Paolo Sorrentino con il cast de "E' stata la mano di Dio" (LaPresse)  

Venezia 2021

Nel nuovo Sorrentino qualche fenicottero da "Grande bellezza" ci stava bene

Mariarosa Mancuso

"È stata la mano di Dio" è il romanzo di formazione del regista: su di lui possiamo sempre contare per almeno un'inquadratura spettacolare. Ma tra una macchietta napoletana e l'altra, serve qualcosa che dia ritmo

Napoli. Esterno notte. Il giovanotto (ancora senza arte né parte) faticosamente ha attirato l’attenzione del regista Antonio Capuano. Gli dice che vuole fare il cinema (pur non avendone visto tantissimo). “Per prima cosa serve un grande dolore”, spiega il maestro all’allievo. “Quello l’ho già avuto”, risponde il sedicenne, che nel film si chiama Fabietto Schisa. E senza dubbio alcuno ha molti tratti in comune con Paolo Sorrentino, che alla Mostra di Venezia ha presentato ieri “È stata la mano di Dio”: romanzo di formazione del regista che girerà “La grande bellezza” e le serie sui Papi. 

 

Piace pensare che questo scambio di battute sia la definitiva risposta a chi pensa che il cinema si faccia con il cuore e senza altre qualità; tanto più che il maestro Capuano subito dopo va a farsi una nuotata notturna (ma l’interpretazione, ne siamo certi, non è approvata dal maestro Sorrentino). Di sicuro vale come puntuale biografia, raccontata nel film: papà e mamma Sorrentino morirono entrambi in una casetta di Roccaraso, avvelenati dall’ossido di carbonio. Avevano dato al figlio il permesso di andare a Empoli per seguire il Napoli di Maradona in trasferta. “Maradona mi ha salvato la vita”, è il ringraziamento al calciatore argentino quando “La grande bellezza” vinse l’Oscar – non solo un modo di dire.

 “È stata la mano di Dio”, dicono al funerale facendo le condoglianze all’orfano, citando Diego Maradona dopo il gol di mano ai Mondiali del 1986, contro l’Inghilterra. Il film si apre con una straordinaria panoramica aerea del golfo di Napoli – possiamo sempre contare su Paolo Sorrentino per un’inquadratura spettacolare – e continua raccontando la vita familiare. Gite in barca, matrimoni, scherzi telefonici che la madre faceva ai parenti e ai conoscenti (poi tutta la famiglia schierata sul divano della vittima, a scusarsi con gli occhi bassi), la baronessa del piano di sopra, un certo numero di matti e altri personaggi pittoreschi, qualche evocazione felliniana.

Non siamo mai stati fan della “Grande bellezza”. Ma tra una macchietta napoletana e l’altra, con la matura signora che provvede allo svezzamento sentimentale del giovanotto, capita di pensare che qualche fenicottero ci starebbe bene. Insomma, qualcosa che dia un po’ di ritmo, mentre la città attende con trepidazione che il magico calciatore arrivi dal Barcellona. Intanto Toni Servillo, nella parte di Sorrentino padre, continua imperterrito a fare Toni Servillo (nelle sale il 24 novembre al cinema, a metà dicembre su Netflix).

C’erano altri due film ieri in gara, oltre al documentario fuori concorso su Leonard Cohen girato da Daniel Geller e Dayna Goldfine. Accalcati, perché poi star e registi devono andare al festival di Telluride, iniziato ieri, e a Toronto che partirà giovedì. Jane Campion, la regista di “Lezioni di piano”, ha girato un western intitolato – biblicamente – “Il potere del cane” (leggi: i ricchi e potenti che opprimono i poveri). Non viene da Don Winslow, ma da un romanzo di Thomas Savage. Sarà su Netflix il primo dicembre, è la storia di un rude cowboy – Benedict Cumberbatch, per dire quanto siamo lontani dalla verosimiglianza – e di un troppo delicato giovanotto da educare. 

“The Card Counter” – chi a poker conta le carte uscite calcolando le probabilità di vincere – è l’ultimo film di Paul Schrader. In sala da oggi, con lo stravagante titolo “Il collezionista di carte”, è costruito attorno a due meravigliosi attori: il solitario Oscar Isaac e il giovane Tye Sheridan (in quota rosa e nera, Tiffany Haddish). Uno vince a carte, l’altro cerca vendetta per la morte del padre. Sullo sfondo, carcere violenza e torture.