Patriarcato islamico

Maurizio Crippa

Saman Abbas è stata uccisa dalla famiglia. Ma i giornali e gli indignados tacciono. Come mai?

C’è qualcosa di più violento, ingiusto, inumano della storia di Saman Abbas? C’è una violazione più inaccettabile della libertà e del corpo stesso di una donna di quelle subite da questa ragazza di origini pachistane di diciotto anni? Non ci sono. La sua storia è questa, ed è nota da qualche giorno. La notte tra il 30 aprile e il 1° maggio, in un paesino del reggiano, Novellara, Saman viene accompagnata dal padre e dalla madre, Nazia e Shabbar Abbas, lungo un viottolo e consegnata con una scusa a uno zio, Danish Hasnain di 33 anni. Sarà lo zio, secondo le indagini fin qui svolte e i riscontri accertati, a ucciderla. Il corpo di Saman fatto sparire, i tentativi di depistaggio, anche da parte dei genitori, di uno squallore raccapricciante. Il motivo? Saman non voleva sposare, per procura, un cugino in Pakistan. Per questo è stata uccisa, nell’omertà di un’intera famiglia. Il pensiero va a Hina Saleem, vent’anni, uccisa dal padre a Brescia nel 2006 per lo stesso motivo. C’è qualcosa di più violento e ingiusto contro una donna, contro i diritti di una donna?


C’è solo una cosa – non diremo più violenta, evitiamo certe ridicolaggini morali – ma altrettanto disgustosa e inquietante: è il silenzio ovattato che circonda questa storia. O per meglio dire, il bassissimo tasso di indignazione con cui è stata (finora) seguita dai media così soliti all’indignazione di genere, persino per la Nazionale cantanti, così solerti nel sostenere campagne per qualsiasi diritto. E c’è il silenzio delle professioniste della denuncia contro il patriarcato. Ma qui, nell’omicidio di Saman Abbas, dove il patriarcato c’è molto più che in altri casi, e più efferato che mai, silenzio e profilo basso. Nessuna prima pagina, distratti i social. Il perché è presto detto: perché è patriarcato islamico. E dunque vige, silenzioso e non scalfibile nemmeno dai fatti più gravi, il pregiudizio culturale favorevole: la “loro” cultura, i tempi (coranici) della “loro” emancipazione culturale da rispettare. 


Ieri il Corriere della Sera – che aveva animato la campagna per Luana D’Orazio, l’operaia morta sul lavoro a Prato persino con un tono, per dir così, da settimanale femminile – aveva un’imperdibile pagina tutta dedicata alla morte di una famosa oca del Pigneto (“il Pigneto piange il suo pennuto”). Ma niente su Saman. Il giorno prima, un pezzo in cronaca a pagina 23. Repubblica ieri si indignava, ma a pagina 15 nel taglio basso (poi recuperava con il blog dedicato al “gender gap”. In attesa del blog sul gap del multiculturalismo). Nessuna prima pagina, nessun editoriale di denuncia di quelli che è tanto narcisistico scrivere quando la posta è più facile, quando non costa. Quando non si rischia di dover rompere un pregiudizio. Il pregiudizio che a una religione “diversa” possa essere concesso quello che a nessun cittadino occidentale (e figurarsi alla religione occidentale) verrebbe concesso. Marwa Mahmoud, consigliera comunale del Pd a Reggio Emilia, di origine egiziana, ha detto al Resto del Carlino, ripreso dall’HuffPost, che “la sinistra ha timore di intervenire sui temi dei diritti negati alle donne islamiche”. Perché si rischia sempre di “essere strumentalizzati e additati come razzisti”. Quindi meglio abbandonare le ragazze pachistane al loro destino. Quindi meglio mettere fra parentesi il patriarcato, buono per lamentarsi degli spazi in televisione. Meno quando muore una ragazza pachistana. Il caso di Hina Saleem agitò l’opinione pubblica nazionale, forse perché si era a pochi anni dall’11 settembre. Oggi il clima per le giovani donne islamiche non è migliorato. Ma mentre per tutti gli altri diritti c’è sempre una pagina a disposizione, per loro no.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"