Chi porta pane porta pace. L'importanza del grano ucraino da salvare

Antonio Pascale

Il frumento proveniente dal paese sotto assedio intreccia da vicino la tradizione alimentare del continente: una storia che riguarda anche la pasta italiana

Il nonno di Aurelio De Laurentiis, l’attuale presidente del Napoli, aveva un pastificio a Torre Annunziata, e all’epoca – s’era nel 1920 – l’importazione di grano dalla Russia, detto grano di Taganrog, era ancora forte.  Taganrog, città sconosciuta ai più (anche se nel porto c’è la statua di Giuseppe nostro: ovviamente Garibaldi è stato anche lì, anzi, la leggenda vuole che in questa città portuale, fondata millenni prima con il contributo dei genovesi, Garibaldi abbia cominciato a sviluppare l’idea della nota spedizione), tuttavia ha dato i natali al mai troppo celebrato Anton Cechov, medico, scrittore e drammaturgo, un progressista vero che di agricoltura se ne intendeva, (forse) meglio del conte Tolstoj, anche perché da medico Cechov ne vedeva di contadini morire di fame (e cercava di curarli, gratis, tra l’altro).  Comunque, il grano coltivato in Ucraina, eccellente sotto molti aspetti, passava per il porto di Taganrog e finiva anche al Sud Italia, dove le prime famiglie di pastai tagliavano quel grano con i grani nostrani, pugliesi e siciliani.

 
Il grano ucraino ha fatto la storia della nostra pasta: oltre alle caratteristiche organolettiche, era per esempio un grano che manteneva la cottura, è stato simbolo di commercio, scambi di culturali, vivacità e progetti, finché un bel giorno…Un bel giorno le terre fertili dell’Ucraina sono diventate “Terre di sangue”, per citare il bel libro (e premiatissimo negli States), di Timothy Snyder (pubblicato in Italia da Rizzoli). Il libro racconta soprattutto nei primi tre capitoli, e fa il paio anche con altri interessantissimi studi, il Grande Terrore, ovvero il periodo tra il 1932 e il 1938, quando le politiche di collettivizzazione forzata dell’agricoltura volute da Stalin cominciarono a far temere una carestia di massa. E così fu. Stalin, che si riteneva pure un buon padre, si rifiutò di garantire aiuti alimentari alla popolazione ucraina: circa 3,3 milioni di persone morirono di fame – o di malattie ad essa legate.

Secondo Snyder, la carestia dell’Ucraina fu un caso di “omicidio di massa chiaramente premeditato” da Stalin. Tra il 1937 e il 1938 nell’Urss furono arrestate e spesso condannate a morte centinaia di migliaia di persone, accusate di aver sabotato e ostacolato le politiche di collettivizzazione: dei circa 700.000 morti di questo periodo, 300.000 cittadini sovietici (soprattutto polacchi e ucraini) furono uccisi nelle bloodlands. Come se non bastasse poi arrivò Hitler. E sulla Polonia occupata, Hitler attuò per la prima volta la sua politica di sterminio di massa. Ebbene, Snyder sottolinea le somiglianze nella forma e nella scala dell’attacco condotto da Hitler e Stalin nelle rispettive zone di occupazione: insomma tra i due si instaurò una “complicità belligerante” fondata sullo scarso interesse di entrambi per la vita umana. 

  


 

Aggiungiamo, sempre a proposito di grano, che i campi di grano non nascono da soli, sono un prodotto dell’ingegno umano, dunque vanno coltivati e concimati e protetti dai patogeni. In questi giorni di guerra, parlare del grano è importante

 
I paesi che dipendono maggiormente dalle importazioni di cibo da Ucraina e Russia sono quelli del medio oriente e del Nord Africa – oltre i due terzi delle importazioni vengono assorbiti da Egitto, Libia e Libano. Comunque in Italia la quota di importazione rispetto a alla fornitura di grano è bassa, 2,86 per cento, maggiore è quella di mais, attorno al 19 per cento mentre mostriamo grande dipendenza verso l’importazione di semi di girasole: il 66 per cento.

 
Fatto sta che la pianta collega passato, presente e futuro: il ricordo dei nostri nonni che facevano buona pasta col grano ucraino e dei nonni  ucraini massacrati dai dittatori di turno. Ma  a parte questo, l’invasione russa ci dice che basta un attimo, e cioè uno stabilimento di fertilizzanti distrutto o  la terra devastata, per portare i paesi alla fame, con tutta il triste corollario simbolico di contorno.

  
Analizzare le differenze è il lavoro dell’intellettuale, in senso lato, ovvio, mentre il demagogo si vanta di ascoltare la pancia del paese, altro organo, insieme al cuore, enormemente sopravvalutato. Sono le differenze che fondano i valori e i valori si rafforzano se li riconosciamo, e se questo non basta, ricordiamoci almeno della motivazione che ha accompagnato la premiazione del Nobel per la pace (1970), dato all’agronomo e ambientalista Norman Ernest Borlaug: all’uomo che ha portato pane a un mondo affamato, nella convinzione che chi porta pane porti anche pace.  Quindi vogliamo la pace? Coltiviamo e rispettiamo il grano – e difendiamo i campi e gli strumenti da lavoro, e di conseguenza, condanniamo e lottiamo contro chi distrugge il grano.

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