Massimo Bordin e Marco Pannella insieme nel 2007

La voce come il tarlo di un buon dubbio

Maurizio Crippa

Bordin sentito in macchina al mattino dai bambini, andando a scuola. E il silenzio che rimarrà

La Camera ardente di Massimo Bordin sarà aperta domani, 18 aprile, dalle ore 10.30 alle 15 presso l’ospedale IDI di Roma. Venerdì 19 aprile alle 10.30, alla facoltà valdese, via Pietro Cossa 40, Roma, il saluto degli amici

 


 

L’equipaggio-macchina, per molti anni fatti di molte mattine e di molte code ai semafori sulla via della scuola, era anche una strategia di sopravvivenza genitoriale, e di accudimento filiale, non privi di affetto, come le favole raccontate al mattino. Si portavano all’asilo e poi alle elementari i figli, e i loro compagni, fino a stipare l’auto di umani e zainetti, e a turno ognuno aveva la sua strategia. Mamme che raccontavano storie, padri che facevano cantare, e dire le preghiere, mamme che mettevano i cd di musica e fiabe. Zero smartphone, allora. Al mio turno accendevo la radio, “Buongiorno agli ascoltatori, eccoci all’appuntamento con Stampa e regime, la rassegna stampa di Radio Radicale”. Necessità mia, e virtù di quella voce di caverna e da fiaba, ma da mago delle parole che s’intuiva buono, che abbassava di colpo i decibel, trasformava le chiacchiere in sussurri e in silenziosi fruscii il traffico delle figurine dei Pokémon. Il dubbio del possibile trauma infantile indotto da quello scaraventare nell’abitacolo quei discorsi lenti, astrusi, lo ricacciavo indietro, anzi non mi ha mai sfiorato. Ogni tanto ridevano, quando citava il Foglio: la prova che quello strano lavoro che facevo esisteva davvero, in un mondo reale ma distante. Così la voce di Massimo Bordin, in quelle antiche mattine, era diventata una cosa familiare, uno di famiglia. Chissà che effetto avrebbe fatto a lui, avesse sospettato di essere “uno di famiglia” per famiglie così lontane dal suo mondo. Mi sono chiesto a volte se sia stata anche una educazione sentimentale, ma di certo no. Lo è stata per noi, altra generazione, una educazione civile, quella narrazione quotidiana. Il mondo decifrato attraverso le parole dei giornali, oggi non c’è più. 

 

 

I miei figli, cresciuti, vivono in un’Italia, anche sotto il profilo di chi la conosca, e la sappia narrare, più vuota. Mi è capitato di pensare, a volte, a quanto sarà meno ricca l’educazione sentimentale e civica, e letteraria, delle generazioni che oggi non hanno più alcuna passione urgente per la politica, tanto meno per la lettura dei giornali, e hanno disintermediato e ridotto a stories il rapporto con le news. Insomma senza la mediazione, la maieutica, di un narratore onnisciente ma a tratti reticente, capace ogni mattina di riannodare e dipanare il filo del mondo. Senza quella voce.

 

 

Massimo Bordin, la persona, l’ho incontrato un paio o tre di volte, e qualche telefonata. Non c’è bisogno che aggiunga la mia, su un uomo che aveva scelto la precisione e il riserbo come regole naturali. Mi piace ricordarlo come Adriano Sofri: sembrava Donald Sutherland anche a me. Che mi abbia insegnato molto, e incuriosito sempre, è la cosa che importa, che resta. Quando morì Pannella, “Marco” per lui e per molti altri, mi capitò di scrivere, a mo’ di nota a margine senza la pretesa dell’eterodossia una cosa che avevo per la testa. Che quell’angelo sterminatore, quel demone che era stato Pannella per i cattolici fosse invece stato, paradossalmente, un katékon ribaldo, che l’aveva difesa da se stessa, la chiesa, costretta a uscire, messa in guardia dai suoi vicoli ciechi. Non so come la prese, Bordin, non credo che andasse in cerca di sorprese. Ma una parte di quella mia impressione, di quella percezione di Pannella, veniva anche da un lungo ascolto di quei racconti alla radio, di quei contrappunti di giudizio – sempre motivati, non per forza sempre condivisi – che invitavano a capire, prima che a giudicare o a schierarsi. E sottilmente, come un mago nella sua caverna, a seguire i meandri di una cultura diversa, laica e illuminista, e a porsi le stesse domande che rimbalzavano dalle sue pause, nei suoi accenni di battute che lasciava chiudere agli ascoltatori. Quel ronzio di voce in sottofondo, che è stato per tanti della nostra generazione, del nostro mestiere, della nostra passione per la politica, il tarlo di un dubbio, di un pensiero mancherà ai bambini di oggi.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"