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L'estate del vino fluido / 5

Quei cerasuoli buoni anche con il pesce

Camillo Langone

Qualche vino rosso quasi rosa per bere un vero rosa e non un rosa sbiancato

"Il vino rosa sta scolorendo in tutto il mondo, nel Novecento molti rosa attuali sarebbero stati chiamati bianchi”. A dirmelo, nella sua casa di Francavilla al Mare, sulla terrazza appunto vista Adriatico, è Luigi Cataldi Madonna, barone, vignaiolo, filosofo ma innanzitutto, ai miei occhi, il produttore abruzzese che combatte affinché il vino rosa sia chiamato rosa e non rosato o, peggio ancora, rosé. Mal comune mezzo gaudio allora: temevo che lo sbiancamento del rosa fosse una triste peculiarità pugliese e invece tutto il mondo è provincia, tutti dappertutto arrancano per inseguire il color cipria dei prestigiosi provenzali.

 

Ecco perché, sempre più spesso, quando non ho a disposizione il Cerasuolo d’Abruzzo Cataldi Madonna o Tiberio, per avere nel bicchiere il rosa che piace a me devo versarci del rosso. Ed è un altro caso di fluidità enologica questo del vino che in etichetta si dichiara in un modo e nel vetro si manifesta in un altro. Il caso più eclatante è il Lezèr di Foradori, un Vigneti delle Dolomiti rosso che io abbino abitualmente alle ostriche e se lo faccio non è certo per rovinare qualcosa che alla maniera di Anthony Bourdain considero il cibo perfetto (“Non ha bisogno di preparazione né di cottura. Il condimento è incorporato. Fino a pochi secondi prima di sparire nelle tue fauci è un essere vivente, dunque sai che è fresca. Ti compare sul piatto come Dio l’ha fatta: cruda, disadorna. E’ un cibo primordiale e glorioso”). Il Lezèr è un teroldego sulla via della gloria che viene definito “rosso rubino non troppo carico”. Io lo definirei tranquillamente cerasuolo.

 

Con le ostriche, ma pure con le noci o tartufi di mare, con le cozze normali e le cozze pelose, con la seppia o qualsiasi altro mollusco crudo bevo, e ci mancherebbe, anche Lambrusco di Sorbara. Non Lambrusco: Lambrusco di Sorbara. Vale a dire il più modenese e il più fluido dei tanti Lambruschi: se i Lambruschi scuri come il Maestri, il Grasparossa, il Viadanese, si accoppiano preferibilmente col maiale, questo Lambrusco con pochi antociani nella buccia e pertanto chiaro non ha preclusioni di sorta, si accompagna felicemente con qualsivoglia animale di terra e di mare. Si sa che i Sorbara della mia predilezione sono il Lambrusco del Fondatore (Cleto Chiarli) e il Radice (Paltrinieri), poi ci sarebbe il Lambrusco prodotto da un certo professore ma è orgogliosamente fuori commercio, inutile fare nomi, è riservato a noi pochi amici fortunati. Tornando ai vigneti alpini molto fluide e parecchio estive sono le Schiave, uve nere che nel bicchiere si trasformano, si schiariscono. In etichetta possiamo leggere proprio Schiava oppure Santa Maddalena o St. Magdalener, dal nome della collina sopra Bolzano, oppure Lago di Caldaro o Kalterersee, dall’ameno specchio d’acqua poco più a sud.

 

Piacciono a me che cerco rossi da frigorifero e piacciono a Franco Branciaroli che interpellato sulle sue preferenze mi risponde: “L’attore italiano è una valigia, gira tutto l’anno da un Manduria o un Falernum su fino a un Magdalener. Un bevitore peninsulare, un Tir della bottiglia. Insomma mi bevo l’Italia”. Branciaroli ha una simpatia per il vino “busciante” ovvero schiumoso e mi consiglia la Freisa frizzante che può essere un altro rosso non troppo rosso e allora restando in Piemonte aggiungo il Grignolino, rosso ancora meno standard, ancora più rosa. Chi si è scoperto di tendenze enologiche non binarie (magari grazie a questi articoli), e però non vuole rinunciare alla sostanza, provi il Luigi Spertino o il Limonte di Braida.

  

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  • Camillo Langone
  • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).