I diritti delle donne e la logica dell'emergenza. Un appello
La violenza che non si riesce a sconfiggere deve essere considerata come un problema politico
Al direttore - Gentile Claudio Cerasa. Siamo un gruppo di lettrici, professioniste attive nella lotta alle discriminazioni, nella difesa delle libertà delle donne e nella tutela dei minori. Le scriviamo perché ci siamo molto riconosciute nelle riflessioni contenute nell’inserto settimanale del suo giornale, ovvero “Il Figlio”. Nei racconti che restituiscono i frammenti di quotidianità e le relazioni difficili, nelle interviste, nei commenti alle pagine letterarie abbiamo ritrovato non solo un’attenzione e una sensibilità ormai rare, ma la messa a fuoco di un punto di vista nuovo per capire quanto accade intorno a noi. Una prospettiva che consente di illuminare i problemi in modo diverso rovesciando, quando serve, il senso comune.
Questo riconoscimento ci spinge a sollecitare un passo in più, a dire che di quello sguardo ha bisogno anche la cronaca, il racconto della politica e dei suoi equilibri, sgomberando il campo dalla retorica, da vecchi e nuovi conformismi che impediscono di vedere i problemi reali. Queste, infatti, sono le sabbie mobili in cui spesso rischiano di affondare le questioni che riguardano la vita delle donne, strette tra un politicamente corretto – che arriva a chiudere le donne nella categoria delle “minoranze” – e approcci ideologici fermi al secolo scorso. Affrancarsi da questa strettoia è necessario, perché i problemi che le donne incontrano nel nostro paese hanno pochi termini di paragone in Europa, a cominciare dai dati sulla violenza. Il numero dei femminicidi consumati sotto i nostri occhi, che come lei ha ricordato sono in diminuzione ma rappresentano un fenomeno ancora molto preoccupante, sono il sintomo più evidente ed ineludibile, come ha autorevolmente ricordato il Presidente della Repubblica, del permanere di antichi retaggi e di questioni inedite. La violenza che non si riesce a sconfiggere non può essere considerata, come troppo spesso accade, come emergenza sociale, ma come un problema politico poiché tocca le relazioni umane e la vita delle famiglie. Ma soprattutto rappresenta un vulnus rispetto al diritto di cittadinanza. Se un omicidio è sempre un gesto inaccettabile, un omicidio commesso da una persona con la quale si ha un legame affettivo, è molto più grave poiché tradisce le ragioni che hanno generato quella relazione personale e intima con effetti devastanti che si estendono all’intera cerchia delle persone, per lo più i figli, che al contempo si trovano a dover fronteggiare lutti e perdite. La violenza contro le donne, insomma, non può essere solo lasciata alle reazioni di riprovazione sociale o culturale che si sollevano solo quando una donna viene uccisa, ma devono interessare l’intera compagine politica e istituzioni, non piccole minoranze di pensiero. Noi crediamo che sia necessaria una discussione ampia e diffusa, capace di arrivare dove fino ad ora non si è riusciti, per produrre una cultura nuova del rispetto, accompagnata da doverose tutele legislative, volte a sconfiggere le resistenze e gli ostacoli che ancora incontrano gli interventi di contrasto. E’ inspiegabile ed inaccettabile, un esempio che valga per tutti, il blocco di norme come il Ddl sugli orfani da femminicidio, dovuto a ragioni che non attengono alla sostanza del provvedimento. Ci auguriamo, caro Direttore, che dalle pagine del suo giornale possa nascere una riflessione trasversale, che usi un linguaggio nuovo e diverso, in grado di scardinare il sistema ed arrivare al cuore delle istituzioni.
Avv. Andrea R. Catizone (Ass. Family Smile), Avv. Barbara Pontecorvo (Solomon, Osservatorio sulle Discriminazioni), Avv. Viviana Straccia (Giuriste in Genere)
le lettere al direttore