Il rigore della vittoria

La goduria di essere svizzeri

Globalizzazione e volontà: così la Svizzera ha fatto fuori la Francia

Maurizio Crippa

Se ancora pensate a un paese tradizionalista e isolazionista, non sapete nulla della Confederazione più efficiente e multietnica d'Europa. E' ora di superare la "elvetofobia". il nuovo volume di The Passenger può aiutare

Quando al novantaseiesimo o quasi Coman con la sua spavalderia da antillano allegro ha calciato quel pallone che girava benissimo, e il pallone s’è stampato sulla traversa, e la tv ha inquadrato la ghirba pallida da basco triste di Deschamps, e Deschamps ha stretto un po’ di più le labbra e ha alzato mezzo sopracciglio al cielo, come uno che ha scritto nei cromosomi che la vita è lotta e amarezza, non zucchero delle Antille, è stato chiaro che la “elvetofobia” non è un concetto astratto ma un problema ben piantato nella storia. Quando poi Mbappé, il cocktail multietnico più riuscito di Francia, non ha avuto paura di tirare male il calcio di rigore, la faccia di Deschamps la tv non l’ha fatta vedere. Ma da basco monocromatico deve aver pensato che non sempre basta la grandeur, o la presunzione di essere predestinati. Se ti trovi di fronte quegli svizzeri tignosi, con la loro geometrica organizzazione militare, e il loro orgoglio di Willensnation, la “nazione fondata sulla volontà. E mentre la maggioranza degli europei godeva di quel sentimento che fossero tedeschi sarebbe  Schadenfreude – ma essendo francesi come si dirà? – la domanda è stata chiara: ma chi sono, gli svizzeri? 

 
E perché suscitano sempre sentimenti di carta vetrata, e invece stavolta fanno simpatia? E’ un mistero conficcato al centro dell’Europa: tra un’ammirazione che rasenta sempre l’invidia e una sorta di stupore per la straordinaria resilienza svizzera, manco fosse l’apparizione di un folletto nel bosco. Per dribblare gli stereotipi abbiamo preso in prestito due parole. La prima è di nuovo conio e la dobbiamo a Guido De Franceschi, che di “elvetofobia” parla introducendo il nuovo volume della collana The Passenger di Iperborea, per l’appunto dedicato alla Svizzera. E’ il sentimento ambivalente che gli stessi svizzeri (forse) provano per se stessi e la loro natura.

 

L’altra parola è “Willensnation”, e indica la caratteristica unica che fa dell’eterogeneità un fondamento sociale e culturale, della disunità linguistica uno strumento istituzionale per capirsi meglio e della proverbiale gelosia territoriale il paradossale passaporto di una società quantomai multietnica. Dopo il Lussemburgo, la Svizzera con il 29,7 per cento è il paese europeo con la più alta percentuale di cittadini nati all’estero. Dato che forse aiuta quelli che credono ancora agli svizzeri con il cappello con la piuma a capire anche la sua nazionale di calcio: tosta e benissimo allenata da uno svizzero bosniaco di origine croata, in cui figli dei Cantoni ce n’è pochi, il leader è svizzero ma con doppia cittadinanza albanese-kosovara, il puntero è un bosniaco che gioca in Portogallo e l’altra star è un camerunense naturalizzato. Così che la Confederazione più gelosa di sé e più organizzata del pianeta è oggi la più aperta e multietnica. Il massimo di localismo, e il massimo della globalizzazione.

 

Gli altri continuano a chiamarla “la Svizzera”, ma loro pensano a sé stessi in termini di “Swissness”, come un “marchio Svizzera”, una  “Svizzerità” in cui globale e locale funzionano così bene da aver travolto anche la pretenziosa multietnicità francese: perché essere una multinazionale del football richiede organizzazione, ma anche una tremenda forza di volontà. La Svizzera non è la nemesi dell’Unione continentale, ma il suo modello già proiettato nel futuro. Vale per il calcio, vale per un paese  più globale di quanto sembri.

  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"