"Brazil" di Terry Gilliam, 1985 

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Terry Gilliam cancellato sembra vittima del suo "Brazil"

Mariarosa Mancuso

Al teatro Old Vic di Londra i dirigenti e il personale sarebbero inquieti. Neanche un posto da incubo come l’universo del suo film era arrivato a un tale livello di “sentito dire” - in una vecchia intervista, il regista aveva criticato il #MeToo. Siamo allo spionaggio tra vicini di pianerottolo

“Rumours of staff unrest”. Basta per far cancellare un musical, all’Old Vic di Londra. Rumour, che significa “dicerie, cose che si sanno in giro”. I dirigenti e il personale del teatro sarebbero scontenti, agitati, inquieti. Per via di Terry Gilliam, l’americano dei Monty Python, che avrebbe dovuto dirigere nella stagione prossima il musical “Into the Woods”, di Stephen Sondheim. Al cinema l’abbiamo visto nella versione di Rob Marshall, e al compositore dobbiamo anche “Sweeney Todd”.

   

Non c’è un’accusa precisa, solo gente che si sente a disagio. E quindi fa in modo che altra gente perda soldi e debba cercarsi un altro teatro per debuttare, dopo settimane di prove, scene, costumi, e altra roba che costa fatica, oltre al denaro. Il fatto è che Terry Gilliam in una vecchia intervista aveva parlato di “caccia alle streghe”, a proposito del #MeToo. Neanche un posto da incubo come l’universo di “Brazil” – il film che il regista aveva girato nel 1985, c’erano i riparatori clandestini di tubi, per misurare il delirio – era arrivato al “sentito dire”. Siamo allo spionaggio tra vicini di pianerottolo, o ai mariti che denunciano le mogli, come in “Le vite degli altri”.

  

Terry Gilliam aveva riferito il suo, di malessere. Ma è di quelli che non contano. “Sono stufo di rientrare nella categoria del maschio bianco colpevole per tutte le cose che vanno male nel mondo”. Si era dichiarato “una lesbica nera in transizione”, richiamando alla mente certe battute nel contestato show di Dave Chappelle. “Come sono riusciti i trans a far rispettare i loro diritti in così poco tempo? Noi neri stiamo lottando da secoli. Vuoi dire che Martin Luther King avrebbe dovuto fare i suoi discorsi in tuta e con i lustrini?”.

  

C’è da pensarci, in effetti. Può essere che neri non si siano lagnati abbastanza della loro condizione, ma anche il numero – le percentuali dei trans sulla popolazione – dovrebbe contare qualcosa. Sarà interessante vedere cosa succederà con il film “Passing” di Rebecca Hall (su Netflix dal 10 novembre) per cui già si parla di Oscar. 

  

Racconta la storia di due nere dalla pelle chiara, riescono a farsi passare per bianche (da un romanzo di Nella Larsen, “Due donne” nell’edizione Sperling & Kupfer). Siamo negli anni 20, una lo fa ogni tanto, per farsi un giro fuori Harlem dove vive con il marito medico e i figli. L’altra ha sposato un bianco razzista che usa la “parola con la enne”. La vediamo anche scritta, e non dai cattivi: la Negro Welfare League raccoglie aiuti per i bisognosi. Come doppieranno la parola scandalosa ? E quanto lunga sarà la scritta parafulmine all’inizio del film, che chiarisca anche ai distratti e ai twittaroli che siamo in un altro secolo?