(Foto LaPresse)

L'Italia in coma

Maurizio Crippa

L'ipocrisia di chi chiude la porta, si allontana dall'Europa e usa l'attentato di Strasburgo per screditare l'Ue

Quei fatti che accadono e tolgono valore alle parole. Le fanno diventare di troppo, o formali (può essere formale esprimere dolore per Antonio Megalizzi, il giornalista italiano ferito nell’attentato di martedì sera a Strasburgo, e che ora è in coma, con un proiettile conficcato alla base del cranio vicino al midollo spinale, non operabile? No che non può esserlo. Ma sono i fatti a decidere della formalità, non le parole). Un attentato è un attentato è un attentato, direbbe Gertrude Stein (no, certo che no: non lo direbbe. Tanto più se vicino alla morte, assieme agli altri tre, e quasi lontano dalla vita è un giovane uomo innocente). Ma sono appunto i fatti, questi che ci sono e ancora ci saranno, a rendere formali i commenti. E il sapere, il sentire, che se non fosse italiano, Antonio, già se ne titolerebbe di meno. Perché siamo italiani. I politici e i media italiani.

 

Titoliamo persino sul “terrore affogato nello spumante” al Parlamento europeo, tanto per non far mancar niente a chi quel palazzone vorrebbe tirar giù, in senso metaforico almeno. Poi forse c’è questo, se non rischia di diventare formale a sua volta: che in coma, a Strasburgo, c’è l’Italia. L’Italia che pensa di essere lontana dall’Europa. Che pensa che un confine, una lingua, siano la differenza tra quello che ci interessa o no. Che pensa che il terrorismo sia cosa degli altri. L’Italia del premier che va sorridente da Juncker, e si passa dal 2,4 al 2,04 (ma non erano quelli che non è una questione di decimali?). L’Italia che vorrebbe chiudere la porta, pensando che basti a schivare persino le pallottole, e se ne sta alla finestra. L’Italia che pensa che Strasburgo non siamo noi. L’Italia in coma.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"