle larga dei bari. Sestiere di Santa Croce, pieno centro storico, passaggio obbligato verso la stazione. È un venerdì pomeriggio, i bacari circostanti iniziano a carburare aperitivi. Tutti tranne uno. Proprio quello. Chiuso. Possibile? “Strano, in effetti”, ci dicono gli altri esercenti. Sondiamo il terreno. “Sergei? Qui in zona lo conosciamo tutti: un tipo tranquillo, nella vita fa il traduttore e al bar arrotonda. Al soldo dei russi? Magari tende a difendere la propria nazione. Ma da qui a farne un agente segreto…”.

 

Proprio quando ce ne stiamo per andare, ecco una luce dal Bar Barbari. Forse c’è il nostro uomo. “Ma io sono Giovanni, cameriere napoletano!”. Forse no. “Però so tutto”, la bufera social risale alla sera prima: “Quei tizi che ci puntano il dito contro li ho serviti io. Due mesi fa. Ed erano ubriachi spolpi. Trasìte, che vi faccio telefonare alla proprietaria”. In vetrina si legge spritz 3 euro e birra 5: prezzi ordinari, da queste parti. Plateatico modesto, interni sobri e stretti: segni particolari, un Nazar boncuğu sulla porta, il tipico amuleto in vetro blu della Turchia. E infatti Elif, la paròna, viene da Adana e con la Russia non c’entra nulla. È spaventata. “Mi sento male da tutto il giorno, avevo scelto io di non aprire. Sono madre di due figli: e se salta fuori qualche fanatico ad aggredirci?”.

 

Di Twitter non sapeva. Ha scoperto il caos per la pioggia di recensioni negative sul suo bar, che da 5 stelle è precipitato a 2,5. ‘Qui feccia russa, evitare a ogni costo’: la macchina del fango è innescata. “Ma nel mio locale non si fa propaganda!”, insiste lei con voce rotta. “L’ho inaugurato lo scorso aprile, Sergei ha un contratto a chiamata da agosto e l’episodio in questione risale a poche settimane dopo: mi sono arrabbiata con lui per la sua ingenuità”. La domenica incontriamo Elif di persona. Ci mostra la chat col barista, che spiega di essere stato spinto a esternare le sue opinioni da quei clienti avvinazzati. “Consumavano da ore, gli chiedevano i selfie e bevevano vodka offerta dalla casa”. Poi avrebbero montato tutto. “Cosa dovrei fare, adesso, appendere una bandiera ucraina? Prima del bar avevo una pizzeria gestita da bravissimi curdi: valuto i miei dipendenti per come lavorano, non per le loro origini”.

 

 

“Pure Serghei non mi aveva mai creato problemi”. E il suo amico? “L’ho visto qualche volta, non è un cliente abituale. E soprattutto non parla italiano: come potrebbe fare proseliti? Perché la polemica salta fuori soltanto ora? Mi domando se quelli pagati per dire certe cose alla fine non siano gli altri”. Chi sono gli altri? Scopriamo che il signor Knoks lavora al municipio di Riga ed è un ex consigliere del ministero della Difesa della Lettonia. Dopo il tweet è volato a Cuba, in vacanza. Riusciamo a contattarlo dopo alcuni giorni. Ribadisce che “i due tizi riempivano il bar con le fake news del Cremlino, ma è possibile che si tratti di uscite spontanee e che la proprietaria fosse ignara di tutto: chi supporta Putin, comunque, o prende soldi o è senza cuore”. La sua parola contro la loro. Qualche elemento per andare oltre? “No. È così. Ci ho pensato a lungo prima di pubblicare questa storia, ma non potevo trascurare le vittime ucraine”. Nel dubbio, ci va di mezzo un’attività commerciale. Anche se il Bar barbari sta tornando alla normalità e Google cancella le recensioni pretestuose: il rating è risalito a 4,8. Tutto come se niente fosse. E forse niente è successo.

 


Foto di Francesco Gottardi 

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