Un'immagine delle riprese del film "Comandante" (foto Enrico De Luigi)

Il nuovo film di Edoardo De Angelis

Le spie del mare. Viaggio nei confini estremi del rischio

Francesco Palmieri

Al cinema una sfida di servizi segreti, pescherecci camuffati e sottomarini. E la “pietas” del comandante Todaro, soprannominato il "mago Baku": presto il suo personaggio sarà interpretato da Pierfrancesco Favino

Ibis redibis non morieris in bello.


Dentro e fuori dall’acqua si consumarono vita e morte del comandante Salvatore Todaro; dentro e fuori dall’acqua ne perdura il nome già presente a chi veste l’uniforme di marinaio, ma che adesso riemerge anche per chi non lo conosceva. A poco più di ottant’anni dalla sua scomparsa, sono appena terminate le riprese del film Comandante di Edoardo De Angelis che lo racconterà (a impersonare Todaro è il polimorfo Pierfrancesco Favino), e con lo stesso titolo è uscito per Bompiani un romanzo ispirato alla vicenda, scritto dal regista napoletano assieme a Sandro Veronesi che firma a sua volta la sceneggiatura della pellicola. L’avventuroso capitano di corvetta, nato a Messina nel 1908 e diplomato all’Accademia di Livorno, ucciso a trentaquattro anni nel mare tunisino dalla scheggia di proiettile di un caccia inglese Spitfire, è stato celebrato con una medaglia d’oro alla memoria, tre d’argento e due di bronzo, con l’intitolazione di un pattugliatore e di un sottomarino della Marina militare operativo dal 2007.

 

Comandante sommergibilista poi trasferito alla Xª Flottiglia Mas, la sua storia s’intreccia con altre di guerra e di mare, di coraggiosi e spie, di attacchi a cielo aperto e imprese notturne come epopee della Grecia antica, su cui il marinaio Todaro spicca valente e irregolare, appassionato di yoga e di occultismo, studioso del persiano e dell’idioma omerico, che non avrebbe mostrato meraviglia se Tomasi di Lampedusa gli avesse raccontato per bocca del professor La Ciura di quell’amore irripetibile con la sirena Lighea, anzi avrebbe risposto di avere scelto perciò i sottomarini, perché uscendo e rientrando nell’acqua un figlio del Mediterraneo cerca la propria identità. In pace e nelle battaglie. Giocando a rimpiattino con la morte, ma conoscendo il valore della vita, la notte che il suo sottomarino Cappellini manda a picco il mercantile belga Kabalo nell’Oceano Atlantico, Todaro decide di rimorchiare la scialuppa con i ventisei superstiti ignorando gli ordini opposti dell’ammiraglio Karl Dönitz: il porto più vicino, Santa Maria delle Azzorre, è a centinaia di miglia e quando la fragile lancia si sfascia tra le onde, lui carica tutti quanti a bordo (“il soldato che vince non è mai così grande come quando si inchina davanti al soldato vinto”) finché il 19 ottobre del ’40, dopo quattro giorni di navigazione, guadagna la riva delle Azzorre dove lascia sbarcare i naufraghi.

 

Aveva premonito che sarebbe morto nel sonno e così avvenne al primo mattino del 14 dicembre 1942, mentre riposava dopo due giorni di attività estenuante nella cabina di comando del motopeschereccio Cefalo, all’àncora nell’arcipelago di La Galite, da cui doveva lanciare una incursione con due motoscafi siluranti contro il porto algerino di Bona. Fu uno degli episodi oscuri dello spionaggio sui mari nella Seconda guerra mondiale, che segnò successi e smacchi per il Sis, il Servizio segreto della Regia Marina, e per l’Intelligence britannica, con la vicendevole decrittazione di codici, l’impiego di talpe e di eroi molti dei quali riposano anonimi. I due caccia della Raf che mitragliarono il Cefalo furono probabilmente inviati perché a Bletchley Park i crittografi del Servizio “Y” avevano decifrato le comunicazioni tra Maritunisia e Supermarina a Roma, e fu questa l’occasione di una tardiva vendetta.

