RIfugiati messicani al confine con gli Stati Uniti (foto LaPresse)

Ci sono degli stati americani che corteggiano i rifugiati

Paola Peduzzi

 Senza di loro non funziona più nulla, dicono a New York

Portatelo a casa tua, l’immigrato, dice il politico nazionalista, il commentatore nazionalista, il troll (senza etichetta: basta troll) a chi parla di accoglienza o più semplicemente di umanità. Ecco, d’ora in avanti si potrà rispondere con un caso pratico, e qualche numero preciso (riguarda l’America, ma ci arriveremo anche noi): ieri il New York Times ha pubblicato un articolo in cui spiegava tutti gli stratagemmi – un corteggiamento estenuante – che lo stato di New York si sta inventando per attirare rifugiati che stanno in altre zone degli Stati Uniti. Nell’ultimo anno fiscale, New York ha ricevuto 1.281 rifugiati, contro i 5.026 di due anni prima, poco più di un quinto, e ne sente la mancanza. “Se riusciamo a mandare il messaggio che qui ci sono buone opportunità di lavoro ed è un gran bel posto dove crescere i propri figli, abbiamo raggiunto il nostro obiettivo” dice un repubblicano, sì un repubblicano, Anthony Picente, della contea di Oneida.

 

La popolazione locale non cresce, ma la crisi degli anni Settanta e Ottanta che aveva fatto chiudere fabbriche ed esercizi commerciali è finita da tempo e i nuovi lavori sono stati presi soprattutto da immigrati. Che ora scarseggiano perché sono stati messi dei tetti all’ingresso di rifugiati – 30 mila in questo anno fiscale, durante l’Amministrazione Obama era 100 mila – ma sono diventati indispensabili. La città di Buffalo, per esempio, ha perso negli ultimi trent’anni quasi la metà dei suoi abitanti: nei manuali più recenti di economia compare come l’esempio classico del declino della periferia urbana in stati considerati benestanti. Oggi le vie principali sono piene di negozi e di supermercati e nella parte est, che una volta era celebre per l’alto tasso di criminalità, una parte di città inaccessibile come lo era il Bronx a New York City, l’immigrazione per lo più bengalese ha trasformato i bordelli in case e luoghi di ritrovo per gli abitanti di quei quartieri. E anche ora la campagna pubblicitaria per attirare nuovi rifugiati è condotta su Facebook e su Whatsapp dagli stessi immigrati che spargono la voce all’interno della loro comunità. Lo facevano anche in passato, ma ora la questione è urgente. Un imprenditore locale racconta che sta pensando di aprire nuovi negozi – vende prodotti per il corpo – perché c’è molta domanda, ma è preoccupato perché già fa fatica con i punti vendita attuali a trovare personale sufficiente: ora prima di fare un nuovo investimento non si chiede se ci saranno abbastanza clienti ma se troveranno abbastanza commessi.

 

Nell’America della piena occupazione, questo è problema diffuso, che si scontra più di tanti editoriali con l’ossessione di Donald Trump nei confronti dell’immigrazione. Aveva fatto notizia per esempio la storia del Maine: l’ex governatore repubblicano Paul LePage rilasciava spesso dichiarazioni contro gli immigrati, una volta disse che i richiedenti asilo erano da evitare nel modo più assoluto perché portavano le malattie: lui acquistava punti nel Partito repubblicano (anche se poi ora a guidare il Maine è una democratica, Janet Mills) e intanto i datori di lavoro dello stato si disperavano perché avevano assolutamente bisogno di immigrati per potersi espandere. A New York si sono portati avanti con il lavoro, con una certa lungimiranza: i fondi federali per l’accoglienza e l’inserimento degli immigrati sono stati tagliati, così molte agenzie che operavano sul territorio hanno dovuto chiudere. Lo stato di New York ha deciso già nel 2017 di intervenire e così oggi molti servizi – compresi i corsi di inglese – sono a basso o zero costo. C’è chi parla di una competizione tra stati, che si litigano gli immigrati, come in un corteggiamento, dove “portatelo a casa tua” è una vittoria.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi