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La pace dei sessi

Due libri in Francia raccontano i danni del vittimismo del MeToo (e uno è di una vittima)

Mauro Zanon

"La mia storia autorizza tutti gli eccessi, sono divenuta il braccio armato di una battaglia che rifiuta qualsiasi sfumatura, sono l’arma di una guerra che non è la mia", scrive Tristane Banon, che fu tra le prime a rompere il muro del silenzio

Cooperazione non guerra tra i sessi, perché “gli uomini possono essere i nostri migliori alleati”. Tristane Banon, giornalista e scrittrice di successo nata a Neuilly-sur-Seine, sobborgo chic alle porte di Parigi, fu una delle prime a denunciare le violenze sessuali nel mondo politico d’oltralpe. Era l’estate del 2011 quando sporse denuncia contro Dominique Strauss-Kahn per tentato stupro, accelerando la caduta dell’ex direttore del Fondo monetario internazionale e pezzo da novanta del socialismo francese, ma contribuendo anche all’esplosione del fenomeno MeToo. A distanza di dieci anni, la femminista Banon denuncia in un pamphlet corrosivo, “La paix des sexes” (L’Observatoire), quella che definisce “l’ossessione vittimista” delle neofemministe francesi.

 

“È scioccante constatare che essere una vittima è diventato uno scopo fine a se stesso, una sorta di status sociale, quasi inattaccabile. Alcuni artisti famosi si sentono quasi obbligati a dire di essere stati vittime”, ha detto a Elle Tristane Banon, evidenziando le derive del movimento MeToo di cui è stata una delle iniziatrici. “È stato un evento decisivo per le donne. Le prime che hanno preso la parola hanno avuto un coraggio enorme. Bisogna denunciare, la vergogna deve cambiare sponda. Ma passare dalla vergogna di essere una vittima alla fierezza di fare parte delle vittime, significa passare da una posizione legittima a un’altra molto più disturbante”, sottolinea Banon.

Essere stata una delle prime “vittime” a rompere il muro del silenzio mediatico non impedisce alla scrittrice di accusare le nuove égérie del femminismo di “vittimismo” e di aver strumentalizzato la sua vicenda. “Sullo scacchiere vittimista, resto un punto di riferimento. Un caso da manuale. La mia storia autorizza tutti gli eccessi, sono divenuta il braccio armato di una battaglia che rifiuta qualsiasi sfumatura, sono l’arma di una guerra che non è la mia”, scrive la giornalista all’inizio del suo j’accuse. E ancora: “Sono preoccupata dalla volontà di alcune neofemministe di alimentare una guerra totale tra i sessi, di instaurare una tirannia al contrario. Non ho voglia di vivere in una società in cui non si potrà più prendere un ascensore con un uomo, dove i professori inizieranno le loro lezioni scusandosi di essere dei maschi bianchi”. Banon rifiuta l’idea che la società sarebbe impregnata di un “sessismo sistemico”, secondo il gergo delle nuove militanti del femminismo. “Alcuni comportamenti patriarcali perdurano in alcune situazioni del quotidiano, certo. Ma non penso che denunciare gli uomini incessantemente sia la buona soluzione”, afferma la scrittrice.

“La paix des sexes” mostra la spaccatura tra la vecchia guardia del femminismo, quella che si riconosce nelle battaglie di Élisabeth Badinter, e la nouvelle vague femminista, quella di Alice Coffin, che invita le donne “a eliminare gli uomini dalle nostre menti, dalle nostre immagini, dalle nostre rappresentazioni”. “Il neofemminismo è principalmente inquisitorio e incentrato sulla rivendicazione dolorista di un’‘identità-vittima’”, scrive la filosofa e psicoanalista Sabine Prokhoris nel suo ultimo saggio, “Le Mirage MeToo” (Le Cherche Midi). “Le neofemministe credono di aver inventato tutto. Secondo loro, il MeToo è stato l’anno I del femminismo. Dimenticando che le femministe degli anni Settanta sono state le prime a lottare per la criminalizzazione dello stupro”, spiega Prokhoris. Preoccupata, come Tristane Banon, per le derive della nuova generazione militante.

 

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