Il cancelliere dello Scacchiere George Osborne in conferenza stampa (foto LaPresse)

Londra si pente, Bruxelles perdona. Il sogno perfetto della bolla anti Brexit sotto choc

Paola Peduzzi

State calmi, poi la Brexit non ci sarà. Nella bolla londinese che vive sul prato attorno a Westminster – dove i giornalisti sono accampati da giovedì scorso e non sanno più dire che giorno è – e nei suoi distretti geograficamente più lontani ma uniti nel dolore della città cosmopolita ferita dalla Brexit, c’è la convinzione che tutto possa ancora essere riparato. Gideon Rachman, editorialista del Financial Times, lo ha scritto chiaro: “Non penso che la Brexit ci sarà”, non è così che finirà questa storia. Rachman ricorda le consultazioni popolari che dal Trattato di Maastricht hanno segnato – in modo drammatico – la storia europea, e dice: ehi, siamo ancora qui, poi tutto si risistema. Il caso britannico è straordinariamente diverso, i mercati danno la sensazione che la fine di questa storia sia già stata scritta e sia tragica – il project fear, il progetto della paura, del premier David Cameron pare quasi ottimistico rispetto a quel che sta accadendo adesso –, la politica è implosa, eppure molti in questa bolla di amarezza londinese sono convinti: noi inglesi non usciremo dall’Unione europea.

 

Il pentimento, nella geopolitica come nella vita, è una faccenda complicata. Per essere credibile deve mostrarsi prolungato e assoluto, un prostrarsi continuo, come sanno quei mariti che sostengono di aver capito di essere innamorati della moglie soltanto la mattina in cui si sono svegliati nel letto di un’altra. Non ci si può distrarre, con il pentimento, non ci possono essere voci alternative, piani B, vie di fuga: dev’essere una missione. Ma questo non è il caso del Regno Unito. I giornali che hanno sostenuto la Brexit parlano dei pentiti come dei nemici della nazione: il Daily Mail fa il resoconto minuto per minuto dei traditori, pubblica foto, retroscena, irriverenze di ogni tipo, infilando nella lista anche chi mostra soltanto un’aria un pochino triste. Se oggi non esulti, sei un traditore. Il governo ha detto che l’idea di un secondo referendum non viene nemmeno presa in considerazione: ci manca giusto un’altra sconfitta (nel clima da fine del mondo che si respira a Downing Street e appena lì fuori, dove ci sono le telecamere puntate addosso giorno e notte e i poliziotti ai cancelli si stupiscono dei tanti turisti che arrivano e scattano le foto come se nulla fosse accaduto e chiedono: ma voi non siete arrabbiati?, soltanto George Osborne sembra immune alla disgrazia totale.

 

Ieri il cancelliere dello Scacchiere ha commentato l’esito del referendum e la sterlina è piombata giù, mentre molti chiedono la sua testa lui negozia con i conservatori nemici per continuare a stare al governo, come ministro degli Esteri: abbiamo già i popcorn pronti per la sua prima missione a Bruxelles). I leader europei poi non hanno alcuna intenzione di dare seguito a ogni presunto pentimento: la Brexit deve essere esemplare per tutti, deve essere chiaro che non si può tirare uno schiaffo così, con questa sciocca leggerezza, e restare senza punizione. Se anche gli inglesi dovessero essere più concilianti – come sta cercando di fare Boris Johnson rivendendosi già premier pacificatore dei Tory e del paese – gli europei non sono disposti ad accettare le scuse dei britannici, ammesso che arrivino.

 

Ma molti pensano che sia inutile parlarne adesso, bisogna avere la pazienza di aspettare l’attimo perfetto. Quando si inizierà a negoziare, quando ci si accorgerà che divorziare è un incubo tecnico, quando le nottate brussellesi a cercare di contenere i capricci inglesi sembreranno un bel ricordo, allora, soltanto allora, un modo per riunirsi ci sarà. Persino i traditi più orgogliosi a volte cedono, persino Nicolas Sarkozy scrisse alla moglie Cécilia che già viveva con un altro “se torni annullo tutto”, e il tutto da annullare era Carla Bruni. Ma vallo a trovare l’attimo perfetto, quello in cui pentimento e perdono infine si incrociano, dopo quarantatré anni di matrimonio poi.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi