Bill Shorten (foto LaPresse)

Ma come ha fatto il Labour a perdere in Australia?

Paola Peduzzi

Bill Shorten ha fatto una campagna elettorale fidandosi dei sondaggi e quindi senza la grinta di chi deve conquistare un voto alla volta. Tre indizi e i pugni che devi veder arrivare

Mohamed Ali dice che non vieni mai mandato al tappeto da un pugno che sai che sta per arrivare, ed è una frase che molti commentatori stanno ripetendo mentre parlano del Labour australiano. Tre anni di sondaggi trionfanti, la vita più semplice dell’opposizione, un governo che ha cambiato faccia più volte: per il Labour di Bill Shorten le elezioni di sabato erano quelle che non si possono perdere – come quelle di Hillary Clinton nel 2016 per dire, come quelle di David Cameron nel 2010 per dire, non c’era un sondaggio che non desse il Labour in vantaggio, per quanto il favore dell’inizio fosse stato molto ridimensionato. Come ha detto un attivista del Labour, incredulo: “Non ho mai bevuto così tanto per poi sentirmi tanto sobrio”. L’illusione come un cocktail irresistibile, che va giù a meraviglia e fa venire voglia di averne subito un altro e poi un altro ancora: non si può non vincere. Il Labour ha perso, l’entusiasmo strozzato in gola mentre il conteggio procedeva: il pugno che non ti aspettavi. Buona parte della responsabilità della disfatta è ricaduta sulle spalle del leader, Bill Shorten, che ha fatto una campagna elettorale fidandosi dei sondaggi e quindi senza la grinta di chi deve conquistare un voto alla volta: non si ricordano eventi memorabili che lo riguardino – e comunque tutto quel che c’è di memorabile della campagna elettorale australiana è nel campo dei populisti, un po’ come accade ovunque – ma il problema di Shorten è all’origine. E’ stato scelto nel 2013 come un fixer, uno che doveva sistemare un partito straziato da liti interne e da un doppio golpe che in quell’anno costò al Labour il governo: non gli era richiesto carisma, ma pazienza e capacità di mediazione. Più una badante che un leader, e infatti in quel mestiere si è rivelato molto bravo: soltanto adesso che il Labour è caduto al tappeto riemergono le acrimonie del passato, finché si pensava di vincere ogni divergenza pareva digeribile (Shorten si è dimesso, vedremo chi prenderà il suo posto).

 

Ma al di là del leader, al Labour è mancata la strategia. Un elettore laburista del Queensland, che era una roccaforte della sinistra espugnata dal leader conservatore Steve Morrison con un’abilità che tutti ormai gli riconoscono: la concretezza, ha detto: “Una volta eravamo il partito dei lavoratori, ora siamo il partito di chi non lavora”. Faceva riferimento alla campagna sull’ambiente che ha conquistato media e borghesie cittadine ma che ha lasciato indifferenti o infastiditi gli elettori delle zone più periferiche, secondo quella dinamica che ormai conosciamo talmente bene da non poterla più definire “un pugno che non ci aspettavamo”. Eppure il Labour è riuscito a cedere buona parte dell’elettorato considerato “dell’Australia tradizionale”, tanto lavoro e famiglia, senza l’alternativa progressista, che è quella della redistribuzione e dell’equità. Il Labour ha insistito su nuove spese e sulla sensibilità giusta ma aliena dell’ambientalismo e così è risuonata molto più concreta e affascinante l’alternativa di Morrison: il taglio delle tasse. Ora molti politologi si stanno esercitando nelle analisi sulla leadership di Morrison, se è un conservatore populista, se è un centrista, se le elezioni si vincono correndo a destra o fermandosi al centro. Ma nulla potrà consolare il Labour, che ha sbagliato leader, ha sbagliato strategia e si è fidato delle illusioni. Due giorni prima del voto, è morto Bob Hawke, il laburista più di successo della storia australiana, quattro mandati da premier quando nel resto del mondo imperavano la Thatcher e Reagan: lui era un leader sindacalista, allargò il welfare ma aprì l’Australia ai commerci, alle privatizzazioni, alla globalizzazione, imponendo una revisione delle logiche della sinistra che poi sarebbe arrivata anche in America e in Europa – il miracolo tradito dal Labour di oggi. Nel 1977, quando Hawke stava per diventare una star, uscì un ritratto su di lui: “Beve come un pesce, impreca come un soldato, lavora come un demonio, soddisfa come un playboy, parla come un camionista e agisce come un politico”. Diventato premier Hawke ha smesso di bere, ha smesso di fumare, ha smesso con le donne dopo aver pianto in tv per un adulterio e ha continuato ad agire come un politico: il pugno, lui, lo aveva visto arrivare.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi