A Venezia tutti in assetto di guerra per "Suspiria" e "L'Amica geniale"

Mariarosa Mancuso

Il remake di Guadagnino è ben girato ma non fa paura. Nella serie di Saverio Costanzo spicca la voce fuori campo di Alba Rohrwacher

Non si sa se erano più in agitazione i fan di Dario Argento o di Elena Ferrante, al pensiero che alla Mostra sarebbero arrivati il nuovo “Suspiria” di Luca Guadagnino e la serie “L’amica geniale” di Saverio Costanzo. L’uno e l’altro gruppo schierato in assetto di guerra, pronti a strillare per leso “capolavoro" (tra virgolette: è possibile che né il film di Dario Argento né la saga di Elena Ferrante lo siano).

 

Di “Suspiria” made in Guadagnino - il progetto che gli stava davvero a cuore, l’innamoramento e la sexy-pesca di “Chiamami con il tuo nome” sono da considerarsi un detour - preoccupava la lunghezza: due ore e mezza per un horror sono un’eternità. Nell’ora in più rispetto all’originale entrano l’olocausto, i terroristi della Baader-Meinhof, Berlino divisa dal muro, omaggi appassionati al cinema di Rainer Werner Fassbinder. Troppo, rispetto alla trama che dovrebbe far paura: scuola di ballo diretta da streghe in cerca di carne fresca, per immortalità e perché “l’arte è un pugno sul naso”.

 

Girato benissimo, con doveroso piano sequenza e sanguinolento sabba finale, “Suspiria” edizione 2018 non fa paura quasi per niente - gli effetti speciali sono meglio nell’oscurità, imparate dei maestri: nella stanza prove della scuola di ballo, con luci forti e pareti a specchio, fa più spavento il rumor di ossa. Muoiono le ragazze, i maschi anziani sono trattati con gentilezza estrema, alla fine gli cancellano dalla testa i sensi di colpa (momento flash che per un attimo dimentica Fassbinder e cita “Men in Black”).

 

Felicemente vaccinati, e quindi immuni alla Ferrante Fever (un bel vantaggio, se vi piacciono i romanzieri che scrivono - se proprio devono - “cielo stellato” e non “cocci di vetro a vanvera dentro un bitume blu”) della serie diretta da Saverio Costanzo abbiamo notato per prima cosa la voce fuori campo di Alba Rohrwacher. Dizione da accademia d’arte drammatica, paracadutata tra un prologo dove l’accento napoletano pesa e due episodi dove quasi tutti parlano dialetto.

 

Nel secondo, leggono “Piccole donne” e l’amica geniale passa all’amica meno geniale (nonché narratrice con la voce adulta di Alba Rohrwacher, insistiamo) un libretto: “Vorrei sapere cosa ne pensi”. Tale e quale a uno scrittore d’oggi che allunga il manoscritto alla sua editor. Napoli è straordinariamente pulita, per l’epoca (lo sarebbe anche per adesso). Anche straordinariamente silenziosa. Le scugnizze sono ben scelte, a misura di pubblico internazionale. Solo i cinici noteranno le occhiaie di Lenù disegnate con la matita nera.

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