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Il Natale a Kyiv, dove "le bombe russe non fermano la nostra fede"

La guerra e la pace, l'Europa e il Cremlino. Intervista a Sviatoslav Shevchuk, capo e padre della Chiesa greco-cattolica ucraina. "Putin? Un criminale di guerra"

Matteo Matzuzzi

"O ci si chiede: quale pace? C’è chi ipotizza il congelamento della guerra o l’accettazione di compromessi territoriali per fermare il conflitto. Ma io rispondo come pastore di questo popolo sofferente. E' possibile sacrificare per una presunta pace milioni di ucraini che subiscono atrocità dagli occupanti russi?"

Roma. In Ucraina tra pochi giorni sarà l'ennesimo Natale di guerra. La celebrazione della speranza fra le bombe, i droni, la contraerea e il nemico alle porte o già dentro la porta di casa. Paradosso della Storia, ma fotografia della realtà. Eppure, dice in questa lunga conversazione con il Foglio Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, capo e padre della Chiesa greco-cattolica ucraina, nonché arcivescovo maggiore di Kyiv, “proprio l’evento del Natale è la speranza del popolo ucraino. In questo periodo 'dell’ora buia', come l’ha definito Papa Francesco, abbiamo bisogno della speranza data dal sapere che Dio è con noi. Il fatto di festeggiare l’ennesimo Natale in una Ucraina libera e indipendente è per noi un segno tangibile che Dio è con noi. Il popolo ucraino guarda oggi il presepe con gli occhi diversi e in ogni dettaglio della nascita del Signore vede la Sua presenza in mezzo a noi. Il Signore viene per nascere nel corpo sofferente del popolo ucraino, per consolarci nella nostra sofferenza. Certo – aggiunge – festeggiare il Natale in Ucraina non è lo stesso che festeggiarlo in Italia, ma le bombe russe non fermano la nostra fede e la speranza nel Signore della pace. Natale per noi oggi non rappresenta solo l’invito a stare insieme nelle proprie famiglie. E' anche un invito alla comunità internazionale, perché sia unita. Per questo, la solidarietà internazionale e il sostegno dell’Ucraina è il modo di festeggiare il Natale nei tempi bui di guerra a pezzi”. 

 

Tra due mesi saranno due anni dall'inizio del conflitto. Sui giornali si parla sempre meno di questo conflitto, e spesso l'attenzione è concentrata sui problemi di governo, le rivalità interne all'establishment di Kyiv. Si parla sempre meno della sofferenza del popolo. Che però continua.

“Ormai da due anni il popolo ucraino si difende coraggiosamente dall’aggressione russa su vasta scala. La popolazione civile del nostro paese è costantemente sottoposta agli attacchi missilistici russi, e a distanza di quasi due anni dall’inizio della guerra stiamo vivendo la peggior emergenza umanitaria in Europa dal secondo Dopoguerra. In Ucraina non ci sono famiglie che non abbiano vissuto un lutto. Paghiamo un prezzo altissimo per la nostra libertà e, credo, anche per il futuro democratico dell’intero continente europeo. L’Ucraina d’oggi è sinonimo di sofferenza ingiustificabile. Tuttavia – dice l'arcivescovo Shevchuk – possiamo constatare che la guerra in Ucraina diventa una guerra silenziosa; anzi, si avverte una certa stanchezza degli europei ed entrano in gioco i sentimenti antiamericani che aiutano la propaganda russa a continuare lo sterminio del nostro popolo e a condurre la guerra contro l’occidente. Sicuramente è molto più facile richiamare l’attenzione sui problemi del governo ucraino e mettere in evidenza gli scandali di corruzione che, senz’altro, rappresentano un altro male da combattere. Ma in questa situazione bisogna innanzitutto vedere le sofferenze inimmaginabili di un popolo che si sacrifica nella difesa dei valori europei, e quantomeno restare a fianco dell’Ucraina per tutto il tempo necessario. Quando sentite la parola Ucraina, pensate a dei volti umani: a bambini, donne, anziani, giovani ragazzi di un paese che è la ferita aperta nel cuore dell’Europa. La sofferenza umana non può diventare un semplice argomento dei giochi geopolitici, economici o militari”.

 

Ecco, ma voi ucraini vi sentite soli? Percepite ancora il grande sostegno del mondo che avevate due anni fa (le bandiere ucraine alle finestre, gli eventi pubblici di solidarietà) o qualcosa è cambiato?

“Siamo molto grati alla comunità internazionale per il sostegno del nostro paese sin dall’inizio dell’aggressione su vasta scala della Russia. L’Europa si è mostrata unita e forte nel suo impegno contro la violazione del diritto internazionale da parte di Mosca e per il ristabilimento della pace duratura e giusta per l’Ucraina. Ma oggi spesso si chiede: quale pace? Questa è probabilmente la domanda principale quando si discute sulla guerra in Ucraina. C’è chi ipotizza il congelamento della guerra o l’accettazione di compromessi territoriali per fermare il conflitto. Ma io rispondo come pastore di questo popolo sofferente. E' possibile sacrificare per una presunta pace milioni di ucraini che subiscono atrocità dagli occupanti russi? Posso sacrificare le mie comunità e stare tranquillo mentre la nostra Chiese viene bandita nei territori occupati? Posso sacrificare i nostri sacerdoti rapiti dai russi di cui da un anno non sappiamo nulla? Io – aggiunge –sono convinto che il congelamento della guerra in Ucraina, nel cuore dell’Europa, significhi lasciare al regime criminale in Russia la possibilità di riorganizzarsi per attaccare nuovamente con gli scopi ancor più ambiziosi. Perciò la domanda non è se noi ucraini ci sentiamo soli, ma qual è il futuro dell’Europa con i progetti di pace che fanno comodo a Putin”.

 

A tal proposito, l'Economist, si è domandato se Putin stia vincendo la guerra: dopotutto appare nuovamente al centro di tante trame diplomatiche. Lo si vede più in giro, partecipa a summit intergovernativi, tutte cose impensabili non solo due anni fa, ma anche un anno fa. Teme che l'interrogativo del settimanale inglese diventi sempre più frequente nelle società europee?

Non dimentichiamo che la Corte penale internazionale ha emesso un mandato di arresto per il presidente della Federazione russa. E' un criminale di guerra. Se a livello dei rapporti internazionali prevale il diritto del più forte e non la forza del diritto, sono veramente preoccupato per il futuro dell’umanità”. 

 

Lei saprà che anche all'interno della Chiesa cattolica c'è chi ritiene che il cosiddetto “nazionalismo” ucraino – e anche della stessa Chiesa greco-cattolica – non faccia bene al tentativo di trovare una soluzione, una via d'uscita alla guerra. Lei, che è capo e padre della Chiesa greco-cattolica, come risponde a tale obiezione?

Il tema del nazionalismo ucraino ormai da decenni viene promosso dalla propaganda russa per annientare l’Ucraina. Per anni le trasmissioni russe hanno diffuso i messaggi sul regime fascista in Ucraina per poi trovare il legittimo pretesto di invadere l’Ucraina. Proprio per denazificare l’Ucraina la Russia oggi la distrugge. Umberto Eco, nel saggio 'Il fascismo eterno', definì quattordici punti attraverso i quali riconoscere l’ideologia fascista. Sono punti che possiamo applicare al regime russo e alla guerra che questo conduce in Ucraina. Le dico sinceramente, mi stupisce che all’interno della Chiesa cattolica ci sia chi ritrasmette questa propaganda”. Anche perché, dice Sviatoslav Shevchuk, “in Ucraina non c’è alcun partito nazionalista al potere. Anzi, esiste una legge che proibisce qualsiasi forma di fascismo. Nessuna organizzazione internazionale ha mai individuato la presenza del movimento neonazista nel nostro paese. Perciò tutto questo resta una propaganda, priva di qualsiasi senso e delle prove reali. Storicamente al popolo ucraino è stato tolto il diritto di avere il proprio Stato e di essere un popolo libero. L’amore che abbiamo per la nostra terra, la nostra cultura, la nostra lingua, la nostra Chiesa spesso viene visto alla stregua di un nazionalismo radicale. Il nostro senso del patriottismo cristiano è libero da qualsiasi connotazione ideologica. Mai abbiamo preteso o cercato di essere superiori agli altri oppure di annientare altri popoli. Per l’imperialismo russo, invece, qualsiasi tentativo del popolo ucraino di essere indipendente e di far parte della comunità europea viene definito come nazionalismo”.

 

E la Chiesa greco-cattolica ucraina? “La Chiesa greco-cattolica ucraina ha sempre condiviso il dolore del proprio popolo e il suo impegno per la libertà e l’indipendenza dai diversi imperialismi. Perciò il cliché del nazionalismo lo condividiamo insieme al nostro popolo. Ma voglio ribadire che la Chiesa greco-cattolica ucraina anche al livello ufficiale ha condannato il nazionalismo radicale come l’ideologia che ispira l’odio verso gli altri popoli. Contro questa ideologia si sono espressi più volte anche i miei predecessori, il metropolita Andrey Sheptytskyj e Sua Beatitudine il cardinale Liubomyr Husar”.

 

Come sono i rapporti tra le varie confessioni cristiane in Ucraina? Sappiamo che ci sono provvedimenti in discussione che puntano a mettere fuori legge la Chiesa ortodossa dipendente dal Patriarcato di Mosca. Non pensa che spostare il piano del conflitto su base religiosa sia un ulteriore elemento di rischio capace di far precipitare la guerra in tenebre ancora più oscure?

“Il dolore della guerra ha unito in Ucraina molti cristiani. La solidarietà cristiana di fronte al male della guerra supera ogni limite confessionale o di divisione. Perciò le Chiese e le organizzazioni religiose in Ucraina cercano di cooperare per rispondere alle sfide che la guerra ci pone quotidianamente. Per quanto riguarda la Chiesa ortodossa, legata al Patriarcato di Mosca, devo constatare che questa Chiesa vive un forte disagio nella società ucraina. Ogni forma di legame, non solo de iure ma anche de facto, con la Russia e il mondo russo viene fortemente respinta dalla società ucraina. Perciò certi provvedimenti del governo ucraino nei confronti della Chiesa ortodossa del Patriarcato di Mosca rispecchiano la richiesta della società civile ucraina. D’altro canto, lo Stato ucraino sente nella situazione di guerra l’urgente dovere di garantire la propria sicurezza nazionale su diversi fronti, compreso quello religioso. E quando il Patriarca di Mosca giustifica e invita il popolo russo alla guerra contro l’Ucraina, il governo ucraino considera necessario rivedere l’attività della Chiesa ortodossa, legata a questo Patriarca, nel nostro paese. Allo stesso tempo – dice Shevchuk – i rappresentanti delle Chiese e delle organizzazioni religiose sono molto attenti a qualsiasi legislazione ucraina riguardante i rapporti con il mondo religioso. Nel corso di numerosi incontri con i nostri governanti ho più volte sottolineato i princìpi fondamentali dei rapporti tra le Chiese e lo Stato. Di conseguenza, ogni tentativo di bandire qualsiasi denominazione religiosa in Ucraina, affinché non presenti un pericolo per la sicurezza nazionale e il bene comune, è per noi allarmante. Inoltre, ho cercato di spiegare ai nostri governanti che mettere fuori legge il Patriarcato di Mosca non significa far cessare la sua esistenza, perché la Chiesa non è solo un’organizzazione giuridica con la propria struttura, lo statuto e il centro di governo a Mosca. La Chiesa è prima di tutto le persone. Perciò lo Stato ucraino ha il diritto e il dovere di assicurare la propria sicurezza nazionale ma con tutta la delicatezza nel trattamento delle questioni della libertà religiosa”. E poi “c'è un altro problema, e cioè che la Chiesa ortodossa ucraina del Patriarcato di Mosca si è autoisolata dalla società. Ad esempio, quest’anno sarà il primo Natale che l’Ucraina celebrerà il 25 dicembre, e non più il 7 gennaio, come ancora accade in Russia. Una decisione ben condivisa da autorità civili e comunità ecclesiali, tranne che dalla Chiesa ortodossa del Patriarcato di Mosca. 'Finalmente insieme', ha scritto in un messaggio il Consiglio pan-ucraino delle Chiese e delle organizzazioni religiose”. 

 

Lei ha scritto che la radice che motivò l'Holodomor di novant'anni fa e la guerra di aggressione odierna è la stessa: l'insaziabile imperialismo russo. Come sa, il concetto di “genocidio” è problematico, gli specialisti della materia usano categorie severe prima di applicare tale definizione a un conflitto. Cosa si sente di dire al riguardo?

Siamo un popolo che ancora oggi vive le conseguenze del trauma dell’Holodomor, un reale genocidio per fame di milioni di persone perpetrato dal regime sovietico novant'anni fa. Portiamo questo trauma nella nostra memoria storica. L’attuale guerra ci presenta una serie di fatti che possiamo definire come crimini contro l’umanità. Gli attacchi quotidiani contro la popolazione e le infrastrutture civili, i prigionieri di guerra e persino i civili torturati, le violenze sessuali su donne, uomini e bambini, la deportazione dei bambini, le fosse comuni sono davanti agli occhi dell’intera comunità internazionale… Gli ucraini non hanno bisogno di aspettare le sentenze dei tribunali internazionali o i manuali degli studiosi (sono certo che arriveranno) per capire cosa sta succedendo nel nostro paese e comprendere le cause dell’aggressione della Russia contro il nostro popolo. Tra l’altro, uno dei motivi di questa guerra, proclamati dalla Russia, è la 'denazificazione dell’Ucraina' che per i russi significa semplicemente l’Ucraina senza ucraini. Devo comunque dire che già oggi molti analisti vedono la guerra in Ucraina come il genocidio del popolo ucraino. Vorrei menzionare il Report del New Lines Institute e del Raoul Wallenberg Centre, un’indagine indipendente dei giuristi internazionali esperti in diritti umani, accreditati presso le principali Università e organizzazioni internazionali. Il loro dossier di oltre quaranta pagine si sofferma sulla narrazione degli organi ufficiali della Federazione Russa in merito ai concetti di 'denazificazione' e di 'disumanizzazione'. La conclusione degli esperti è molto chiara e ci avverte di un grave rischio di genocidio in Ucraina. Inoltre, non possiamo non citare il documento pubblicato poche settimane dall’inizio della guerra sul sito ufficiale russo Ria Novosti che spiega le ragioni e gli ordini dati ai soldati russi per questa missione. Un commento dal titolo 'Cosa dovrebbe fare la Russia con l’Ucraina' è scritto da Timofey Sergejtsev il quale spiega cosa intende Mosca per denazificazione, che – come ho detto - è uno degli obiettivi della guerra in Ucraina proclamati da Putin. Timothy Snyder, il noto studioso dello Shoah nel territorio dell’ex Unione sovietica, ha definito questo testo il manuale russo del genocidio ucraino. In ogni occasione, lo studioso non si stanca di affermare che 'già solo definire l’occupazione russa come un genocidio sarebbe una ragione più che sufficiente'. 

 

Beatitudine, quanto dureranno le cicatrici di questa guerra sui corpi e nello spirito della popolazione ucraina? I “danni” si percepiscono già, ma cosa si può fare per far sì che una volta finito il conflitto, si possa ripartire con fiducia?

“Innanzitutto, bisogna far finire questa guerra assurda. Siamo un popolo gravemente ferito nell’anima e nel corpo. Ognuno di noi porta nell'anima l'impronta di questa terrificante guerra, e molti ne hanno impressi i segni sul corpo in seguito a gravi ferite e traumi. La nostra Chiesa per i prossimi anni ha definito il suo obiettivo pastorale nella cura delle ferite di guerra. Sono molto riconoscente a quei nostri pastori che non hanno abbandonato il loro gregge, ma hanno condiviso con la propria gente le sofferenze e i dolori, le ansie e le paure, e in circostanze di pericolo mortale sono stati un segno di presenza amorevole e invincibile di Dio in mezzo al suo popolo. Devo dire – aggiunge il capo e padre della Chiesa greco-cattolica ucraina – che le ferite di questa guerra sono molto profonde e dolorose. Le cicatrici che ha provocato sul corpo sofferente del popolo ucraino dureranno a lungo, e solo il Signore saprà versare l’olio santo del Suo amore misericordioso capace di sanarle. Ma già da oggi non vogliamo essere schiavi dell’odio. Sebbene l’odio sia una reazione normale di fronte al male che stiamo subendo, non possiamo cedere ad esso né tantomeno lasciarlo vincere nei nostri cuori”. 

 

 

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.