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L'importante era che la Francia perdesse. La Svizzera e il tifo apotropaico

Giovanni Battistuzzi

Tra le nazionali più gufate nel nostro paese c’è quella transalpina. Lunedì il tifo antifrancese era così intenso, non perché la Svizzera ci stesse più simpatica, ma per la paura che avevamo dei Blues

Le finestre aperte d’estate sono una sorta di sondaggio sui gusti calcistici dei vicini. Funziona così ogni due anni, Mondiali o Europei non contano, l’Italia pallonara allargata rovescia inconsapevolmente nell’aria tiepida della sera il proprio umore. Vale per le partite degli Azzurri. Vale per molte delle altre, almeno dagli ottavi in poi. Ci sono nazioni che ci piacciono di più, altre di meno, altre talmente di meno che si simpatizza in modo rumoroso per qualsiasi loro avversario: chi sia, come giochi, che giocatori abbia in campo non ha alcuna importanza; l’unica cosa che conta è che riesca a eliminare la grande antipatica. Tra le nazionali più gufate nel nostro paese c’è la Francia. Ieri è bastato ascoltare dalla terrazza le voci dei vicini per capirlo. Qualche messaggio ad amici in giro per l’Italia, da Aosta a Ostuni, da Trieste a Palermo, una sola risposta: “Tutti per la Svizzera”.

Non una novità. Nel settembre del 1990 in un’intervista alla Gazzetta Nils Liedholm tornò sul tifo-non-tifo per gli Azzurri al San Paolo di Napoli nel corso della semifinale del Mondiale tra Italia e Argentina: “Non mi stupisco. Maradona è il vero grande amore di Napoli. Eppure c’è qualcosa che va oltre a questo. Se invece di Maradona a Napoli avesse giocato Michel Platini il San Paolo avrebbe reagito diversamente. Platini è anch’egli un giocatore meraviglioso, un grandissimo campione del calcio, ma è francese. Amare un argentino è accettabile per un italiano, non lo è amare un francese”.

Un sondaggio del 2017 per capire il rapporto degli italiani con gli altri paesi dell’Unione europea che compiva 60 anni e degli altri stati fuori dall’Ue attestò chi ci stava più simpatico e chi meno per pregiudizio. I francesi piazzarono nelle zone basse, ventunesimo posto. Gli svizzeri fecero meglio di una sola posizione: ventesimi. Non una gran differenza. In quattro anni qualcosa potrebbe essere cambiata, ma pensare a una rivoluzione appare poco probabile.

Lunedì sera la simpatia italiana per la Svizzera era soprattutto apotropaica. Il tifo antifrancese era così intenso, non perché la Svizzera ci stesse più simpatica, ma per la paura che avevamo della forza dei transalpini. I Blues erano la squadra più forte dell’Europeo, almeno sulla carta, la grande favorita, quella che poteva schierare almeno quatto o cinque giocatori capaci di risolvere una partita da soli.

La Svizzera è una squadra equilibrata e aggressiva, è coriacea e potente, esprime sul campo un calcio pratico. Nel muoversi per il campo degli svizzeri però non c’è niente di spettacolare, nessuna particolare attrattività. Nessun giocatore elvetico ha l’eleganza di Paul Pogba, la maestria del tocco del pallone di Antoine Griezmann, la straordinaria invisibilità di N'Golo Kanté, la velocità e l’armonia dei movimenti di Kylian Mbappé. Il gioco della Francia è un po’ pomposo, a volte barocco, ma senz’altro piacevole. Si può dire davvero questo della Svizzera? Eppure della bellezza ne possiamo fare a meno, soprattutto quando rasenta, a tratti, il puro fighettismo. Nel calcio, come in quasi la totalità degli sport di squadra, gli appassionati spesso simpatizzano per i meno forti quando non gioca la formazione per la quale si fa il tifo. Il piacere di vedere una squadra giocare bene, il gustarsi un bello spettacolo sportivo è rigorosamente messo in secondo piano rispetto alla soddisfazione di veder perdere i favoriti. Funziona così da sempre, lunedì sera non è stato diverso. Anzi è stato sublimato dall’errore dal dischetto di Mbappé. Il calciatore più forte che sbaglia il rigore, una soddisfazione. Quando non capita al giocatore più forte della propria squadra.

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