 

C’era un ottimo motivo: quel peschereccio dall’apparenza innocua, assieme a un’unità simile battezzata Spigola, prima di essere adibito al trasporto dei motoscafi siluranti della Xª aveva spiato per anni le mosse della flotta britannica senza essere scoperto. Fu un’idea dell’ammiraglio Alberto Lais che si realizzò nel 1937, quando un armatore napoletano comprò a suo nome, ma con i fondi del Servizio informazioni segrete della Marina, due pescherecci oceanici in Germania: Cefalo e Spigola conservarono l’aspetto e le mansioni originarie ma vennero riadattati per ospitare nel doppiofondo della stiva una stazione di intercettazione radio con postazioni per gli operatori. Il Cefalo fu il primo a partire in missione, seguendo le manovre navali inglesi nel Mediterraneo orientale e poi l’attività della Home Fleet nell’Atlantico nel 1938, mentre Spigola spiò i movimenti della flotta francese fino all’entrata in guerra dell’Italia. Nel corso del conflitto, le due unità funsero da stazioni radiomobili da un capo all’altro del Mediterraneo, continuando per copertura l’attività di pescherecci. Mentre la Regia Marina accusò pesanti débacle nei grandi scontri navali, con scambi di reciproche accuse fra gli alti comandi e polemiche durate fino a oggi fra gli storici, il Sis consentì la realizzazione di singole imprese memorabili ai danni della Royal Navy: alcune hanno offerto spunto narrativo al documentato romanzo L’Italiano di Arturo Pérez-Reverte, uscito nel 2021, e furono celebrate al cinema negli anni successivi alla guerra, per esempio con I sette dell’Orsa maggiore di Duilio Coletti del ’53 (cosceneggiatori Giuseppe Berto ed Ennio De Concini); lo stesso regista dedicò l’anno dopo al comandante Todaro La grande speranza (entrambi i film con musiche di Nino Rota).

 

I raid con i “maiali”, siluri a lenta corsa cavalcati da due uomini che colpivano le navi inglesi a Gibilterra, partivano dal porto di Algeciras grazie a un’ingegnosa trovata dell’intelligence, che aveva ormeggiato nello scalo spagnolo, territorio neutrale, la nave cisterna Olterra sin dallo scoppio delle ostilità per fantomatici (e interminabili) lavori di riparazione. Servivano a nascondere la base segreta dei “maiali”, che venivano assemblati nella plancia del piroscafo. I pezzi arrivavano smontati assieme ai più vari carichi commerciali diretti in Spagna, mentre i piloti dei mezzi d’assalto raggiungevano Algeciras sotto mentite spoglie di marinai mercantili sbarcando a Barcellona e passando per Madrid, dove la centrale di smistamento era il bordello di una certa Rosita; oppure “disertavano” dalla base dei sommergibili italiani a Bordeaux e attraversavano i Pirenei nel doppiofondo degli autocarri o camuffati da contrabbandieri. Malgrado l’Olterra fosse ormeggiata sotto gli occhi del consolato britannico di Algeciras, gli inglesi nulla sospettarono né riuscirono a capire da dove partissero i sabotatori che penetravano nel sorvegliatissimo porto di Gibilterra, chiave del Mediterraneo. Il Sis aveva allestito con cura la sua rete prima che scoppiasse la guerra, sicché poteva contare anche su una base d’appoggio a La Linea, al confine terrestre con Gibilterra, nella villetta di un certo ragioniere Antonio Ramognino, sposato con una spagnola, agente sotto copertura che scrutava dalla finestra di casa, collocata in posizione ottimale, il movimento nella rada grazie a un potente cannocchiale occultato da una gabbia di pappagallini. Villa Carmela, questo il nome della residenza, fu un ulteriore nascondiglio per gli infiltrati della Xª.

 

