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Netflix e dintorni

Apologia di Dave Chappelle, altra vittima del pol. corr.

Mariarosa Mancuso

Le accuse dei trans contro lo show “Closer” e l’urlo di dolore dei comici: “Lasciateci lavorare”

È uno scherzo del destino dover difendere Dave Chappelle dalle accuse di transfobia, mentre l’ultimo comico che negli ultimi anni ci abbia fatto ridere davvero (non contano le repliche di “Seinfeld”, ora su Netflix) ha dovuto aprire il suo show teatrale con la scritta “Sorry”. Louis C. K. l’enorme pubblico offerto dallo streaming ormai se lo può scordare, nel suo repertorio – chi c’era ha tenuto il conto – ha battute sulla pedofilia, sull’11 settembre, sul cancro, sugli ebrei, sui gay (niente per uno che in una puntata di “Louie” si era scopato una madre surrogata, guardata a vista dalle paganti genitrici lesbiche). In cambio, nella categoria “comici oltraggiosi”, abbiamo avuto Chappelle con l’ultimo show intitolato “Closer”, e un codazzo di polemiche. Ieri mattina si è aggiunta la notizia che tre persone erano state sospese da Netflix, una delle quali transgender: in un tweet aveva accusato l’azienda di transfobia. 

 

Dave Chapelle, l'accusa di transfobia per lo show "The Closer" su Netflix

 
L’azienda nega, e anzi sostiene che gli impiegati sono liberi di criticare, addirittura incoraggiati. Secondo un’altra versione – resa al New York Times sotto anonimato – sembra che i tre avessero fatto irruzione, senza invito, mentre era in corso una riunione tra dirigenti. Di più, al momento, non si sa. Aspettiamo solo che ci sparisca dalla faccia il sorrisetto, all’idea di un’azienda che invita il proprio personale a criticare i prodotti usciti dalla catena di montaggio, bibite o motorini. Tra la potenza del comico nero e la potenza del comico ebreo nessun paragone è possibile (è pur vero che uno soltanto dei due ha una lunga tradizione alle spalle). Ma “Closer” – da non confondersi con il vecchio film di Mike Nichols – battute memorabili non ne sfodera. Tranne forse quella sui “Glory Hole”, che suona così: “I nuovi gay – quelli che chiedono matrimonio e adozione – neppure sanno cosa sia, a differenza dei gay d’altri tempi”. Quelli di Stonewall, per esempio, che Chappelle dice di ammirare moltissimo. Siamo pericolosamente dalle parti di “l’unico gay buono è quello perseguitato dalla polizia”.  

 

Puoi uccidere un nero ma non puoi turbare l’animo di un gay”, dice Chappelle. Ma non è una battuta, purtroppo. È la storia dei diritti umani che si ripresenta come farsa. I trans sono più sensibili, hanno reagito prima che lo show fosse disponibile, sulla fiducia. E dire che il poveretto, sul palco, usa metà dello spettacolo per rintuzzare accuse precedenti. Dalle prime proteste di 16 anni fa a Oakland (quando “trans” indicava una minoranza silenziosa) fino all’altroieri. Le risate del pubblico, potenziate al computer, puntellano ogni frase. Lo spettatore a casa, se ama la comicità e non un rimpallo di accuse che producono altre accuse, pensa che davvero la replica di “Seinfeld” (replica della replica, per quanto ci riguarda) risolverebbe la serata. Chappelle ribadisce che “veniamo al mondo tra le gambe di una donna”, e su questo punto nessuna associazione per la difesa dei trans potrà obiettare. Neanche questa è una battuta, piuttosto una miccia accesa. Provoca riflessi come il martelletto sul ginocchio: proteste=pubblicità (e del resto, la presunta censura al film “La scuola cattolica” ha fatto bene agli incassi).

Per chiudere, la storia garantita vera – ma si può credere a un comico? – della trans Daphne, che apriva i suoi spettacoli. Morta suicida, lasciando una figlia. Chappelle ha intestato alla bimba un fondo fiduciario e sogna il momento in cui le dirà: “Conoscevo tuo padre, era una grande donna”. Commozione, preghiera e finalino: “A tutti piace far parte di una tribù, io appartengo a quella dei comici. Cari trans, quand’è che ci lasciate lavorare in pace?”.