Paolo Sorrentino (foto LaPresse)

l'intervista

Sorrentino: "Questo film l'ho scritto per spiegare ai miei figli i miei silenzi"

Giuseppe Fantasia

Il regista premiato con il Leone d'Argento a Venezia con "E' stata la mano di Dio": "Ho raggiunto la maturità. Da adesso in poi farò cose più semplici, forse"

C’era da aspettarselo e in molti, da quando hanno visto il suo film, hanno sperato che accadesse, lui per primo. Paolo Sorrentino non avrà vinto, è vero, il Leone d’Oro come Miglior Film – che è andato a Audrey Diwan per L’Evenement, tratto dall’omonimo e toccante libro di Annie Ernaux – ma il suo È stata la mano di Dio è stato - possiamo dirlo - il film di cui tutti parlano in questa 78esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia giunta al termine. Due i riconoscimenti: al giovanissimo interprete, Filippo Scotti – vincitore del Premio Marcello Mastroianni, che ha ritirato emozionatissimo sul palco – e al regista napoletano, a cui è andato il Leone d’Argento Gran Premio della Giuria. “Un film non facile – come ha detto Sorrentino ringraziando, in lacrime, “chi c’è stato, i miei genitori e Maradona, mia moglie Daniela che mi sopporta da oltre 20 anni, chi mi ha accolto da ragazzo, gli amici Nicola Giuliano e Toni Servillo, di cui tutti mi chiedono perché continuo a fare film con lui, ma guardate dove sono arrivato facendoli”. Il regista Premio Oscar per La Grande Bellezza ha poi ricordato due scene che ha tagliato nel film. La prima, che è un sogno che non ha fatto, ma riguarda “un ometto di un metro e sessanta che vi ringrazia: Maradona” - e l’altra - che era sul funerale dei suoi genitori. “Quel giorno – ricorda - il preside mandò in rappresentanza soltanto quattro ragazzi della mia classe. Ci rimasi molto male. Oggi importa poco, perché è finalmente venuta tutta la classe, il mio pubblico”.

Un film della svolta? Gli chiediamo. “Può essere”, risponde lui. “Ho scoperto una certa semplicità che alcuni chiamano maturità. Preferisco però rimanere immaturo. Andando avanti con gli anni, si scoprono cose non necessarie e anche nel cinema succede questo. Probabilmente, in futuro farò film più semplici”. “Il cinema - spiega al Foglio – è stata per me una forma di salvezza. Facendolo, ho capito cosa mi piaceva e cosa no. L’unico momento in cui mi sento a mio agio, è quello che c’è tra il momento in cui dico ‘azione’ e quello in cui dico ‘stop’. C’è un momento in cui so dove devo stare ed è quello. Per il resto, sono a disagio”. È piaciuto molto, dunque, questo film che  “è un romanzo di formazione allegro e doloroso, un film costruito su di me, che parla della mia storia intima e personale con l’intento di far capire ai miei figli perché sono sempre così schivo e silenzioso. È un insieme di racconti di esperienze personali, di racconti inventati e di storie che mi sono state raccontate da altri”. “Un film – aggiunge – a rilascio lento: forse tra sei mesi saprò cosa mi ha dato e lasciato, perché anche io sono lento e ho bisogno di tempo. Non è stato terapeutico, ma so sicuramente che raccontando a tante persone il mio dolore, mi sto quasi annoiando e sto scivolando, piano piano, in una discreta felicità”.

Ad aiutarlo nella vittoria, un cast d’eccezione: da Luisa Ranieri a Renato Carpentieri, da Massimiliano Gallo, a Teresa Saponangelo, Betti Pedrazzi e molti altri attori napoletani, senza ovviamente dimenticare Filippo Scotti e Toni Servillo. Nel film ci viene raccontato un episodio tragico che coinvolse la sua famiglia, quando entrambi i suoi genitori morirono per una fuga di monossido di carbonio nella casetta di villeggiatura a Roccaraso. Lui riuscì a salvarsi, perché rimase a Napoli per vedere Maradona in tv, un mito per lui e non solo per lui, che in un certo senso gli salvò la vita. “Sentivo di doverlo fare e solo dopo tanti anni sono riuscito a fare questo film, ho trovato il coraggio necessario. Se nella vita sono molto pauroso, nei miei film sono molto coraggioso. Lo sono stato anche in questo in cui parlo della scomparsa dei miei per condividere la sofferenza a metà”, aggiunge ricordando che essere qui a Venezia, “è un ritorno alle origini, nel festival dove tutto ha avuto inizio per me venti anni fa”. Prodotto assieme a Fremantle, uscirà prima nei cinema, il 24 novembre prossimo, e poi su Netflix il 15 dicembre. Nell’aria c’è già un profumo di Oscar, ma la strada – da qui a febbraio del prossimo anno - è ancora molto lunga.