Tutte quelle personalità incompiute di Pinocchio che ne fanno il perfetto italiano

Scontri tra immaginari, arriva la versione di Matteo Garrone

Stefania Carini

Rileggere Pinocchio da adulti è un piacere puro. Più che una rilettura, diventa una lettura vera e propria, una prima volta. Perché della lettura fatta alle elementari ricordi solo qualcosa, perché spesso quello che ricordi non è il testo originale ma un adattamento, perché solo in età adulta si può provare ad afferrare il senso di quel libro. Anzi, i suoi molti sensi. Arriva adesso al cinema il “Pinocchio” di Matteo Garrone, che sfida nel nostro immaginario tanto il testo originale quanto gli altri Pinocchi, quello di Disney naturalmente, e quello televisivo di Comencini e il kolossal di Benigni, persino quello di una serie animata nipponica in onda negli anni Ottanta. E ovviamente in attesa di quello di Guillermo Del Toro. I Pinocchi insomma sono tanti. Tornando all’origine, cosa rimane impresso durante la lettura da adulti? Certo, Pinocchio è bugiardo, gli si allunga il naso, ma in realtà è soprattutto uno che non si prende mai la responsabilità di quello che fa. Certo è un credulone, crede al Gatto e alla Volpe, perché gli promettono risultati fantastici con poco, eppure loro stessi mettendo in piedi piani fin troppo elaborati. D’altra parte, quando Pinocchio va dal Giudice a denunciare tutto, quello lo mette in prigione. E’ vero che fa impazzire il babbo Geppetto, però Pinocchio per il suo amico Arlecchino è pronto a dare la vita quando Mangiafuoco vuole usarlo per alimentare il fuoco. Pinocchio dunque è buono, anche se non “perbene”. Pinocchio insomma è tanti Pinocchi, testo mobile e sfuggente come il suo protagonista, dalle mille interpretazioni e i mille significati.

 

Rileggendolo da adulti, soprattutto in questa particolare fase politica e culturale, davvero diventa difficile non vederlo anche come uno studio sull’identità dell’Italia a degli italiani, come scriveva nel 1923 Giuseppe Prezzolini. Nel libro “L’effetto Pinocchio” (2007), Suzanne Stewart-Steinberg, docente di italianistica e letteratura comparata alla Brown University, ha analizzato la formazione dell’identità italiana tra il 1861 e il 1922, tra l’Unità e l’avvento del fascismo. Una chiave storico-sociale non estranea alla critica collodiana, non di certo la chiave del film di Garrone, ma utile, oggi. Pinocchio metterebbe in scena tutta la difficile creazione della complessa identità nazionale. Secondo la studiosa, il Burattino incarna le modalità in cui il soggetto si stava configurando all’interno della società moderna ma mostra anche tutta l’ansia “per la potenziale vacuità del soggetto italiano, per il suo carattere inventato e retorico, per la sua immaturità e per la sua natura inumana, di burattino”. Pinocchio impara la lezione, diventa un bambino vero e quindi un soggetto autonomo, oppure è mosso da fili che neanche lui conosce e finisce per rimanerne imbrigliato del tutto? Pinocchio è tanti Pinocchi. Non è bambino, non è adulto, è burattino e burattinaio, tanto senza fili e padrone di se stesso quanto sempre in balia di tutto e di tutti. Si agita, corre, sfugge (come il senso del suo testo). E’ sempre mobile. Anche nel finale, tanto che Pinocchio è doppio. Sono cose che tornano alla mente appunto rileggendo il libro, e dimenticando altre versioni, prima fra tutte quella Disney. Alla fine infatti ci sono un bambino in carne e ossa che “con grandissima compiacenza” dice tra sé e sé di essere “un ragazzino perbene”. E poi un burattino che giace su una seggiola (“da parere un miracolo se stava ritto”), che il Pinocchio-bambino definisce “buffo”. Non c’è trasformazione, cioè un cambiamento d’identità vero e proprio. Collodi infatti sostituisce e duplica l’identità, lasciando il residuo in scena. Proprio questa molteplicità beffarda dice quanto Pinocchio sia italiano. In fondo, arrivando ai giorni nostri: quanti Zalone ci sono nel promo di “Tolo Tolo”? Zalone Celentano, Zalone vittima, Zalone vittimista, Zalone delatore di altri immigrati, Zalone Duce… Mentre guardiamo, pensiamo che ogni Zalone sia qualcosa di diverso da noi, sia solo “buffo” e intanto ci diciamo “con grandissima compiacenza” che siamo, tanto da destra quanto da sinistra, tanto tanto “perbene”.

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