Arriva il corso accelerato di wokeness per i nostalgici di “Sex and the City”

Mariarosa Mancuso

Benvenuti in “And Just Like That…”: lo spin-off che sottopone le ragazze della serie cult del Duemila alla prova dell'ideologia gender del 2021

“Woke moment”. Lo ripetono di continuo, nel programma dove Carrie Bradshaw ha la parte della “cisgender” (vuol dire: nata femmina e soddisfatta così). Si è adeguata ai tempi passando dalla rubrica al podcast: “Sono quasi un obbligo di legge”, spiega lamentandosi per il disastroso stato dell’editoria (e per l’amica Samantha che le faceva da agente, e finito il rapporto di lavoro se n’è andata a Londra). Miranda rompe subito il nuovo giocattolo: “Mi rifiuto di ascoltare i podcast”. “Ripetono” è un plurale da intendersi come singolare, a dirigere il traffico davanti ai microfoni è Che Diaz, che si definisce “queer, non binary, Mexican-Irish” (lo lasciamo in originale, in italiano bisognerebbe scegliere tra non binario e non binaria).

 

Benvenuti nella nuova serie “And Just Like That…”, che sottopone le ragazze di “Sex and the City” – serie conclusa nel 2004 – a un corso accelerato di “wokeness”. Con il senno di poi, l’originale era totalmente bianco, maschi da una parte e femmine dall’altra, qualche gay per speziare. (Su Sky e NowTv da ieri sera on demand c’è la versione originale con sottotitoli; sabato 11 la si potrà vedere in prima serata su Sky Serie; gli episodi doppiati – ma siete sicuri? – dal 18 dicembre).

 

Carrie, Miranda e Charlotte sono in attesa di un tavolo al ristorante, ne approfittano per spiegare l’assenza di Samantha: non è morta, e non si è neppure trasferita a Palm Beach come tanti hanno fatto durante il lockdown. La fila affollata fa rimpiangere quando bisognava stare distanziati. Serve, come il pranzo del resto, per un po’ di “exposition”, le informazioni da conoscere prima che la storia cominci. Miranda ha ripreso a studiare, il suo primo incontro con la professoressa nera con treccine alla Columbia è una serie di gaffe, sui capelli e sul colore della pelle e sulla scelta del corso. Bisogna chiarire che le ragazze non sono razziste. Ma ogni volta che lo ripetono, allo spettatore viene un brivido: le istanze hanno conquistato anche una serie che era tutta vestiti, scarpe, ricerca dell’uomo giusto. E abbastanza sesso per scandalizzare. Allora. Oggi non è più peccato, l’ha detto anche il Papa.

 

Carrie – tenetevi – discute con il pescivendolo (fuori campo, sia benedetto lo showrunner Michael Patrick King) su quanto è fresco il salmone da comprare per cena. Riferisce la protesta a Mr. Big, lui viene preso dalla nostalgia: “Ricordi quando ti ho conosciuta? Nel forno tenevi i maglioni”. Intanto facciamo un giretto della casa, ora dotata di due cabine armadio, resta la vetrinetta illuminata per le scarpe. Per lanciare “And Just Like That…” – si potrebbe tradurre “All’improvviso…”, così la voce fuori campo chiude le puntate – l’appartamento è stato ricostruito e affittato su Airbnb a qualche fortunata coppia. Di amiche, si spera, i maschi non si divertono tanto con queste cose.

 

Charlotte ha adottato una bambina cinese, poi ne ha avuta una, e ha un cane trovatello. Nei suoi estenuanti esercizi da madre perfetta invita le amiche al saggio di pianoforte della figlia grande. Ci sarà anche LWT, alias Lisa Todd Wexley: madre impeccabile, bellissima, elegantissima e nera. Ormai cominciano a esserci gli estremi per un passaggio di consegne, tranne per il fatto che le signore nere sembrano più sicure di sé e meno interessanti per la trama.

 

In realtà, il vero erede di “Sex & The City” potrebbe essere la serie “Harlem” di Tracy Oliver: quattro ragazze di oggi nella Harlem di oggi con mestieri di oggi (per dire, una app di incontri per persone queer). “And Just Like That…” aggiorna l’originale, ha i suoi colpi di scena, ed è comunque più vivace dei due tremendissimi film.
 

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