contro mastro ciliegia
Cara Unesco, Venezia città morente è una fissazione antica
L’allarme ferragostano dell’agenzia delle Nazioni unite è completamente inutile. L’idea di Venezia come un malato incurabile, che ogni volta che vai ti devi fare un selfie perché potrebbe essere l’ultimo, è in realtà un tormentone romantico introdotto dai turisti europei duecento anni fa
La certificazione che agosto è iniziato, non potendo più fare affidamento sul grande caldo (il mese “si preannuncia molto più dinamico e ricco di colpi di scena”, scrivono i guru del meteo, manco fosse una serie tv), arriva puntuale dall’Unesco. E’ il mese dei cervelli in vacanza, dunque da “uno degli enti inutili più costosi sulla faccia della Terra” (Cacciari dixit) e precisamente dal ramo specialista in disastri, il World Heritage Centre, arriva l’allarme scemo: una raccomandazione per inserire Venezia nella lista dei Patrimoni dell’umanità in pericolo. Venezia che muore, signora mia. Chi l’avrebbe mai detto? Scrivono gli addetti alla black list che “il continuo sviluppo, gli impatti dei cambiamenti climatici e del turismo di massa rischiano di provocare cambiamenti irreversibili” per Venezia. Dove “il continuo sviluppo”, limitandosi alla parte lagunare, non lo vede neanche quell’ottimista inguaribile di Brugnaro. Ad esempio, gli edifici alti che hanno “un notevole impatto visuale negativo”, francamente non riusciamo a individuarli manco con Google Maps.
Venezia è fragile, e per forza. Ma poi così tanto? L’idea di Venezia come un malato incurabile, che ogni volta che vai ti devi fare un selfie perché potrebbe essere l’ultimo, maledetto cambiamento climatico, è in realtà una fissazione romantica introdotta dai turisti europei duecento anni fa. Versione alta: La morte a Venezia di Thomas Mann; versione bassa, Tony Musante con Florinda Bolkan: “Non posso più tollerare l’odore di questa città, ma è proprio questo che la fa bella: muore”. E più di recente le versioni ecoansiose-nimby, à la Salvatore Settis, che già dieci anni fa scrisse un pamphlet di successo, Se Venezia muore, bibbia per chi si scagliava contro il rinato Fondaco dei Tedeschi, le sue “incongrue scale nobili” e “lo snobismo low cost” dei turisti che ne affollano la terrazza panoramica. Che orrore, signora mia.
La verità è che Venezia con le sue isole vicine e lontane è da sempre alle prese con l’acqua e lo sprofondo, e con le minacce del clima. Veneti, bizantini e poi veneziani gareggiano con la laguna da secoli, da Grado a Chioggia, e quasi sempre hanno vinto la partita. Muore, Venezia? Non serviva l’Unesco a dirlo. E soprattutto per i motivi sbagliati. “Acqua è uguale a tempo”, scriveva Iosif Brodskij, innamorato di Venezia, e di Venezia invernale umida e malata (Fondamenta degli Incurabili) e che ora a Venezia riposa: “Perché la città è statica mentre noi siamo in movimento… Perché noi andiamo e la bellezza resta”. Venezia non muore, continuamente cambia, e la si può persino salvare. “Noi andiamo e la bellezza resta”, basta una frase per smascherare la banalità allarmistica dell’Unesco. Certo, il turismo fatto male la danneggia, ma basta spostarsi di due campi e un rio per ritrovare il silenzio e la vita. Il clima, sì. Ma oggi ci sono il Mose e le paratie di San Marco. Dice un veneziano irascibile come Massimo Cacciari: “Sparano giudizi senza conoscere e senza sapere, procedono decretando pareri a destra e a manca, di cui è bene disinteressarsi… L’economia italiana si regge per il 20 per cento sul turismo e per fortuna che c’è: vogliamo perdere anche il turismo perché l’Unesco ci dice che è dannoso?”. Per dirla con Brodskij, “la bellezza resta, l’Unesco va”.
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