Il Giovanni XXIII, uno degli istituti occupati questa settimana a Roma (foto Ansa)

La festa dell'okkupazione

Luca Gambardella

Così i collettivi di destra e di sinistra si contendono i licei ai danni degli studenti. Un viaggio fra le scuole capitoline

"Ma te lo sai come se fa un’occupazione?”, chiede quello che ha l’aria di saperla lunga. Sfumacchia il suo mozzicone di sigaretta e guarda dall’alto in basso chiunque gli rivolga la parola. Avrà 17 anni, le gote rosse ancora ricoperte di brufoli, ma parla come se si sentisse investito della responsabilità di riportare un po’ di giudizio in mezzo a tanti sconsiderati. “Allora spiegamelo te”, gli risponde piccato l’altro, mingherlino e intimidito dal tono di rimprovero del compagno. Quello che la sa lunga gli sbuffa un po’ di fumo in faccia e inizia l’elenco contando sulle dita della mano: “Allora: prima devi convoca’ l’assemblea, poi fai vota’, quindi comunichi col preside...”. E così via. Stanno davanti al cancello dell’Argan, liceo artistico occupato dal giorno prima in zona don Bosco, uno dei 50 istituti che solo a Roma, nel giro di pochi giorni, sono stati presi d’assalto dagli studenti. Erano anni che non si vedeva una simile agitazione nella capitale. “L’ultima volta mi sa che era il 2016, quello contro le multinazionali. Me l’ha raccontato mia sorella”, ricorda un ragazzo che all’epoca aveva appena finito le scuole elementari. Oggi non c’è il mercato globalizzato da combattere, ma si protesta per le infiltrazioni sulle pareti, i laboratori chiusi, le scuole pericolanti, la didattica a distanza. Una situazione grave e riconosciuta da tutti, anche da dirigenti e professori, che non mancano di ripetere che “noi e i ragazzi dividiamo gli stessi spazi, e la muffa come ce l’hanno loro ce l’abbiamo pure noi”. Tutti d’accordo, insomma. Ma le occupazioni di questa settimana somigliano più al colpo di coda di un mondo fatto di collettivi e movimenti che galleggia fra passato e presente, alla ricerca del riflettore giusto sotto cui mettersi in mostra. 

 

Basta andare in giro per le scuole: a un numero elevato di istituti coinvolti non corrisponde una altrettanto elevata adesione dei ragazzi. A essere criticato dagli studenti è il modo stesso in cui sono state indette le proteste. All’Argan, per esempio, su 900 alunni sono solo qualche decina quelli che sono riusciti a entrare. Al liceo classico Plauto di Spinaceto, periferia sud di Roma, erano in due a essersi accampati con una tenda sul tetto della scuola, mentre qualcun altro è entrato nell’istituto. Si occupa loro malgrado, fino all’usurpazione degli spazi fomentata da collettivi esterni, che gravitano attorno al mondo politico e sindacale di destra e di sinistra. Sono questi a rincorrersi in una gara a chi occupa più istituti nella capitale. Pare quasi che in Italia nemmeno le crepe sulle pareti delle scuole possono diventare un argomento bipartisan.   

 

E’ andata così, qui all’Argan, dove per inciso sembra che la pandemia non sia mai arrivata: è tutto un abbracciarsi e uno strattonarsi e un dimenarsi fra studenti del liceo e altri ragazzi che non si sa da dove arrivino – li chiamano “gli esterni”.  La rivoluzione è una cosa seria e non c’è spazio per mascherine – non la indossa praticamente nessuno  –, figurarsi per i green pass.  Alcuni ragazzi sono riusciti a entrare dentro l’edificio. “Allora, per il riscaldamento ci ho pensato io stanotte, stava su off, bastava mettere su on”, spiega tutta concitata una ragazza che fa rapporto sulla situazione agli altri compagni di avventura. Robusta e con voce stridula, rassicura tutti: “Per il cibo stamo a posto. Per l’acqua pure”. Oltre la porta di ingresso c’è chi ha passato la nottata dentro, forse una decina di studenti. Fanno capolino dalle grate delle finestre e sembrano quasi in gabbia. Eppure un giornale online raccontava il contrario: “Il preside ci ha sequestrati, non possiamo uscire”, titolava, insinuando addirittura un sequestro di persona da parte del dirigente, che avrebbe messo il catenaccio al cancello per costringere i ragazzi a desistere dall’occupazione. “Ma de che! Siamo stati noi a chiuderci dentro”, rettificano oggi gli stessi studenti. “Vatte a fida’ dei giornalisti, chissà chi glielo ha detto...”. Già, chi?

  

Lunedì su Radio Onda d’Urto c’era Simone a raccontare cosa è successo al Plauto, finito su tutti i giornali per la temerarietà delle proteste. “Sono stato caricato di forza dai poliziotti mentre occupavamo, mi hanno portato via e mi hanno minacciato”, dice Simone. Per lui, il problema nelle scuole italiane va oltre l’edilizia scolastica o la didattica a distanza. Piuttosto, il problema è politico: “C’è qualcosa che non va, c’è un malcontento diffuso nelle scuole di Roma e di tutta Italia, credo. La questione è l’antagonismo espresso dal governo Draghi. E poi c’è la repressione delle forze dell’ordine”. “Antagonismo e repressione”, scandisce. Simone fa parte del collettivo Osa, che sta per Opposizione studentesca alternativa, una sorta di ramo giovanile di Potere al popolo e uno dei principali deus ex machina delle occupazioni di questi giorni nella capitale. Sono stati loro a filmare e a distribuire ai giornali il video dell’aggressione al Plauto. “Ragazzo strattonato e sollevato per il collo da un poliziotto”, titola in modo troppo enfatico il Corriere della Sera. Sui social, una donna sulla cinquantina commenta il video esortando alla rivolta, con toni da G8 di Genova: “Bravi, siamo con voi! Avanti così, e attenti a non commettere gli stessi errori che abbiamo fatto noi nel ’77!”.

  

I collettivi rimbalzano frenetici da una parte all’altra della capitale, intervengono su chiamata, come fossero i vigili del fuoco, non appena sono contattati dai ragazzi dei licei. La scelta dell’uno o dell’altro avviene in modo arbitrario, sulla base dei conoscenti degli studenti delle scuole. Se l’amico dell’amico è un attivista di un movimento allora si chiama e gli si chiede aiuto per occupare. “Sono quelli che sanno come si fa, senza di loro non si fa niente. Qui per esempio non si abbiamo occupato perché agli studenti dell’istituto non fregava nulla”, ci spiegano i ragazzi del Primo Levi, istituto di Roma 70, uno dei pochi rimasto immune alle proteste. Ma i collettivi di sinistra non sono soli e devono battere la concorrenza del Blocco studentesco, costola giovanile di Casapound. Loro si sono presi solamente l’istituto Pirelli, nel quartiere Tuscolano, il liceo classico Mameli ai Parioli e il Giovanni XXIII a Tor Sapienza. La geografia delle occupazioni capitoline somiglia a un risiko in cui i movimenti di destra e di sinistra si rincorrono a chi mette per primo la bandierina sulle proteste. Per la cronaca, pare sia avanti la sinistra. “Ma che competizione! Noi ne abbiamo presi 38, che competizione vuoi che ci sia con il Blocco studentesco? E poi a noi ci basta arrivare negli istituti un minuto prima di quegli altri”. Quegli altri sono “i fascisti”, ovviamente. Gabriele Lupo, appoggiato al cancello dell’Argan, fa parte dell’Osa e ci racconta così questo anacronistico “sacco di Roma”, sfociato nell’eterno scontro fra “quelli de sinistra” e “quelli de Casapound”. Lupo non è uno studente di questo liceo, eppure è lui a fare da moderatore nelle trattative fra gli occupanti e la professoressa Rosa Traversi, inviata dal preside per negoziare una tregua e la ripresa delle lezioni. Lei da una parte del cancello, scortata da un bidello, Lupo e qualche altro occupante dall’altra. “Le spiego io, le spiego io”, irrompe con voce stridula la ragazza che poco prima aveva trovato l’interruttore per accendere i riscaldamenti a scuola. “Allora, abbiamo l’intonaco che cade dal soffitto, lo dico perché è caduto pure in testa a me. Poi ci stanno le pantegane. Poi i bagni sono senza porte”. La povera professoressa Traversi tira fuori un quaderno a quadretti e si appunta tutto con la penna. “Però ragazzi, no. Scusate, i topi no, non è possibile. Abbiamo già fatto la derattizzazione”, sbotta la Traversi. “Sì, ma l’intonaco?”, incalza la ragazza. “Eh, ma quella è competenza della provincia, ve l’abbiamo già detto mille volte! E questi giorni ha piovuto sempre, normale che i lavori non siano ancora iniziati”, risponde avvilita la collaboratrice del preside. Sì, perché i lavori strutturali degli edifici scolastici sono competenza della provincia, mentre i presidi possono spendere una parte dei fondi messi a disposizione solo per il materiale didattico. “E infatti, ci avete comprato le lim ultra-tecnologiche, pure col bluetooth... Vabbè, ma che ce famo se poi in classe mia piove dentro?”, le chiede un ragazzo. Ci pensa Lupo, quello del collettivo, a rialzare i toni di una trattativa che rischia di scivolare inesorabilmente sulle condizioni dei bagni della scuola, mentre lì fuori c’è un intero paese che va a rotoli, e qualcuno dovrà pur dirlo. Così, in rapida successione, tira fuori il governo Draghi, il Pnrr e le riforme. La professoressa è visibilmente sfinita: “Sentite, io posso rispondere di cose concrete, come il termosifone rotto, sono abituata a risolvere problemi concreti. Però se mi parlate di Pnrr e massimi sistemi io non so che dirvi. Che ne so io dell’Unione europea o di come spenderà i soldi Draghi?”. Lupo guarda la professoressa con l’espressione di chi è convinto di avere vinto il round. Lei se ne va frastornata. “Io non lo so cosa pensano di fare questi ragazzi, davvero”, sospira la collaboratrice del preside mentre si allontana scuotendo la testa. “I problemi sono ovunque e sono reali, certo. Ma non credo sia questo il modo per risolverli”. 

 

Per il presidente dell’Associazione nazionale presidi, Antonello Giannelli, l’occupazione delle scuole è “una prassi sterile, fuori dal tempo. Siamo l’unico paese in Europa con un fenomeno del genere, che comporta una perdita di giorni di lezione, soprattutto alla luce del Covid. E’ inaccettabile”. Già, il Covid. Un problema enorme perché, non senza una tragica ironia, alcune scuole di Roma sono ore costrette a considerare l’ipotesi di andare in Dad fino a Natale perché le occupazioni – indette dai ragazzi anche per protestare contro la Dad –  hanno fatto saltare completamente ogni forma di tracciamento. E poi non è certo questo il momento per protestare,  spiega al Foglio Giannelli, “ora che il governo ha promesso diversi miliardi da investire nella scuola, come mai prima d’ora”. Perché queste proteste, allora? “E’ solo una moda, che peraltro sembra interessare quasi esclusivamente Roma – spiega Giannelli – Vede, si tratta di forme di protesta eterodirette da realtà vicine a partiti che altrimenti non avrebbero alcuna visibilità a livello mediatico. Il guaio è che a pagarne le conseguenze più serie sono proprio i ragazzi, in particolare quelli che vengono dalle fasce più povere e marginalizzate della società. Per loro, la scuola è l’unico ambiente formativo a disposizione che di fatto gli viene negato”. Giovedì, il polo capitolino dell’associazione dei presidi ha deciso di emanare un manifesto dove la morale è: siamo pronti a dialogare con gli studenti, ma ora basta, si torni in classe. Con un memento: “La scuola deve diventare palestra di democrazia, aperta a tutti,  deve sviluppare e garantire la legalità, intesa come responsabilità verso se stessi e verso gli altri”. Alcuni studenti non sono d’accordo e venerdì sono scesi in piazza sotto lo slogan di “Scuole romane in lotta”. “Siamo stanchi di subire le scelte di governi che non fanno i nostri interessi e che ci negano l’importanza che meritiamo in quanto futuro del paese – recita il loro contro-manifesto – Il Pnrr non è il piano che vogliamo”.   

 

La fotografia esatta della situazione la fa Daniele, davanti al liceo artistico: “A me non frega un cazzo”, ammette laconico mentre osserva tutta la scena da fuori il cancello. “Questi sono tutti esterni, sono quelli del Corto Circuito, il centro sociale di Cineccità, e con noi non c’entrano niente. La vuoi senti’ la verità? Stanno a fa’ ’sta scena solo perché tutti a Roma stanno occupando e allora bisogna occupare pure noi”. Anche i rappresentanti di istituto non intendono aderire e infatti restano fuori, in dissidio con quanto avviene all’interno della loro stessa scuola. “Non siamo d’accordo con le modalità – ci spiega uno di loro – Se si occupa si occupa per bene, tutti insieme. Qui dentro ci sono una ventina di persone a occupare su 900 studenti”. Gli fa eco il genitore di un ragazzo che scrive in risposta a un articolo di giornale: “Questa occupazione non è stata voluta dalla maggioranza degli studenti del Plauto che non hanno potuto neanche votarla e non sono stati interpellati. E’ un’occupazione decisa da una minoranza e che con violenza calpesta i diritti della maggioranza degli studenti”. 

 

Al Pirelli, dove gli studenti hanno desistito solo dopo giorni di occupazione, ci accoglie la vicepreside: “Ve ne potete pure andare. Sono state già scritte abbastanza bugie su questa occupazione”, ci dice mentre indica l’uscita della scuola. Qui sono stati quelli di destra a occupare con polemiche simili a quelle di altri istituti riguardo alle minoranze oltranziste che decidono di occupare a scapito della maggioranza degli studenti. Il rappresentante di istituto denuncia di essere stato esautorato dal Blocco studentesco. “Volevamo occupare la settimana scorsa contro il ministro Bianchi e i problemi della scuola, ma adesso potremmo farlo in risposta a un atto che consideriamo uno scippo. Qui non sono più in ballo i nostri diritti, è un gioco politico di matrice fascista”, dice a Roma Today il rappresentante d’istituto. Federico Pisani, 21 anni e membro del Blocco studentesco – quelli “de destra” – nega tutto: “Non è vero, la partecipazione all’occupazione è stata di tutti gli studenti. Siamo intervenuti in sostegno a un ragazzo dell’istituto che ci ha chiesto aiuto”. Le occupazioni su chiamata, spiega, non sono niente di nuovo, ci sono sempre state e funzionano così: “Sei, sette persone di noi arrivano e danno una mano rispondendo alla richiesta di qualche studente della scuola, tutto qui”. Però c’è occupazione e occupazione, precisa Federico, che richiama la vecchia dicotomia fra la politica del fare e quella più salottiera: “Noi cerchiamo di dare risposte ai ragazzi su problemi concreti, li ascoltiamo e provvediamo a dargli voce. Sono gli altri, tipo quelli di Osa, che parlano di politica”.  

 

Ed ecco, allora, la domanda che suona quasi impertinente per quanto possa sembrare banale: ogni mezzo è lecito per impedire che i “fascisti” arrivino prima dei “comunisti” nelle scuole (o viceversa)? E poi, ha ancora senso occupare nel 2021?  I tempi sono cambiati, ammette Giuliano Granato, portavoce nazionale di Potere al Popolo. “La tipologia di partecipazione è diversa rispetto a dieci anni fa,  quando si occupava contro le riforme dell’istruzione. Oggi il futuro appare come una minaccia e non più come una promessa, di qui la rabbia e le proteste. Oggi si assiste a un maggiore individualismo, c’è una crescente depoliticizzazione tra gli studenti aggravata dalla pandemia e dalla didattica a distanza, che hanno ridotto tutte quelle attività che un tempo erano svolte in comunità fra gli studenti. Però – conclude Granato – vedo anche una crescente partecipazione dei ragazzi su temi più di ‘sistema’, come quelli della discriminazione di genere o del clima”. Già, un brutto clima. 

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.