Foto dal canale YouTube di Film at Lincoln Center 

In Francia

Tutti in aiuto di Léaud, l'attore che ha dato al quotidiano la misura del sogno

Giacomo Giossi

Un crowdfunding per sostenere il simbolo della nouvelle vague. Nel tenero e delicato messaggio di risposta, l'attore francese promette il ritorno a una quotidianità migliore e ai set

Figlio, ostinatamente figlio, così forse si potrebbe sintetizzare la parabola esistenziale di Jean-Pierre Léaud. Faccia e corpo della nouvelle vague: scoperto e allevato da François Truffaut e rivelato da Jean-Luc Godard, che dopo le accuse durissime di Truffaut sembra poi negli anni essersi preso realmente cura, a suo modo, dell’indomita fragilità di Léaud. Ed è proprio la morte di Godard il 13 settembre dello scorso anno a segnare il ritorno di una grave depressione per l’attore francese. Un periodo confuso e doloroso che ha portato con sé anche non rinviabili complicazioni economiche per un uomo che non ha certo mai badato al soldo e le cui economie sono sempre derivate da movimenti appassionati privi di calcolo. In molte pellicole da lui interpretate, alcune straordinarie e film cult, il compenso non era (quando c’era) altro che una cifra irrisoria. Nel frattempo in soccorso di Léaud è arrivato un gruppo denominato Amis de François Truffaut, che con la complicità del critico cinematografico e biografo di Truffaut, Serge Toubiana, ha promosso una campagna di crowdfunding a suo sostegno. Inutile dire che subito la cifra richiesta è stata superata e innumerevoli sono stati i messaggi di affetto a cui Léaud ha risposto con un tenero e delicato messaggio in cui promette il ritorno a una quotidianità migliore e ai set. 

Il film di cappa e spada La Tour, prends garde! del 1958 ha visto esordire Léaud al fianco della star di allora Jean Marais, ma è con I 400 colpi di Truffaut che la sua effige resta stampata nella memoria di ogni cinefilo. Rappresentante estremo di una ribellione giovane e di una stagione che fu nostalgia e passione, autodistruzione e ideologia, Léaud resta da sempre il cuore assoluto di quel movimento culturale e politico, di quella Francia e di quella Europa che fece del cinema un modo di stare al mondo. Epico e disperato nel meraviglioso La Mort de Louis XIV di Albert Serra del 2016, Léud ben conscio della forza della propria icona, ostenta una fragilità e una malattia che dal personaggio arriva direttamente al suo corpo e dal suo corpo discende nell’anima di chi ha vissuto la propria giovinezza come una perenne rincorsa, come un desiderio inesauribile di vita, anche a costo della morte. E sembra quasi una coincidenza il ritorno nel marzo di quest’anno, in versione restaurata, nelle sale e sulle piattaforme digitali (Amazon Prime) del capolavoro di Jean Eustache, La maman et la putain. Premiato nel 1973 con il Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes, il film di quasi quattro ore è la storia di Alexandre, uno sfaccendato interpretato da Léaud in un continuo vagolare tra boulevard Saint-Germain e lo storica brasserie di artisti e scrittori, “Les Deux Magots”. In bilico tra due donne e in generale alla continua ricerca di una donna che coincida con il proprio sguardo, Alexandre naviga a vista tra disperazione e abbandono. Attraversato da un perenne vitalismo, da una fiducia verso il femminile come forma di salvezza e riparo, ma anche di sfida, Alexandre prova a sfuggire di continuo da se stesso, da un dolore indicibile che prende forma in un intenso e straordinario monologo sull’assenza. Un lunghissimo primo piano in cui Alexandre/Léaud definisce la bellezza dell’abbandono rispetto all’atrocità insostenibile di una sparizione senza motivo. La maman et la putain, se è in parte l’autobiografia di Jean Eustache, diviene così il ritratto totale di Jean-Pierre Léaud. Ben oltre l’attore feticcio, ma autore lui stesso di una posa che offre una possibilità altra di vita. Léaud ha dato al quotidiano la misura del sogno: “No, non faccio niente, ma ho una vita molto piena”.