Grand Omicron hotel. La gran commedia delle vacanze di Natale 2021

Michele Masneri

L'anno scorso il coprifuoco. Quest'anno di nuovo tutti ad affollare Cortina e le Maldive

Ve lo ricordate Natale 2020? Quello del “qui una volta era tutta zona rossa”. Gli amati Dpcm imponevano di uscire di casa solo per “comprovate esigenze”; esondare dal comune di residenza era vietato. C’era il coprifuoco dalle 5 alle 22. Lo spostamento verso le abitazioni private era consentito una sola volta al giorno verso una sola abitazione nei limiti di due persone (oltre ai minori di anni 14 e alle persone disabili o non autosufficienti). I congiunti potevano essere visitati una volta sola al giorno (seguirono settimane di disamina su chi fossero mai questi congiunti). Decifrare queste regole era meglio dello Scarabeo.

 

Eppure, tutti a lamentarsi. Ma come spesso accade, assaporata la libertà, si scopre che è peggio. Niente infatti rispetto alle vacanze natalizie appena concluse. Soprattutto chi è partito fa dei racconti raccapriccianti. Lo si è visto pure sul campo. A Cortina d’Ampezzo, passati i tempi in cui Pietro Barilla comprava magnifiche gioie a Marta Marzotto, oggi il vero bene di lusso sono i tamponi. “Il rapido” per Cortina una volta significava quel treno che fermava magari a Calalzo per vacanze memorabili; ma invece oggi si intende naturalmente il tampone. Nella farmacia sul corso viene 11 euro, e questa farmacia è diventata il vero punto di struscio e raccolta, più che il De la Poste (lasciato ai piccoli romani rissosi) o la Cooperativa. E anche sul treno poi di ritorno, il Freccia e non il rapido, è tutto uno scrutarsi: “sai, io e Sveva dormiamo separati, aspettando gli esiti del molecolare”, si origlia. Ci sarà pure qualche positivo che nel segreto del tampone si mette in treno per non rimanere magari confinato all’hotel Cristallo (mille euro a notte)?.

 

Scendendo a sud, c’è la milanese, raccontano le cronache, che non rinuncia all’epifania a Napoli, rintracciata e denunciata (episodio per una commedia covidica). Queste vacanze, si è capito, sono state un disastro: il disastro delle libertà. Ci sono i nostalgici dell’America, quelli partiti per New York che tornano mogi mogi – oltre che con la faccia tipo installazione di Christo, insaccati dalla Ffp2 tenuta dodici ore. Raccontano: la città piena di homeless, pare d’essere negli anni Settanta, strade deserte, e soprattutto narrano non di quanto hanno pagato per una cena da Balthazar o per una camicia da Brooks, come si faceva nei gioiosi anni Ottanta, bensì per i 75 dollari di tampone (obbligatorio). “E non te lo fanno manco loro. Te lo danno e te lo devi infilare tu nel naso”. Il terrore vero è quello di positivizzarsi una volta lì, coi costi micidiali della sanità americana.

 

Ma i più coraggiosi ancora sono quelli che hanno puntato sulle Maldive con l’idea di privacy e isolamento (un’inconscia voglia di lockdown?) suggerita dall’atollo nell’acqua cristallina, affrontando la micidiale traversata in jet, poi bimotore a elica e infine, spiaggiati, si ritrovano positivi. E, si narra, dal resort aureo pagato in anticipo vengono trasferiti in Covid hotel maldiviani da “Fuga di mezzanotte”. “Ci hanno messo in un buco di un metro per un metro, praticamente se apriamo le valigie non riusciamo a muoverci nella stanza”, ha raccontato alla Nazione la coppia Sofia Tonola e Matteo Filibeck. “Non abbiamo più biancheria, siamo costretti a lavarci i vestiti nel lavandino. La cosa più preoccupante, però, è la situazione igienico sanitaria di questa stanza. Dobbiamo starci 15 giorni, visto che il governo maldiviano ha deciso di vietare per i turisti il secondo tampone, pagando anche quasi 200 euro al giorno in più, e nessuno ci ha portato delle lenzuola pulite o ci ha sistemato la stanza. Ci portano il cibo fuori dalla porta, e nessuno viene a prendere la spazzatura”. Insomma, scene tra “Sperduti nel mare d’agosto” o “The white lotus”, la serie Netflix su un resort di lusso alle prese con i deliri dei clienti e del personale.

 

Ovunque si è andati, comunque, anche rimanendo in Italia, un disastro. Amicizie rovinate. Cene dei sospetti e dei veleni. Chi mette a disposizione grandi case di campagna per gli amici, che poi arrivano e si “imparanoiano”. Un ospite tossisce. Un’altra ospite si stranisce. Non è che sei positivo? Hai fatto il tampone? Scene da Yasmina Reza. L’ospite tossente risponde sessista: io me lo faccio, ma qui qualcuno dovrebbe fare quello vaginale, piuttosto, di tampone. La padrona di casa si incazza. Insomma, non se ne esce, era meglio rimanere a casa, era meglio il Natale col Dpcm. Almeno ci si poteva lamentare, cercando di capire chi mai fossero i congiunti, e agognando una libertà che, s’è capito, se ne faceva volentieri a meno.

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).