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Il nuovo virus europeo sono le crisi autoinflitte dalla politica

Pier Carlo Padoan

Francia, Regno Unito, Italia. Il confronto con l’Europa è l’emblema di un governo che fa del male a se stesso e anche al paese

Una parola accomuna il quadro economico globale, europeo, italiano: incertezza. E questa incertezza riflette in gran parte scelte (o errori) della politica. A livello globale pesa l’incertezza sul futuro delle relazioni commerciali minacciate da un conflitto più o meno strisciante tra l’Amministrazione Trump e la Cina. Misure protezioniste contro la Cina sono state già prese, ed altre sono minacciate. La domanda che gli investitori si pongono è se il sistema globale sia riavviato a una configurazione regionale, piuttosto che multilaterale e quindi se si debba continuare a investire sulle catene del valore o se, per molte imprese, sia il caso di reindirizzare gli investimenti verso i rispettivi mercati nazionali o al più regionali. Nel frattempo, in attesa che i dubbi si sciolgano, le decisioni si sospendono. Con la conseguenza che la crescita ne viene rallentata e questo al di la della fase di “normale” rallentamento ciclico in cui il sistema economico globale sta entrando. Come stiamo già osservando, a livello europeo l’incertezza è ancora più evidente visto l’approssimarsi delle elezioni, ma anche visto lo stato di crisi di almeno tre paesi principali, Francia, Gran Bretagna, Italia. Stato di crisi che, nel caso della Francia, ha già prodotto una piccola ma significativa perdita di pil a seguito delle proteste dei gilet gialli.

 

Queste tre crisi sono molto diverse tra loro ma hanno un elemento in comune. Sono crisi auto inflitte dalla politica. E sono anche crisi che impongono un ripensamento dei rapporti tra Unione Europea e Stati Membri. Questo è evidente per la Brexit che, come tutti ricordano, è stata innescata dal referendum voluto dall’allora primo ministro Cameron nella illusione che avrebbe permesso di risolvere beghe interne al partito conservatore. E nella ulteriore illusione che l’unione Europea avrebbe fatto carte false per evitare l’uscita di un importante stato membro. Cosi non è stato. Il referendum ha scatenato una reazione contro l’Europa che ha esplicitato malesseri profondi ma anche una reazione dell’Europa di energia inaspettata. Tutto ciò non è senza costi. Le analisi sugli impatti di lungo periodo indicano che i costi per l’economia del Regno Unito potrebbero essere significativi, soprattutto nel medio periodo. Ma anche nel breve periodo se si tiene conto dell’impatto negativo sulle aspettative e sulle decisioni di investimento.

 

In Francia, per arginare le proteste dei gilet gialli, il presidente Macron ha annunciato di voler varare significative misure per le fasce più deboli in termini di sostegno ai redditi più bassi e di riduzione di imposte. Ciò potrebbe portare allo sforamento del limite del 3 per cento e una possibile procedura di infrazione nei confronti di Parigi. Con il senno del poi l’errore della politica in questo caso e stato quello di sottovalutare, o di ignorare, il malessere profondo di strati cospicui di popolazione a causa, prima, della crisi e, poi, di una crescita che ha, almeno in parte, accentuato le diseguaglianze. Anche in questo caso la protesta si è diretta, di fatto, contro una linea politica che faceva dell’Europa e del suo rafforzamento un pilastro imprescindibile.

 

In Italia la politica si è auto inflitta la crisi due volte. La prima volta quando i governi in carica nella legislatura precedente hanno reagito con ritardo alla necessità di affrontare le conseguenze dell’esclusione di parti significative della popolazione dai benefici di una fuoriuscita dalla più profonda crisi del dopoguerra. Questo ha contribuito alla sconfitta elettorale e alla successiva interruzione della strategia di crescita, riforme strutturali e risanamento di bilancio che stava dando i suoi frutti. Il secondo errore della politica va invece imputato al governo attuale che, innanzitutto ha prodotto danni perché ha sostituito una strategia efficace con il nulla. Quindi accrescendo in misura significativa l’incertezza. Un nulla peraltro accompagnato da dichiarazioni molto battagliere nei confronti dell‘Europa. I risultati li conosciamo. Un significativo aumento dei tassi di interesse e della restrizione dei termini di finanziamento. Un calo significativo della fiducia. Di nuovo, di fronte alla assenza di una politica e la minaccia di un aumento della conflittualità istituzionale, l’economia, le imprese, le famiglie hanno alzato le braccia e hanno fatto emergere un “sudden stop”, un arresto improvviso delle decisioni di spesa. Ma l’autolesionismo della politica del governo non si e fermato qui. Quando il governo ha deciso di riempire il nulla con qualcosa i danni sono aumentati. Dall’inizio del processo di preparazione della legge di bilancio il governo e la maggioranza hanno inviato una serie di segnali a dir poco contraddittori. In primo luogo il governo ha prodotto sì una legge di bilancio, ma “vuota”. Mancano tutt’ora gli elementi operativi che dovrebbero delineare i due pilastri politici della legge di Bilancio, reddito di cittadinanza e quota 100”. In secondo luogo ha avviato una procedura di definizione dei saldi che ancora non è conclusa. Manca, al momento in cui scriviamo la grandezza definitiva dei saldi di bilancio. Il confronto con la Commissione Europea è emblematico della capacità del governo di farsi del male e purtroppo fare del male al paese. Come tutti ricordano, il primo messaggio del governo nel definire il quadro macroeconomico della legge di bilancio fu di esplicito rifiuto del quadro di regole europee che erano viste in contrasto con gli obiettivi del governo del cambiamento. Da allora si è assistito a una lenta marcia indietro. Oggi la marcia indietro si è completata. Ma non a coso zero perché lo spread rimane ancora 150 punti più alto di quello di marzo, gli investimenti si sono fermati e l’economia rischia la recessione. Anche in questo caso l’Europa ha avuto un ruolo centrale nel definire il quadro delle decisioni politiche.

 

La lezione da trarre da questi episodi non è (soltanto) quella che la politica deve evitare errori che rischiano di danneggiare il paese in cui opera. La lezione da sottolineare è la valutazione del ruolo che l’Europa svolge in questi processi. Da una parte, l’Europa viene vista come causa di tutti i mali e come tale rigettata. Dall’altra, l’Europa viene sottovalutata nel suo ruolo di sistema di riferimento strategico e dunque di elemento che riduce l’incertezza e anche per questa via sostiene lo sviluppo. Ma sarebbe un errore altrettanto grande ritenere che l’Europa non abbia responsabilità. In tutti i casi esaminati, e in molti altri, l’Europa non ha saputo adeguare la sua strategia, il suo messaggio di risposta alla tumultuosa evoluzione del quadro globale, europeo e nazionale e alla crisi finanziaria. E anche per questo ha generato incertezza e disillusione. Ci avviamo verso elezioni europee molto particolari, forse decisive per il futuro stesso dell’Unione Europea. Ci aspetta una campagna elettorale in cui le forze sovraniste faranno grande uso di una immagine di Europa come fonte di tutti i mali. A questo non si può rispondere con lo status quo. Il messaggio europeista deve partire dal riconoscimento che l’agenda strategica dell’Europa va ripensata, nelle sue caratteristiche e nelle sue priorità. In cui, tanto per anticipare un tema che meriterebbe ben altro approfondimento, si definiscano i contenuti di una crescita veramente inclusiva a livello continentale. Sarebbe un passo importante verso una politica che cerca di evitare errori e generazione di incertezza.

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