Frenetica fu anche l’attività di decrittazione dei radiomessaggi e la caccia ai rispettivi codici, e se con l’organizzazione Ultra gli inglesi violarono il sistema germanico Enigma, risultò proficua per gli italiani l’acquisizione del libro dei segnali e del regolamento di servizio della Royal Navy. L’operazione, ricordata sotto il titolo “Pesca di beneficenza”, fu condotta con più immersioni e terminò a fine giugno 1941 nelle secche tunisine di Kerkennah, dove giaceva sotto il pelo dell’acqua il relitto del cacciatorpediniere Hms Mohawk, affondato il 16 aprile precedente nello scontro con il convoglio guidato dalla nave italiana Tarigo, che costò ingenti perdite alla Regia Marina. Per sfuggire alla caccia inglese, il Sis si avvalse di un peschereccio anche in questa occasione: il Maria Rosa salpava dal porto di Trapani caricando il comandante Eliso Porta, i sommozzatori e l’equipaggiamento e nottetempo veniva raggiunto da un motoscafo della Marina che lo trainava fino ai primi chiarori in prossimità di Kerkennah. La “pesca” fruttò il ritrovamento della cassetta di piombo con gli agognati registri, individuata tra le lamiere e i cadaveri rimasti incastrati nel Mohawk. Mentre i sommozzatori frugavano nel relitto, in superficie i marinai del Maria Rosa simulavano un normale lavoro di pesca per ingannare eventuali ricognitori nemici. La guerra segreta per il controllo dei mari non conobbe pause e benché si consumasse in silenzio non risultò meno spietata di quella fatta coi cannoni. Il controspionaggio mieté vittime fuori dall’acqua: per chi non indossava una divisa, o vestiva un’uniforme che non fosse sua, l’avventura poteva terminare all’alba nel cortile romano di Forte Bravetta, su una sedia con la schiena rivolta al plotone d’esecuzione.

 

Il codice penale militare di guerra non fa sconti di sesso né concede attenuanti: Laura D’Oriano, piacente cosmopolita di trentadue anni dalla vita movimentata, viene agganciata e utilizzata dai servizi franco-britannici per spiare i sottomarini italiani a Bordeaux, quindi è spedita oltralpe da dove comunica per lettera, con inchiostro simpatico, posizione e consistenza dei navigli a Genova e Napoli. Pedinata sin da quando varca la frontiera con la falsa identità di Laura Fantini, viene arrestata il 26 dicembre ’41, condannata a morte dal Tribunale speciale e fucilata il 16 gennaio ’43. Più complesso e irrisolto il caso di Francesco Vigilante, stravagante napoletano, furiere della Marina in congedo. Esercita abusivamente la professione medica, sovente indossa un’uniforme da tenente di vascello che s’è fatto cucire, frequenta militari tedeschi e bella borghesia. Tradito da una lettera anonima, è trovato in possesso di una dettagliata carta militare della base di Maddalena, conduce un tenore di vita dispendioso di cui non sa spiegare l’origine, si dichiara un “volontario” del controspionaggio. Molti gli interrogatori cui viene sottoposto, fornendo ogni volta versioni inattendibili e diverse. Non si saprà mai per conto di chi e perché spiava, ma quella mappa trafugata ha “compromesso la preparazione e l’efficienza bellica dello stato”. Il plotone d’esecuzione è inevitabile.

 

Suggestiva è pure la spy story dei fratelli fiumani Egone e Amauri Zaccaria, disertori passati agli inglesi, addestrati allo spionaggio a Malta e sbarcati da un sommergibile della Royal Navy davanti alla spiaggia di Licola, a due passi da Napoli, con documenti falsi, ricetrasmittente e in divisa di ufficiali della Regia Marina. Smascherati per una distrazione, all’arresto ingoiano i fogli con i codici radio. “Sostanzialmente confessi”, sono condannati a morte e fucilati il 10 novembre del ’42.

 

Cos’è che spinge verso i confini estremi del rischio forse non si può spiegare a freddo, o non si deve. Si sa solo che è successo e che succederà ancora dentro e fuori dall’acqua e forse è il Fato, più potente degli dèi, a stabilire per ciascuno quando suona la campana. Questa fu la convinzione di Salvatore Todaro, soprannominato dal suo equipaggio “mago Baku”, che da sveglio non ebbe paura perché premoniva la morte in guerra ma nel sonno. I belgi che salvò, un giorno sarebbero andati a Livorno per incontrare la famiglia del comandante e per onorarlo con una targa.

 

PS: il Cefalo, semiaffondato dagli Spitfire, fu recuperato e riparato nel porto di Biserta, da dove ripartì per La Spezia. Trascorse dentro e fuori dall’acqua la sua stagione terminale: a marzo 1943 riprese servizio trasportando materiali della Xª Mas, ma nell’agosto successivo per un errore di manovra s’incagliò proprio nel porto di Livorno. All’indomani dell’8 settembre, ormeggiato a La Spezia, venne nuovamente autoaffondato. Riemerse un’ultima volta per prestare servizio nelle acque della Liguria, finché nel bombardamento alleato di Genova il 4 ottobre 1944 colò a picco per sempre. Un Fato oscuro regola anche la vita delle navi.